Questo sito è stato realizzato da Papaianni Angelo. Lo scopo del sito è quello di far conoscere la Madonna della Sanità o della Cava di Luzzi
Madonna della Sanità - Luzzi


Profumi di Paradiso
L’attuale territorio dell’Arcidiocesi di Cosenza- Bisignano è puntellato da figure di uomini e donne morte in odore di santità.
Tra di essi annoveriamo:
Il Canonico Giuseppe Vitari nacque in Cerisano (CS) da Gioacchino e da Maria de Luca il 4 ottobre 1869. Accolto gratuitamente in Seminario a Cosenza dall’amabilità di mons. Camillo Sorgente. Il 17 dicembre 1892, con dispensa del papa Leone XIII, non avendo ancora i 24 anni richiesti, viene ordinato presbitero. Una sorella rimarrà nel paese natio, mentre gli altri fratelli emigreranno in America. Bruno d’aspetto schivo e riservato, uomo saggio, sempre sereno per i suoi poveri percorreva a piedi il tratto di strada da Cosenza a Cerisano per recarsi nella cappella della Madonna degli Schiucchi per celebrarne il mese di maggio. La sua messa era assorta e devota e venne definito uomo di preghiera eucaristica. Collaborò con una iniziativa liturgica di un foglio che commentava il vangelo settimanale della domenica per più anni per una diocesi di Catanzaro. Si prodigò perché nel suo paese non mancasse una presenza di religiose, quali le Suore del Sacro Cuore del Verbo Incarnato. La sua opera più bella nasce nel 1930 “La Minestra di san Lorenzo pro fratribus minimis”, che nel 1937 aprì per l’assistenza ai reietti. Ebbe come collaboratrici due nobildonne cosentine Valentina Valentini e Marietta Zagarise. Lo spirito di don Vitari era quello di San Vincenzo de Paoli. Fu un uomo semplice, senza doppiezza e falsità, che rifiutava l’ipocrisia, la menzogna. Corona del rosario in mano e questuate presso negozi e macellerie per dare un piatto caldo ai suoi poveri, da essere definito il “pezzente di Dio”. Raccolse stima insieme a disprezzo, derisione e calunnie, anche da parte di uomini di Chiesa. Morì 11 novembre 1951 a Bisceglie (BA) e venne tumulato a Cosenza. Dal 2003 le sue spoglie riposano nella Chiesa degli Schiucchi in Cerisano.
Don Domenico Conte , nato in Acri (CS) il 17 aprile 1874 da Gennaro e Angela Abbruzzese. I suoi erano contadini ed avviarono il figliolo a pascolare le pecore. Aveva 19 anni ed imparò a leggere andando due volte la settimana dal parroco don Antonio Giannice per prender lezioni. Fu accusato di omicidio e messo in carcere per tre mesi, ma venne riconosciuto innocente dell’accusa infamante: Con gioco ingenuo e pericoloso dei bambini, nel pascolare le pecore buttavano sassi nel torrente Mucone, e non volendo uccisero Pontevecchio di anni 70. La cosa venne addossata a lui. Desiderio dei suoi familiari era fidanzarlo, lui non volle sapere di matrimonio, perché si sentiva chiamato a diventar prete. Ordinato prete da Mons. Vincenzo Ricotta vescovo di Bisignano nel1901 desiderava fare vita religiosa presso il romitorio della Catena in Acri; ma né il progetto di vivere con gli eremiti della Madonna della Catena, né il tentativo di dare avvio a una nuova congregazione paralleae alle Piccole Operaie dei Sacri Cuori gli riuscirono. Fu parroco prima di San Pietro in Acri, poi in Serricella di Acri, dove prodigò le sue virtù di zelante pastore e ricercato direttore spirituale. Nello stile di vita è stato paragonato al Santo Curato d’Ars. Umile, riconosceva i suoi limiti anche culturali. Costruisce la chiesa di mattoni e di persone con il suo eroico sacrificio. Lavorò da manovale nelle costruzioni parrocchiali. Fu vicino ai malati e ai bisognosi. Nel recarsi in paese all’ospedale “Charitas”, baciò le mura della sua parrocchia, san Giorgio, e, dividendo equamente le sue cose, morì all’età di 59 anni.
Biagio Durante nasce in Luzzi (CS) da Giuseppe e Rachele Fazio il 24 maggio 1764. Rimasto orfano di padre, fu educato da uno zio sacerdote. Si specializzò nella predicazione, frequentando i religiosi cappuccini, domenicani e minori. Ordinato sacerdote da Mons. Bonaventura Sculco, fu esaminatore e giudice sinodale subdelegato dei poveri presso la Curia e restauratore della Chiesa dell’Immacolata di Luzzi. Oratore, sparse la sua fama in tutto il regno, predicò in Palermo, Malta, Roma Vienna e presso la Santa Sede. Nelle Americhe venne inviato ad opera di propaganda Fide per la conversione dei popoli. Minato nella salute, si ritirò prima in Acri, poi in Cetraro ed infine in Lattarico, come ultimo gradino della sua scalata verso il Paradiso, in un’oasi di preghiera presso i padri della Chiesa di sant’Antonio di Padova. Dall’atto di morte si evince che morì il 16 ottobre 1831in Lattarico. Viene detto il Beato titolo dato dal popolo. Il venerabile Mons. Francesco Maria Greco annota: “Biagio Durante era uomo di santa vita e celebre catechista… Il 19 giugno 1891il Greco nel diario n. 4 continua a scrivere… con l’attuale Arciprete di Lattarico D. Giuseppe Pettinato, che mi favorì il libro dei morti dal 1831 al 1832 lo conosceva di persona ed andò a trovarlo quando era infermo. Nel visitare la chiesa dei PP. Osservanti mi fu dato di vedere il luogo, dove era posto seppellito ed il luogo dove si trova adesso dopo esser stato tolto dal sito primiero. Ora si è riposto in un modesto tumuletto sotto il pavimento”. Si raccolse della documentazione per la fama di santità e per i miracoli attribuiti alla sua intercessione, ma le vicende storiche non permisero un avvio della causa per la beatificazione.
Fra Benedetto Falcone , è nato a Grimaldi (CS) il 25 ottobre 1810. Al fonte battesimale gli fu dato il nome di Raffaele Antonio. Da ragazzo amava ritirarsi in luoghi solitari per dedicarsi alla preghiera. Giovane tentò di farsi accogliere tra i Riformati di Grimaldi e di Rende prima di approdare all’età di 21 anni in un vecchio romitorio di Santa Maria in Laurignano, frazione di Dipignano (CS), prendendo abito eremitico e il nome nuovo di Benedetto; qui il fratello sacerdote don Francesco Saverio era stato nominato parroco di Sant’Oliverio. Il ritrovamento misterioso del quadro della Madonna della catena richiama molti devoti ad onorare la Madre di Dio. Il fratello sacerdote gli aveva dato una buona istruzione che lo spinse ad abbandonare il silenzio e farsi predicatore delle verità di fede e maestro nell’istruzione per la gente di campagna. Viene descritto né scienziato, né letterato, ma uomo di buon senso. Non mancarono i seguaci che seguirono le orme del fondatore nell’istituto degli Eremiti delle Calabrie. Fra Benedetto, il 17 aprile 1866 all’età di 56 anni venne accolto da sorella morte e con la sua dipartita si ha un rilassamento dell’opera fondata. Morì in concetto di santità; ma in seguito non mancarono problemi interni ed esterni: ad esempio il Demanio di Cosenza volendo applicare le leggi per la soppressione degli ordini religiosi, tentò di prendersi la struttura. Dopo 24 anni di lotta, prima della sentenza, l’eremo si salva; gli eremiti si logorano e il meglio viene recuperato dai Passionisti, chiamati dall’Arcivescovo di Cosenza Mons. Camillo Sorgente, che desiderava più la formazione religiosa e morale che l’istruzione scolastica del popolo a cui deve pensare lo Stato.
Fra Raffaele Filippelli è nato a Mendicino (CS) nel 1862. Nel 1890 vesti gli abiti francescani, vivendo da eremita dopo aver chiesto l’autorizzazione all’Arcivescovo di Cosenza Mons. Camillo Sorgente. Scelse come eremo una piccola chiesetta quasi abbandonata e un pezzo di terreno sul colle di Santa Maria di Mendicino. Eremita e penitente si mise sotto lo sguardo di Maria Santissima, facendosi amico dei poveri e dei contadini della zona. Seguendo l’esempio del poverello di Assisi nel riedificare la casa del Signore, costruendo una Chiesa dedicata alla Madre di Dio, oggi santuario diocesano, chiese aiuto a don Salvatore Castriota che fu, nell’edificazione del tempio, progettista, esecutore dei lavori supportato dalle maestranze mendicinesi. Chiamato dai suoi paesani “fra Rafele” nel 1917 affiancò una struttura adiacente per il ricovero di persone anziane sole e abbandonate. Il nostro eremita è tale per lo stato di vita, ma è un missionario per i contatti con la gente ed è un promotore di carità sociale per le opere realizzate. Si fidava della bontà di Dio e della generosità della buona gente, che poneva nella cassetta delle elemosine l’obolo per le belle opere che andava realizzando. La carità vissuta gli procurò la simpatia e la benevolenza di tutti, ma non mancarono le difficoltà. Sul terreno pietroso del poggio di Santa Maria nel 1925 piantò un discreto uliveto ed edificò una casa colonica. Il sacrificio delle opere nessuno lo vuole, ma quando queste sono floride tutti rivendicano diritti, perciò fra Raffaele con i consigli della Curia Cosentina e la consulenza dell’Avvocato Francesco Sensi rivendicò come possesso personale terreno e struttura che per testamento lasciò a favore di un nipote sacerdote, Eugenio Parise che si trovava in America, il quale nel 1932 prese la direzione dell’opera per i ragazzi bisognosi da lui chiamata: “Figli dei Campi”. Fra Raffaele si spense nel 1944.
Fra Umile di Redipiano , il 5 dicembre del 1868 nasceva da Luigi Marsico e Marianna Preite Antonio, conosciuto come fra Umile di Redipiano piccola frazione di San Pietro in Guarano (CS). La famiglia viveva in una modesta casetta di una sola stanza, con una grande ricchezza di cristiana fede. Avviato da piccolo alla cura degli animali e dei lavori agricoli, Antonio è ragazzo vivace e intelligente, ma aperto alla preghiera. Nel 1888 partì per il servizio militare in Napoli dove imparò a leggere e scrivere e capì la sua vocazione alla vita religiosa. Ritornato dal servizio di leva fece voti privati di consacrato. Peregrinava per le case nell’annunziare la Parola di Dio, ma spesso veniva maltrattato e dal parroco gli fu consigliato di mettere un saio chiamandosi Umile di Redipiano, come i seguaci del poverello d’Assisi. Come Francesco, costruì una chiesa e un convento dato alle Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori per un opera assistenziale. Era il frate della questua che girava per le vie e si fermava davanti a ogni porta per ricevere una moneta e per dare un annuncio di fede. La Questura di Cosenza pensò che fosse un impostore e chiese il fermo della Curia cosentina, ma il parroco don Domenico Cassano difese l’operato dell’umile fraticello cercatore, e tutto ritornò alla calma. Convisse con una malferma salute per anni e quando frate corpo con nuovi acciacchi cercava di piegarlo, questi decuplicava lo zelo. Morì il 3 gennaio del 1964 all’età di 95 anni. Amava molto la Madonna; insieme a Lei come un tripide i santi suoi confidenti erano Francesco d’Assisi e di Paola e Umile da Bisignano.
Suor Teresa Maria Vitari , nacque a Cosenza il 9 marzo del 1837, da Clemente Vitari avvocato e proprietario e da Marianna Marini donna di elevate virtù. La famiglia per la provenienza dei genitori offriva alla piccola un ambiente sano sotto ogni aspetto. In Cosenza in pena efficienza vi erano tre monasteri femminili: quello delle Domenicane, quello delle Clarisse e quello delle Cappuccinelle. Suor Teresa scelse quest’ultimo: più rigido, dove la vita ogni giorno era un olocausto. Il 21 novembre 1856 avvenne il suo ingresso e a presenziare il rito vi era l’Arcivescovo del tempo Mons. Lorenzo Pontillo. Dopo il noviziato il 24 aprile 1858 comincia la sua scalata nella vita claustrale per i 63 di preghiera e servizio in monastero. Rimane l’ultima professa in ordine cronologico, visto il divieto di accoglierne di nuove imposto dall’unità d’Italia. Abitatrice solitaria sola nel grande monastero divenne molto popolare nella citta di Cosenza. La beata Elena Aiello, chiese consiglio alla Vitari prima di partire per Nocera dei Pagani fra le Suore del Preziosissimo Sangue, ma questa gli profetò che non vi sarebbe rimasta, perché il Signore aveva altri disegni.46 Si dice tra l’altro che avesse fatto una preghiera al Signore di non farla morire, prima di aver visto il monastero passare nelle mani di altre suore. Il 22 settembre 1919, da Como, vennero a Cosenza le prime quattro Guanelliane per accendere dalla carità orante la lampada della carità nelle opere di misericordia. Moriva santamente il 14 febbraio 1920, all’età di 83 anni, assistita dalle suore Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza, fondate da san Luigi Guanella. I suoi funerali furono un raro plebiscito di venerazione.
Madre Emma Pia Pignanelli è nata in San Giovanni in Fiore (CS) il 25 novembre del 1901 da Giuseppe e Maria Marra. Gli venne dato il nome di Maria Rosa, ma era chiamata Rosina. La famiglia era benestante; il padre era un costruttore. Rosina, settima di dieci figli, visse un’infanzia veramente felice e vivace, alimentata dalla fede della madre, francescana fervente. La morte del padre avvenuta nel 1914 creò dei disagi, e la nostra non poté concludere i suoi studi in Cosenza per divenire maestra. Chiamata da Dio alla vita religiosa, entra in noviziato il 15 ottobre del 1926 nelle Suore dell’Immacolata d’Ivrea, presenti in paese. Donna energica e piena di vitalità, impegnata in tutti i fronti, nella gioia della consacrazione tra le suore d’Ivrea. In sogno i pastorelli di Fatima Giacinto e Francesco l’invitano a fondare una nuova congregazione; poi la Vergine in un altro sogno indicò il vestito religioso da indossare. La nuova istituzione, inizialmente denominata Figlie Missionarie della Madonna di Fatima, oggi conosciuta come Suore della Madonna di Fatima, ha avuto origine il 2 ottobre 1949, presso il Santuario della Madonna di Fatima a Pieve (Perugia). Fu figlia spirituale di san Pio da Pietrelcina che l’incoraggerà nell’opera e la sosterrà nelle fatiche. A madre Emma non gli vennero risparmiati dolori e calunnie gratuite, ma la confidenza nel Cuore Immacolato di Maria, la vita spirituale intensa, il perdono e l’amore saranno la risposta soprattutto nelle ingratitudini. Le figlie della Pignanelli impegnate nell’educazione e promozione umana sono aggregate all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini con apposito decreto del Ministro Generale firmato l’8 settembre del 1964 con un carisma mariano-francescano. Il 23 Agosto 1975 in Reggio Calabria la Fondatrice si spegne in odore di santità gioiosamente donata nel diffondere la devozione e il messaggio della Madonna di Fatima.
Isabella Pizzi , ottava di 13 figli, di cui 5 maschi e 8 femmine, è nata da Domenico e Orsola Scigliano il 30 luglio del 1833 in San Giovanni in Fiore (CS). E’ una mistica e un’anima generosa, evangelicamente impegnata e apostolicamente attiva, che negli sconvolgimenti seppe essere personalità autenticamente cristiana. Questo giglio candido, sbocciato nella patria di adozione di Gioacchino da Fiore, ebbe molto a soffrire; la madre, sfibrata e sfinita per il peso familiare, non fu tenera con la piccola a cui non dava la necessaria attenzione, ma le fu ostile anche da adulta. A 10 anni la piccoletta si diede una regola di vita. Isabella è donna di profezia e di guarigioni, combattuta dal demonio, perché impegnata a propagare la fede nel suo paese. La Pizzi leggeva nel cuore delle amiche i peccati non accusati al confessore e Satana inviava i suoi emissari con vessazioni e percosse. Una visione mistica di molte corone posate sul suo capo le mostra le molte anime salvate attraverso il suo operato. Il suo confessore Saverio Francesco Caligiuri nel frequentarla, si convertì ad una amore appassionato a Gesù Eucaristia. Si interessò delle vicende umane del paese, aiutando poveri, carcerati, sofferenti; si prodigò per missioni popolari; incrementò devozioni; fondò confraternite per il risveglio della fede e l’assistenza ai bisognosi. Nel giorno del Corpus Domini, il 2 giugno del 1864 riceve il dono delle stimmate visibili in alcuni momenti dell’anno. Non gli mancarono i nemici, che la definivano pazza anche dopo la morte, avvenuta il 23 febbraio 1873. Lo stesso parroco di San Giovanni in Fiore garibaldino sfegatato, non mancò di turbare gli animi dei devoti con accuse rivolte a Isabella dopo la morte. L’Arcivescovo di Cosenza Camillo Sorgente placò le polemiche nel settembre del 1874 quando si inginocchiò sulla tomba per una preghiera.
Bianca Julia nasce in Acri (Cosenza) il 15 settembre del 1908, da Antonio Julia avvocato e da Antonietta Romano, nona di dodici figli. Fin da piccola si evidenzia un amore per le cose belle e per la poesia. Ammessa alla prima comunione avrà degli scrupoli che verranno chiariti dal Parroco, ma ad essi seguiranno prove di aridità. Ricca di virtù umane e religiose, si distingueva fra tutte. Si iscrisse all’Azione Cattolica e dopo pochi anni venne eletta presidente del circolo femminile della parrocchia san Nicola al Belvedere; carica che ricoprì fino alla morte. Amava relazionarsi con le associate in un colloquio personale, perché suo disagio era prendere in pubblico la parola. Lei stessa diceva: “Quando debbo parlare in pubblico, sento che mi si confondono le idee”. Aveva venti anni e in famiglia gli proposero di sposarsi, ma deviando dalla strada più battuta dell’amore, s’avviò solitaria, ma felice, lungo il cammino dell’amore verginale. Desiderava essere laica e incoraggiava le giovani del circolo femminile con le parola del Papa ad essere: “Angelicamente pure, eucaristicamente pie, apostolicamente operose”. Per i moti scoppiati in Italia nel 48, in un momento di smarrimento degli spiriti si immola per la Chiesa cosciente che chi non soffre non offre. Il 13 giugno 1951 inizia il suo calvario un forte dolore alla schiena. Si pensava che fosse sciatica, ma il 12 luglio 1951 in Cosenza i medici sentenziarono leucemia mieloide acuta. Le cure a poco servono, ma con amore diceva: “Non neghiamo nulla a Gesù”, Nei dolori atroci, così si esprimeva “Svuota l’inferno con queste mie pene”. Il difficile momento storico gli faceva dire: “Prendi me sola, Signore, ma salva la Chiesa, oggi così combattuta!”. Il suo capezzale divenne cattedra di edificazione per i sacerdoti acresi, per i familiari, gli amici e i visitatori. Si è spenta martedì 28 agosto 1951alle ore 16,00. Voce unanime era: “Oggi, in Acri, si è spenta una santa!”.
Settimia Palmieri in Sarpa viene alla luce il 23 ottobre del 1899 a Paola (CS). Nel 1920 andò in sposa a Raffaele Sarpa ed ebbe 14 figli, di cui uno morto in tenera età. Fu sposa fedele, nuora attenta e mamma straordinaria. Tenne il suocero in casa vivendo i disagi della numerosa famiglia e la sua forza fu il confidare nella fede del Signore. Nella vita non le mancarono prove e dolori come la morte del 36enne figlio Pietro, sposato da soli tre mesi; la morte del marito dopo quasi due anni di difficile malattia e la prematura morte di una giovanissima nuora. Settimia in casa aveva sempre la porta aperta per i poveri. Educava i suoi figli alla generosità e dai numerosi piatti che preparava per il pranzo o cena usciva quello per il povero che bussava alla porta. Non dava ciò che avanzava, ma condivideva ciò che aveva. Il bisognoso era accolto come Cristo, e se questi nelle vesti del mendicante si presentava dopo il pranzo, si provvedeva a cucinarlo nuovamente. La sua giornata era ritmata tra la Chiesa e il lavoro, incastonata con gemme di carità. Messa quotidiana e recita del rosario con devozioni vissute con coerenza e fede. La settimana era scandita nel seguente modo: Il lunedì era per le anime del Purgatorio; il martedì per Sant’Antonio di Padova; il mercoledì per la Vergine del monte Carmelo; il Giovedì per l’Eucaristia; il venerdì per San Francesco di Paola; il sabato per la Madonna e la domenica era tutta per il Signore. Nel 1981 fu inchiodata per un male incurabile a letto fino al 25 novembre 1982 quando si addormentò nel Signore. Nel gennaio del 1984 viene attribuita alla sua intercessione la guarigione del paolano Emiliano Zimmaro di 12 anni, affetto da neoplasia maligna tempora occipitale sinistra. Tutti davano il dodicenne per spacciato, ma la mamma di Emiliano sognò Settimia che gli annunciava la guarigione. Cosa che si verificò.