top of page

Padre Antonio da Olivadi (CZ)

Sul perchè la causa di beatificazione è ferma

di fr. Aldo MERCURIO

​

Alcuni frati della nuova Provincia di Calabria si domandano perché la causa di beatificazione del servo di Dio P. Antonio d’ Olivadi è ferma. Ecco quanto ho potuto rilevare, studiando il caso. Brevissimi elementi biografici Antonio da Olivadi (CZ) della diocesi di Squillace (CZ), Servo di Dio, Sacerdote della Provincia dei Cappuccini di Reggio Cal. Figlio di Guido Pontieri e di Elisabetta Teti, nacque il 1° gennaio 1653, fu battezzato col nome di Giuseppe Antonio. Vestì l’abito religioso nel convento dei Cappuccini di Stilo (RC) il 1 nov. 1670 col nome di Fr. Antonio. Al termine del noviziato emise la professione religiosa. Fu ordinato Sacerdote nel 1681. Scelse il ministero della predicazione, nella quale prediligeva le meditazioni sulla passione di Gesù e sui dolori di Maria, per cui, dovunque andava, alla fine dei quaresimali, fondava confraternite in onore dell’Addolorata e di Gesù Crocifisso, dedicava chiese ed altari alla passione di Cristo e di Maria, Calvari, monumenti alla Croce. Non solo la Calabria e la Sicilia usufruirono della sua calda parola, ma egli si spinse fino a Napoli e a Roma, lasciando ovunque, per circa trent’anni di predicazione, copiosi frutti spirituali ed il profumo della sua santità. Il popolo lo venerava come santo, poiché a lui si attribuivano molti miracoli. Fu guardiano, Maestro dei novizi e Provinciale della Provincia di Cosenza. Si ammalò, mentre era Guardiano al convento di Simiri (CZ). Incurante della malattia e spinto dallo zelo apostolico, andò alla Grangia di S. Giacomo in Montauro (CZ), chiamato dal Priore. Constatata la gravità della malattia, fu portato a Montauro, dove il clima è più mite, per respirare aria salubre, ospite di un certo Matteo Spadea, probabilmente parente della madre, oriunda di Montauro. Ma resisi inutili le cure, chiese di rientrare al suo Convento di Squillace, dove morì santamente il 22 febb. 1720. Le opere L’anno doloroso di Gesù, ovvero Meditazioni sopra la Passione di G.C. (Napoli 1692), 365 meditazioni, scritte tra le fatiche della predicazione in soli ventun giorni; L’anno doloroso di Maria, ovvero Meditazioni sopra la vita penosa della B. Vergine Maria (Napoli 1712), le due opere ebbero vasta diffusione con numerose edizioni; Autobiografia del Padre Antonio, manoscritto del 1702, che si conserva nell’Archivio Provinciale dei Cappuccini di Firenze. Il processo di beatificazione Il processo informativo sulla fama di santità della vita e sulle virtù eroiche, fu redatto dall’anno 1735 al 1746 nella Diocesi di Squillace e nel 1757 fu inviato alla SCR per l’introduzione della causa di beatificazione. Ma alcune questioni, poste dal Promotore della fede, non furono affatto chiarite, perchè erano sorte molte e complesse difficoltà nella causa, per cui il Papa Clemente XIII ne decretò l’archiviazione (SCR del 24 sett. 1763 –Decreta in causis servorum Dei, v.17,1763-1765, p. 284-285r.). Il Segretario della SCR inviava una lettera all’Arcivescovo di Reggio Cal., ai Vescovi di Oppido e di Squillace, ordinando di raccogliere scritti, reliquie, immagini ed ogni altra cosa appartenente al P. Antonio e di inviarli alla SCR. Il tutto, raccolto in una cassa di legno, debitamente sigillata, fu mandato a Roma e si conserva, a tutt’oggi, nell’Archivio della Sacra Congregazione dei Riti. Il 4 novembre 1769 era stata avanzata istanza dal Postulatore al nuovo Papa Clemente XIV (eletto il 19 maggio 1769) per aprire il processo, ma l’istanza è stata di nuovo rigettata ed imposta la validità del precedente decreto di Clemente XIII. E’ legittimo domandarsi: quali sono queste difficoltà, quali le cause che portarono il Pontefice a chiudere il processo? Nel decreto del 18 luglio 1761 per istruire un nuovo processo si legge testualmente: Nella causa Squillacen del servo di Dio Antonio Olivadio cappuccino pendente parimenti sul dubbio dell’introduzione, fa ombra e suspicione una lettera anonima presentata alla Nunziatura di Napoli, ove si avvisa che il servo di Dio predicando nella città di s. Agata di Reggio in Calabria, faceva scendere artificiosamente un uomo nella sepoltura; e lo faceva parlare per ispaventare il popolo, aggiungendo l’estensore della lettera, ch’è necessario prendere informazioni del servo di Dio in detta città, ove non è stato fatto processo. A lato del decreto veniva annotato: Benché non si deve far gran caso delle lettere anonime, nulla di meno trattasi d’affare grave e delicato, si propone che prima di andare avanti si ordini al Postulatore di fare il processo ordinario anche nella città di S. Agata. Il 24 settembre 1763 fu emanato il decreto sulla chiusura definitiva del causa. Lo stesso Pontefice Clemente XIII, infatti, ascoltato il parere della commissione esaminatrice della causa e visti i risultati della votazione, mandati per iscritto, ha chiuso la causa definitivamente: audito deinde eorum consilio, visisque suffragiis scripto traditis, impulerunt Nos ut perpetuum huic causae silentium imponeremus…Volumus autem praesens Nostrum decretum in regestis eiusdem Congregationis SS. Rituum perpetuo asservari. Hac die 24 septembris 1763. ( Subscriptio est manu propria ipsius Pontificis). Lo stesso giorno fu mandata una lettera da parte del Segretario della Sacra Congregazione dei Riti all’Arcivescovo di Reggio e ai Vescovi di Oppido e di Squillace che imponeva il perpetuo silenzio sulla detta causa. Fatti recenti Il 10 dicembre 1995, durante i lavori di restauro della Cattedrale di Squillace sepolcrale del Vescovo Nicola Notaris, un’urna in legno con la scritta “Ossa V.blis Servi Dei P.ris Antonii ab Olivado” ed un vaso d’argilla. Il 23 dicembre alla presenza dell’Arcivescovo di Catanzaro-Squilace Mons. Antonio Cantisani si è proceduto alla rottura dei vecchi sigilli e alla ricognizione delle reliquie, consistenti in terriccio e sfilacciature di indumenti nell’urna di terracotta, nella cassettina di legno furono rinvenute ossa lunghe e corte umane (manca il teschio). Le due urne sigillate furono murate alla parete destra della Cappella del Crocifisso. Per quanto riguarda la causa di beatificazione, a tutt’oggi, è ferma. Dopo la richiesta del Postulatore avvenuta il 4 novembre 1769, come sopra detto, di riaprire il processo e il conseguente rigetto da parte del Pontefice Clemente XIV, che riconfermò la validità del decreto del predecessore Clemente XIII, in questi circa duecentocinquant’anni nessuno più si è interessato per l’apertura della causa. Ci si domanda ancora Come mai, se il decreto della S.C.R. imponeva ai Vescovi di mandare tutto ciò che apparteneva a P. Antonio, comprese le ossa, alla S.C.R., furono ritrovate ossa lunghe e corte, racchiuse in una cassetta di legno, nella tomba del Vescovo Notaris? E perché furono nascoste, senza nessuna indicazione esterna? E né in documenti d’Archivio? Dove si trova il teschio? Interrogativi, che, purtroppo, permangono e a cui non si riesce a darne soluzione. Si deve sperare che i Superiori Maggiori diano mandato al Postulatore Generale dell’Ordine che prenda a cuore la causa e ne venga a capo dell’intricata questione. Bibliografia essenziale - ARCHIVIO SRC, Decreta in causis Servorum Dei, v. 17, 1763-1765. - ATTI CONVEGNO su Vita e Opere del Ven. Antonio da Olivadi, Olivadi 18.08.1991 - BULLARIUM CAPUCCINORUM, III, 285-89 - FORTUNATO SECURI, Memorie Storiche sulla Prov. Capp. Di Reggio Cal., p.114. - FRANCESCO DA VICENZA, Gli Scrittori Cappuccini Calabresi, Catanzaro 1914, pp. 9-12. - G. SINOPOLI, Il Ven. P. Antonio da Olivadi, Ed. Grafiche Femia, Gioiosa Jonica 1999. - ILARINO DA MILANO, in Enciclopedia Cattolica, Antonio da Olivadi, vol. I, p. 1548. - L. da OLIVADI, Vita del Ven. P. Antonio da Olivadi, Edit. Stefano Amato, Palermo 1747.

​

​

Tratto da : Cappuccini calabria news

http://www.fraticappuccini.it/new_site/pubblicazioni/Notiziari/CappCalabria_2011-02_mar-apr.pdf

​

Padre Antonio da Olivadi, il “piantatore di croci”

​

​

Al secolo Giuseppe Antonio Pontieri, è nato ad Olivadi, piccolo centro delle Preserre catanzaresi, il 3 gennaio 1653, da Guido ed Elisabetta Teti. La notte della sua nascita, secondo testimonianze arrivate fin qui, sulla sua casa è apparsa una sfavillante luce che molti interpretarono come segno di Dio e scrissero: “avendolo Iddio eletto  ad essere col tempo lume dei popoli e fiaccola di ardente zelo”. Già a dieci anni si sentì “chiamato” e dopo aver superato la contrarietà del padre, a tredici entrò nella Comunità francescana dei Cappuccini della vicina Chiaravalle Centrale e da qui mandato a far noviziato nel convento di Stilo dove gli fu affidata la cura del confratello fra’ Bernardo da Gerace ammalato immobile da ben un quarto di secolo e del quale “baciava spesso le pezze inzuppate di marcia”. Finalmente fu ordinato sacerdote nel 1677 dedicandosi da subito alla predicazione della Passione di Cristo in ogni angolo della Calabria e dell’Italia meridionale e dovunque portò la Croce a spalle per i sentieri impervi delle terre del tempo e vi “piantava o una o cinque o sette Croci ben grandi e quello non solo per lasciar a popoli un memoriale della Passione di Cristo ma pure per adempiere il Divino commando espressogli in una locuzione”.

Negli anni successivi fra’ Antonio, divenne anche Padre Provinciale dei Cappuccini di Cosenza e Padre guardiano del convento di Nicastro e qui commissionò la statua di sant’Antonio che i Lametini di oggi venerano con particolare devozione nel mese di giugno. Si trovava nel convento di Bagnara quando il superiore lo inviò a predicare la Quaresima a San Costantino nei pressi di Vibo. Qui durante la sua prima predica, dopo aver parlato per oltre mezz’ora e non avendo altro da aggiungere, si rivolse al Crocifisso chiedendogli aiuto per il prosieguo del pergamo, al che il Cristo gli avrebbe risposto di predicare la sua Passione così come lui l’aveva meditata. Beh, la predica riuscì così bene che Mons. Pallavicino  vescovo di Mileto, chiese subito a Roma per l’umile Antonio l’autorizzazione a che potesse fare il missionario.

La sua vita è stata tutta un susseguirsi di instancabile predicazione ergendo dappertutto  calvari, chiese, altari, e Croci in ogni dove nell’Italia meridionale e fondato Confraternite. Una di queste è quella dell’Addolorata fondata a Serra San Bruno nel 1694 giacchè qui era stato invitato dal priore della Certosa  per una serie di conferenze ai novizi. E tra le tantissime tappe della sua peregrinatio passionis si annovera anche Cutro dove in tempo di carestia “alimentò con mirabile industria una onesta famiglia decaduta”; inoltre anche Isola Capo Rizzuto lo ebbe ospite e qui mentre si lavorava per la costruzione della cappella dedicata alla Madonna Greca, per dissetare quella gente “fè scaturir vena d’acqua dolcissima dal fondo della fornace ancora fumante”. Ad un anno dalla morte del cappuccino olivadese veniva eretta a Serra San Bruno la chiesa dell’omonima congrega, oggi detta anche dei Sette Dolori, dalla bella facciata in granito grigio locale in perfetto stile del barocco maturo per la sua pianta ellittica. Dopo essersi consumato “dalle fatiche per la gloria di Dio e la salvezza dei popoli” moriva il 22 febbraio del 1720 a Squillace e tumulato nel pavimento della cappella di sant’Antonio del convento dei Cappuccini e successivamente, a seguito del disastroso terremoto del 1783, il vescovo del tempo Mons. Nicola Notaris volle portare la tomba nella cattedrale come era allora uso in quanto antica sede arcivescovile.

Nel 1995 il 10 dicembre, durante lavori di restauro della Concattedrale della città di Cassiodoro, all’interno del monumento funebre che il vescovo Notaris aveva fatto edificare per sè, è stata rinvenuta l’urna che custodisce le reliquie con su scritto “ Ossa v.blis servi Dei pris Antonimi ad Olivado”.

E accanto all’urna, un vaso di argilla contenente un piccolo cumulo di terra della primitiva tomba ed alcuni frammenti delle sue vesti. Quindi l’allora presidente della Conferenza episcopale calabra Mons. Antonio Cantisani, la sera del 23 dicembre dello stesso anno  ha aperto l’urna verificando e assicurando solo la presenza dei resti mortali del Beato e nessun documento o carta. Oggi urna e vaso si venerano degnamente nella cappella del Crocifisso della chiesa squillacese.

Ad Olivadi, ancora ai giorni nostri, si può vedere su un muro della casa natia, un’artistica scultura marmorea raffigurante il Beato Antonio e qui molti auspicano la riapertura del processo di Beatificazione avviato il 31 luglio 1736 dal vescovo Nicolò Michele Abbati e poi caduto nell’oblio.

In uno dei suoi mille e più viaggi di predicazione ed evangelizzazione portò da Chiaravalle a Crotone  la Croce di Capo Colonna, oggi custodita nella chiesetta-santuario del promontorio lacinio. Una croce molto singolare nella fattura,  quasi asimmetrica a tavole sovrapposte che recano dipinta la Crocifissione. Non è il solito Crocifisso visto un po’ in tutte le chiese, come quello di Fra’ Umile da Petralia che siamo abituati a vedere  e venerare a Cutro, e Bisignano o quello di artisti calabresi che si mostrano nelle chiese di Serra San Bruno, Soriano, Umbriatico, Nicotera, Arena o come quello dell’Immacolata di Crotone dagli occhi aperti, ed altrove. Qui siamo davanti ad una singolare Croce in legno portata a Crotone , secondo alcuni nel 1710, nel 1701 stante l’iscrizione riportata ai piedi della stessa.

Gli amministratori olivadesi avrebbero in animo di edificare  una chiesa come luogo di venerazione e pellegrinaggio e soprattutto per custodire la Croce di Crotone. E sì perché questa è stata già ripetutamente richiesta alla Curia Arcivescovile crotonese ma con esito negativo da parte del suo Capitolo diocesano. E giustamente, aggiungo io,  la Croce non è stata di certo una donazione quanto piuttosto un segno della presenza e della predicazione del “santo” cappuccino.

​

byMimmo Stirparo

 31 Marzo 2017

Madonna della Sanità - Luzzi
 

bottom of page