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San Daniele Fasanella da Belvedere Marittimo

La vita di San Daniele martire con sei compagni a Ceuta il 10 ottobre 1927, stando alle fonti, si suddivide in due distinti periodi contrassegnati dalla esistenza e non  delle stesse. Tutti gli autori storici, che si sono interessati ad essa, concordano sulla certezza del martirio del Santo ed in parte sulla veridicità della Missione, quale Frate Minore, sin dal 1219, anno in cui prese il Saio in Agropoli dalle mani di San Francesco, Fondatore dell’Ordine. Mentre, gli stessi autori, manifestano assoluta incertezza circa le notizie sulla sua vita precedente: la nascita con l’attribuzione del cognome, l’anno ed il luogo dell’evento, la sua attività.
La sintesi che ne fa l’edizione aggiornata della Treccani ne é una prova eloquente:

“DANIELE, santo. – Nacque a Belvedere Marittimo (nella provincia di Cosenza) probabilmente nell’ultimo decennio del secolo XII. L’attribuzione del cognome Fasanella risulta molto tarda e insicura. Scarse e incerte sono le notizie sulla sua vita; solo il martirio subito da Daniele, insieme con sei confratelli francescani, a Ceuta in Marocco il 10 ott. 1227, è ricordato da più fonti con ricchezza di particolari. Le fonti che narrano le vicende degli ultimi giorni e del martirio di Daniele e dei suoi compagni sono:

a) “una lettera scritta da Daniele” anche a nome dei suoi compagni e indirizzata a Ugo di Genova (il più anziano fra i sacerdoti residenti nel fondaco di Ceuta) e ad altri due frati (un domenicano e un francescano) che lì si trovavano temporaneamente. Fu scritta dal carcere ed è contemporanea agli avvenimenti. Nessuno studioso ha messo fino ad ora in dubbio la sua autenticità.
È inserita, facendone parte integrante nella;

b) “Passio sanctorum fratrum” riportata dalla “Chronica XXIV generalium”. Consiste in una narrazione piuttosto articolata degli avvenimenti. La sua attendibilità è data per certa da tutti i critici, mentre se ne discute la datazione, che oscilla tra il 1227 e il 1250;

c) “Passio septem fratrum minorum” (o Passio fiorentina, perché rinvenuta in un codice della Biblioteca Laurenziana) edita per la prima volta nel 1924 (Delorme), risale certamente al sec. XIII. È assai importante perché costituisce la fonte diretta dell’epitome del De conformitate di Bartolomeo da Pisa, che fu utilizzata, insieme con la Chronica XXIV generalium, per la redazione delle letture inserite nel Breviarium Romanum del 1516, dopo il riconoscimento del culto da parte di Leone X. Il testo del Breviarium è stato ripreso ed edito dai Bollandisti negli Acta Sanctorum;

d) “una lettera di Mariano da Genova” indirizzata a frate Elia al fine di informarlo sulla morte dei sette francescani. Il testo pretende di essere composto da un testimone oculare degli avvenimenti, ma alcuni dubbi sono stati mossi all’autenticità del documento, edito negli Acta Sanctorum;

e) “lettera di un anonimo francescano calabrese”, redatta probabilmente nel secolo XVII. In essa si sostiene l’origine calabrese di tutti e sette i martiri, dei quali vengono forniti dati sui luoghi di nascita, le casate di appartenenza ed altri particolari. Per il resto dipende dal Breviarium. Sembra che esistessero varie copie manoscritte di tale lettera, edita oggi dal Nocito e dal Coco.
Quest’ultima è l’unica fonte che fornisca notizie sulla vita di Daniele precedenti il suo viaggio in Marocco.
Si tratta di una fonte di molto posteriore e di incerta attendibilità. A sua detta Daniele era già prete quando nel 1219 ebbe modo di ascoltare ad Agropoli s. Francesco appena rientrato dall’Oriente.
Colpito dalla parola del santo, decise di entrare nel suo Ordine.
Tornò in Calabria, ove il provinciale lo assegnò alla dimora di Corigliano. Intorno al 1224 fu inviato dal nuovo provinciale calabrese, Bernardino Pugliso, in Sila per fondare, insieme con altri due fratelli, il convento di S. Maria del Soccorso sul passo di Pian del Lago.
Nel 1226 Daniele venne eletto provinciale di Calabria e durante il viaggio, che compì per visitare le dimore francescane della sua provincia, espresse il desiderio di partire per l’Oriente, ad imitazione di s. Francesco e dei francescani uccisi in missione a Marrākesh nel 1221.
Nel 1227 Daniele lasciò la Calabria insieme con altri sei francescani, Samuele, Angelo, Domno (o Domulo o Donulo, la grafia è assai incerta) da Montalcino, Leone, Nicola da Sassoferrato e Ugolino. Dopo aver ottenuto il necessario permesso da frate Elia, allora a capo dell’Ordine, presero il mare da un porto della Toscana: la prima tappa fu la città di Tarragona, in Spagna.
Il trasferimento da lì a Ceuta avvenne in due fasi a pochi giorni di distanza; si sa, ad ogni modo, che circa alla fine di settembre il gruppo dei francescani era di nuovo riunito e si stabiliva nel fondaco dei mercanti cristiani, posto alla periferia della città.
Dopo alcuni giorni di predicazioni ai commercianti pisani, genovesi e marsigliesi, i sette francescani decisero di iniziare l’annuncio del Vangelo ai musulmani. Dopo una notte di preparazione spirituale, la mattina successiva (probabilmente domenica 3 ottobre) Daniele e gli altri si introdussero di nascosto in Ceuta, proibita a tutti i cristiani sprovvisti dell’apposito permesso delle autorità locali. Spinti dall’entusiasmo, ma assolutamente privi di esperienza, i frati iniziarono la predicazione per le vie della città, in lingua italiana o latina poiché nessuno fra loro conosceva l’arabo.
Tale predicazione ebbe come esito immediato l’arresto dei sette francescani, nel medesimo giorno del loro ingresso in città. Tradotti davanti a quello che le fonti chiamano “re” (e che probabilmente era il governatore) di Ceuta, furono, dopo un sommario interrogatorio, giudicati pazzi e rinchiusi temporaneamente in prigione. Da lì Daniele scrisse la lettera di cui si è detto, documento prezioso per l’analisi della mistica del martirio diffusa nell’Ordine in quegli anni e delle correnti spirituali presenti nel primo francescanesimo.
Dopo circa una settimana, Daniele e gli altri furono condotti di nuovo alla presenza del governatore: durante l’interrogatorio si chiarì la natura delle intenzioni dei sette, i quali, sostenendo di non essere in alcun modo malati di mente, non persero l’occasione per rivolgere di nuovo agli astanti l’invito alla conversione, alla presenza di un interprete che comprendeva il latino. Nell’impeto del discorso. Daniele si lasciò andare ad insulti rivolti a Maometto e a tutti i suoi seguaci che si rifiutavano di riconoscere la divinità di Cristo e che perseguitavano i suoi discepoli.
Invitato a ritirare quegli insulti e ad abbracciare l’islamismo, Daniele rifiutò sdegnosamente, imitato immediatamente da tutti i compagni, che invocavano il martirio. Condotti allora davanti al locale giudice, i sette furono di nuovo invitati a convertirsi alla religione di Maometto. A seguito dei loro reiteratì rifiuti il tribunale li condannò a morte.
La sentenza fu eseguita quello stesso giorno, il 10 ott. 1227, per decapitazione, alla periferia di Ceuta.
I mercanti cristiani, probabilmente con il permesso delle autorità, raccolsero i corpi e li seppellirono decorosamente nel fondaco.
Le ossa furono in seguito (1251) trasferite dall’infante Pedro di Portogallo nella penisola iberica, forse a Braga, dove ebbero inizio alcune manifestazioni di culto pubblico. Città della Spagna, del Portogallo e dell’Italia vantano reliquie di qualcuno dei martiri, ma non è documentata la dispersione dei loro resti.
Con decreto del 22 genn. 1516, Leone X permise, per i francescani, il culto di Daniele e dei suoi compagni, fissando la data al 13 ottobre (il 10, giorno della morte, cade infatti nell’ottava destinata dall’Ordine alle celebrazioni di s. Francesco).

Per approfondire:

https://lorizzonte.net/?p=19129

Postato su 10 ottobre 2017 by Mauro D'Aprile

 

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