Questo sito è stato realizzato da Papaianni Angelo. Lo scopo del sito è quello di far conoscere la Madonna della Sanità o della Cava di Luzzi
Santa Domenica di Tropea
Domenica nacque a Tropea sul finire del terzo secolo, sotto l’impero di Diocleziano Augusto. I suoi genitori, Doroteo ed Arsenia, erano Greci di origine e cristiani; vivevano nella perfetta pace dell’amore coniugale, condividendo con i poveri le loro sostanze, e diffondendo, come si poteva a quei tempi, il Vangelo di Gesù Cristo.
Erano trascorsi parecchi anni di matrimonio ed ancora non avevano avuto figli. I digiuni, le lacrime, le elemosine ottennero da Dio la grazia desiderata, e la casa di Doroteo ed Arsenia venne allietata dalla nascita di una bellissima bambina, che, perchè nata in giorno di domenica, e donata in modo eccezionale da Dio, venne chiamata Domenica, ossia del Signore.
E tutta del Signore fu Domenica, che, sotto le cure e la guida dei santi genitori, crebbe in grazia e in santità: devota a Dio, ubbidiente ai genitori, umile e mansueta, affabile e manierosa con tutti.
Domenica con gioia consacrò a Dio la sua verginità, a Lui dedicò la sua singolare bellezza: la sua decisione ebbe la completa approvazione dei suoi genitori.
Intanto la persecuzione verso i cristiani non accennava a diminuire e il martirio non era lontano per questa santa famiglia cristiana che viveva in Tropea. Domenica e i genitori desideravano dare la vita per Cristo, per la sua fede, per la sua Chiesa, e seguivano con trepidazione lo svolgersi delle vicende.
Gli storici sogliono classificare in dieci le principali persecuzioni più contro i cristiani, cominciando da quella di Nerone durante la quale i Santi Apostoli Pietro e Paolo consacrarono l’eterna Roma col loro sangue glorioso.
Sul principio del suo governo, l’imperatore Diocleziano si mostrò benigno coi cristiani, evitando che fosse loro richiesto di rinunziare alla propria Fede. Ma dopo appena due anni, promulgò l’editto di proscrizione e di morte, senza distinzione di ceto sociale. L’intera legione Tebea, formata da soldati cristiani che avevano combattuto nella Gallia a favore dell’Impero, richiesta di abiurare la propria fede, volle morire piuttosto che tradire la fedeltà a Cristo.
Gli storici del tempo, anche pagani, descrivono la generale carneficina che il crudele Diocleziano volle a sua glorificazione, per sentirsi attribuita la distruzione della superstizione cristiana, come veniva dai pagani. I monumenti ed altre prove di autenticità affermano l’eroismo, il coraggio, e lo zelo dei fedeli di quell’epoca memoranda, ed attestano ancora l’empietà, l’ingiustizia, la crudeltà della persecuzione. I pochi luoghi sacri dei cristiani sono profanati e distrutti; i libri sacri, gli Atti dei santi Martiri sono bruciati perché se ne perda la memoria.
Nel furore di questa persecuzione si compiva il sacrificio di Domenica e della sua famiglia. Insieme ai genitori, Santa Domenica viene denunziata al Proconsole di Calabria come nemica degli dei dell’Impero e seguace del Dio dei cristiani. Il Proconsole ne informa subito l’Imperatore, il quale ordina che, persistendo essi nella fede, vengano tradotti subito da lui. L’imperatore Diocleziano soggiornava allora a Nola in Campania fra le adulazioni dei cortigiani, gonfio di vana gloria per i trionfi riportati sui Persiani e intanto seguiva di persona e con ferocia inumana la persecuzione che aveva scatenato. Il viaggio da Tropea allora era di molte giornate ed era reso ancor più duro dalle catene, dal vitto scarso e dalle vessazioni a cui Domenica e i suoi genitori erano sottoposti dai ministri dell’Imperatore. Si può immaginare lo strazio dei genitori nel vedere la loro amabile fanciulla sotto il peso delle catene, coperta di polvere, bagnata di sudore e di sangue, venire meno a causa della fatica e della fame. E Si può immaginare anche la pena di Domenica nel vedere il padre e la madre affranti dai patimenti!
Che forza dovette fare ciascuno a se stesso per nascondere agli altri le proprie sofferenze! Doroteo ed Arsenia confortavano la figlia ricordandole che le pene si sarebbero convertite in gioie, e lassù avrebbe goduto il sospirato premio celeste; Domenica sosteneva le loro speranze, assicurando che non avrebbe temuto né lo sguardo dell’Imperatore, né l’atrocità dei tormenti e neppure il patibolo.
Giunti a Nola furono rinchiusi in oscura ed umida prigione, in attesa del loro turno per comparire dinanzi a Diocleziano.
Domenica e i suoi genitori furono presentati a Diocleziano. Gli sguardi di tutti si fermarono subito sopra l’avvenente quindicenne Domenica. Il giudice li accoglie col sorriso sulle labbra e nella maniera più lusinghevole rivolto a Domenica così le parla: «Senti figliuola: come mai tu, di nobili natali, di tanto ingegno e così avvenente, ti sei lasciata indurre a farti cristiana, seguace di un galileo fatto morire sopra una disonorata croce? A lui contrapponi la maestà degli dei, dinanzi ai quali anche la mia destra brucia l’incenso? Smetti, Domenica, queste tue superstizioni nocive all’impero ed io t’accetterò come figliola; penserò a cercarti un degno sposo e a prepararti una vita felice. Se invece vuoi ostinarti nella tua stolta religione dovrai provare la tremenda ira di Cesare. Scegli, dunque, da saggia e prudente».
Domenica, in mezzo ai genitori, coraggiosamente risponde: «Non accadrà mai che tu mi persuada a rinnegare la fede del mio Dio Gesù Cristo; non avverrà giammai che io abbandoni il mio amante Signore, che è il solo vero Dio, per bruciare gli incensi agli dei falsi e bugiardi. Dello sposo non mi dò pensiero, perché l’ho già scelto nel cielo, capace di rendermi felice in eterno. La tua adozione non mi occorre, perché ho per padre il mio Dio, che mi dà la forza di stare così calma e tranquilla davanti alle tue minacce che non potranno separarmi da Lui, che mi aspetta con questi miei cari genitori al premio eterno, riservato ai suoi fedeli».
Queste parole di Domenica sdegnarono grandemente l’Imperatore, il quale su tutte le furie, diede ordine che i tre seguaci di Cristo venissero subito trascinati per la città ed essere frustati per le strade. Ma essi, sotto la tempesta di tanti colpi, benedicevano il Signore che li aveva resi degni di patire per Lui.
Quindi Diocleziano, nella sua raffinata malizia, pensò che più della morte sarebbe riuscita dolorosa per Domenica la separazione dai suoi genitori.Diede dunque ordine che Doroteo ed Arsenia fossero tratti di prigione, e carichi di catene, venissero spediti nella lontana Mesopotamia.
Mentre Diocleziano infieriva contro i seguaci di Gesù Cristo, le cose d’Oriente fecero sentire il bisogno della sua presenza, ed egli senza ritardo dovette abbandonare l’Occidente a Massimiano che sin dal 286 si era associato all’Impero.
Quest’altro mostro, ricevuto l’incarico di pervertire o di stritolare l’eroica fanciulla di Tropea, per vendicare la maestà imperiale umiliata al cospetto di un popolo intero dalla sua fermezza e da tanta costanza, la fece venire dalla Campania a Roma, pensando di conquistarla in breve tempo.
L’intrepida Domenica fu dunque condotta a Massimiano che provò ad incuterle spavento; ma le sue incantevoli fattezze, rese ancor più maestose dai patimenti e dall’interna ingenuità, e il dignitoso e fiero sguardo di Domenica lo conquistarono; anzi si sentì vinto, ed affettando galanteria prese a tentarla in mille modi nella speranza di sedurla col suo prestigio. Ma non riuscì a destare in Domenica alcuna emozione che indicasse un indebolimento nel suo proposito. I cortigiani inoltre le indicavano la sconvenienza di contraddire la maestà dell’imperatore e la sollecitavano a piegarsi ai comandi, alle premure, alle promesse di Massimiano. Ma la santa con l’aspetto d’un angelo, con poche parole, suggerite da quello Spirito che mette sulle labbra, a tempo propizio, quello che si ha da dire, confuse talmente l’Imperatore e quanti le prodigavano consigli insulsi, che tutti ammutolirono.
Massimiano allora diede ordine che fosse rinchiusa in oscura prigione a morir di fame, sperando che la solitudine e l’inedia avrebbero snervata e resa domabile quella tempra adamantina. Ma Iddio confortò talmente la santa Vergine che i custodi dovettero ben presto riferire al monarca che gli orrori del carcere non avevano alcuna efficacia sul cuore della giovine; anzi servivano a renderla più salda. Per vincerla, bisognava prendere un’altra via.
Il crudele Massimiano ricorse allora ad un’arma satanicamente maligna.
Chiamata una donna d’infame mestiere, con larghe promesse di doni, l’incaricò di corrompere il verginal pudore di Domenica per indurla poi all’apostasia. La giovane perciò fu sciolta dalle catene, tolta dalla prigione, e, vestita con straordinaria eleganza, fu messa nelle mani di quella megera.
Questa, nulla lasciò d’intentato: promesse, preghiere, offerte e minacce; ma tutto fu vano. Per dieci giorni continui durò questo tormento per Domenica, ma furono per lei giorni gloriosi, perché le recavano merito di nuove vittoria.
La detestabile donna, provati inefficaci tutti i. tentativi di corrompere Domenica, la rimandò all’Imperatore Massimiano. E questi, dopo aver cercato ancora una volta, di indurre la vergine cristiana alle sue voglie, rimasto una seconda volta confuso e sconfitto dall’eloquenza di lei, ordinò che, gettata a terra, venisse duramente calpestata. Ma essa miracolosamente si rialzò, completamente illesa.
Non credendo il tiranno ai suoi occhi, dimentico della dignità imperiale, ordinò che venisse in sua presenza denudata e sottoposta a dura flagellazione. Fu tale la sua pazienza, la generosità e l’allegrezza che manifestava Domenica, che Massimiano fu costretto a far smettere di batterla; e per toglierla dagli occhi del pubblico che cominciava ad ammirarla e si convertiva a Cristo. Pertanto la fece rinchiudere in carcere.
Massimiano, vinto dalla tenace resistenza di Domenica, pensò di rimandare Domenica in Campania dal Proconsole Ilariano, un altro tiranno sanguinario che la sottopose ad ulteriori tormenti: la fece appendere pei capelli sopra una catasta di legna a bruciare, ma il Signore la guarì miracolosamente dalle piaghe. La fece condurre in catene al tempio di Giove, ma qui Domenica compì meraviglie, perché al solo suo entrare si abbatterono le statue degli dei. E lo stesso Ilariano, furente più che mai, mentre si avvicinava alla Vergine di Cristo veniva ucciso da un fulmine.
Condannata dal successore di lui a morire in una fornace ardente, ne esce illesa. Esposta ai lupi ed ai leoni, li doma e ne è accarezzata. Vincitrice di tanti tormenti e di tanti supplizi, viene in fine condannata alla decapitazione. Era il 6 luglio dell’anno 303.
Dopo aver pregato si alzò in piedi e con impeto di spirito generoso e lieto, ilare, forte e maestosa, andò verso il carnefice. Si mise in ginocchio; piegò il capo alla spada che d’un sol colpo lo recise, coronandolo di glorioso martirio.
La persecuzione continuava ad infierire e non lasciava ai cristiani un istante di riposo, passando dall’Italia all’Africa, dall’alta Asia alla Palestina e all’Egitto e in Armenia, non lasciando pace in nessun luogo! La Chiesa però cresceva e prosperava, sfidando questo secolo di corruzione. Il sangue dei Martiri e le loro preghiere davano i primi frutti !
Morivano i martiri, ma morivano anche i persecutori. E così la Chiesa, di cui i persecutori avevano giurato la distruzione, apparve più giovane, più florida che mai. L’anno 313 Costantino diede piena libertà alla Chiesa; decretò che fossero restituite tutte le proprietà confiscate ai cristiani. In breve tempo la Chiesa potè celebrare i suoi riti e le sue cerimonie e furono edificate splendide basiliche ovunque.
Anche per Domenica venne rapida e spontanea la glorificazione. Già durante il suo martirio alcuni angeli presero umane sembianze, fra la commozione generale degli astanti. Mentre il suo spirito saliva giubilando allo Sposo celeste, il suo corpo, per sublime ministero degli angeli, veniva portato a Tropea, sua patria. Alla vista degli angioli che facevano ossequio, settecento soldati e tremila cittadini, ripudiarono il culto degli dei e si fecero cristiani e devoti della invitta Martire Domenica.
In breve tempo si elevarono in suo onore templi sontuosi. Belle chiese o altari ebbe ed ha la santa in Fiumefreddo Bruzio, Messina, Zara, Saluzzo, Gambara, Castelnuovo di Cattaro, S. Domenica di Ricadi, Longobardi, Cassano Jonio, Nola, Campagna, Tremestieri, Aprigliano, S. Domenica di Gallico, Monreale, Vizzini, Orra, Caraffa, Sitizzano, Ruggero, Scorrano, Caltanisetta, e altrove.
Il culto di S. Domenica si estese ben presto e divenne popolarissimo oltrecché in Occidente anche in Oriente, dove alla sua diffusione influirono la morte gloriosa dei suoi santi genitori, avvenuta in Armenia, e le relazioni che sorsero tra quelle regioni e le nostre, attraverso i monaci Basiliani.
Alcuni miracoli consegnati dalla tradizione sono segno della carità che Domenica ebbe qui in terra.
Una delle più gravi tribolazioni dell’Italia meridionale, a cominciare dall’840 fino allo scorso secolo furono certo le scorrerie dei Saraceni e dei pirati. Se spesse volte gl’infedeli venivano respinti e messi in fuga, molte altre volte gli abitanti delle coste marittime, presi all’improvviso, venivano massacrati o fatti prigionieri e trasportati schiavi in Oriente, esposti al pericolo continuo di perdere con la libertà anche la fede.
Una volta questi corsari giunsero di nottetempo a Ciaramiti (VV), con la speranza di cogliere nel sonno gli abitanti e di fare man bassa d’ogni cosa.
Vegliava però la Patrona, la gloriosa S. Domenica. Senza che mano d’uomo ne tirasse le corde, le campane della chiesa si misero a suonare miracolosamente a raccolta. All’improvviso scampanio, nel cupo silenzio della notte, i masnadieri atterriti, se ne fuggirono precipitosamente alle navi. I buoni abitanti del villaggio, riconosciuto l’intervento della celeste protettrice, le resero vive e solenni grazie.
Un fatto non meno prodigioso accadde a Tremestieri (CT) nel 1203. Era la notte di Natale. Mentre i fedeli stavano in chiesa, intenti ai divini misteri, i pirati piombarono loro vicino e stavano per farne strage, quando sulla porta della chiesa, a lei dedicata, comparve S. Domenica, circondata di luce misteriosa e con lo stendardo della Croce in mano. A tale spettacolo quei barbari s’arrestarono, e, tornati di corsa alle navi, s’allontanarono da quei luoghi, senza mai più farvi ritorno.
Special protezione ebbe S. Domenica per la sua Tropea (VV), tenendone sempre lontani i flagelli, le carestie, le pestilenze e i terremoti.
Nel terribile terremoto del 1638 molte città della Calabria furono devastate e distrutte. Tropea, sebbene traballasse tutta dalle fondamenta, non ebbe una casa crollata. Non una vittima. Nel terremoto non meno terribile del 1905 l’epicentro fu in Parghelia, che dista soli tre chilometri da Tropea. Parghelia e molti paesi limitrofi furono rasi al suolo; Tropea non ebbe alcun danno.
​
​
Tratto da: Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
La vita di Santa Domenica vergine e martire
Per approfondire : https://www.tropeaedintorni.it/la-vita-di-santa-domenica-vergine-e-martire.html
​