Flaviano GARRITANO nasce a Bollate (MI) nel 1973. Da molti anni vive a Luzzi e lavora su tutto il territorio calabrese. Dopo aver conseguito il diploma di geometra si è laureato in Economia presso l'Università della Calabria.
Ha una profonda passione per la storia, soprattutto per quella della nostra terra che non sempre troviamo facilmente sui libri. Ha scritto sul giornale universitario "Ora locale"; da circa vent'anni scrive su "Il Veltro della Sambucina"; scrive inoltre su "Calabria" e "Noi nel mondo".
E' vice presidente del direttivo della pro loco di Luzzi "La terra dei Lucij".
Ha preso parte a molti convegni e dibattiti culturali. Il suo lodevole intento è quello di impegnarsi per diffondere la conoscenza della storia dei monaci Cistercensi attraverso la storia dell'Abbazia della Sambucina e di tutte le sue filiazioni sorte nel Regno Normanno.
Mascaro Rosetta
Storie vere di briganti dei Casali di Cosenza
mercoledì 18 aprile 2018
INTERVISTA PER LA RIVISTA "CALABRIA NOI NEL MONDO"
(a cura di Flaviano Garritano)
Di recente avete realizzato un film sulla brigantessa Maria Oliverio alias Ciccilla, chi era? perché avete dedicato particolare attenzione a questo soggetto e non ad altri? Forse perché era del suo paese oppure questo personaggio riesce a rappresentare meglio questo fenomeno del brigantaggio.
Il motivo principale è quello di far conoscere un pezzo della nostra storia dei Casali che a quel tempo era molto nota e di cui se ne era persa la memoria fino al 2000. Anche noi recentemente, con incredulità, abbiamo scoperto che la storia di Ciccilla e di Pietro Monaco, all'epoca quando fu catturata e condannata, era conosciuta in tutta Europa. Conquistò le prime pagine di tutti i giornali non solo italiani, ma anche le prime pagine dei più venduti giornali francesi (come le Journal Illustré – una sorta di precursore della Domenica del Corriere) o inglesi (come il Manchester Post). E poi c’è Alexandre Dumas: chi si aspettava che la storia di un brigante e di una brigantessa casalini fosse raccontata sul “L’indipendente” in 7 puntate (tutte in prima pagina) dal più celebre dei romanzieri di ogni tempo. Mai, dopo di allora, i Casali di Cosenza ebbero un tale spazio sulla stampa.
Inoltre Ciccilla affascina perché è una di noi. Una persona normale, rappresenta una donna che viene travolta nel vortice sanguinario e corrotto del marito. Era assolutamente lontana da ogni violenza. Era molto povera, una cattolica praticante, buona, bella, spesso vittima delle violenze del marito. Così viene descritta dalle vicine di casa nei processi.
Dalle ricerche successive si intuiscono una serie di cose che ce la rendono ancora più simpatica. Probabilmente non riusciva ad avere figli. Un’onta per quei tempi. Tradita dalla sorella che viveva senza marito con tre bambini. Il sospetto che fossero i figli di Pietro Monaco è fondato perché il marito di Teresa non c’è, viveva da anni in Sicilia, lontano. E poi quel triste contratto firmato davanti al notaio Alfonso Gullo, tra il padre di Ciccilla e Pietro Monaco in cui, vista l’estrema povertà, il padre impegna la casa se entro cinque anni non riesce a pagare 100 ducati di dote.
Colpisce anche come l’esasperazione possa trasformare una persona normale in una sanguinaria brigantessa, una cavallerizza, una persona capace di rubare, uccidere, ricattare, sparare.
Quando l’associazione Prometeo88 mi propose di girare un film mi sembrava di realizzare un sogno. Come se dovessi materializzare quello che avevo solo immaginato. Accettai subito e stesi in poco tempo la prima sceneggiatura che fu necessariamente e concordemente stravolta dagli altri registi costretti a stare con i piedi per terra per l’esiguità del budget.
Peppino Curcio, storico, ha scritto molti libri e articoli sui briganti, ma da dove ha tratto questa passione per questi "briganti casalini"?
Chiariamo subito, sono laureato in Scienze Politiche e l’indirizzo di laurea non è quello storico, ma politologico. Ma già la mia tesi in Scienza dell’Amministrazione mi offrì la possibilità di un approfondimento storico che mi appassionò.
Contemporaneamente alla tesi aiutai mio zio, Pietro D’Ambrosio, a scrivere il suo libro sul brigante Pietro Monaco e sua moglie Ciccilla. Con mio zio è arrivata la passione per la ricerca storica e la conoscenza delle nostre radici. Ovvero guardare gli eventi storici ribaltando il modo di leggere la Storia partendo non dai grandi eventi, ma dalla nostra storia. L’unità d’Italia, i mille, il 1848, Napoleone, il risorgimento, la resistenza, il fascismo. Tutti macroeventi che se osservati da Cosenza o dai Casali o addirittura da casa mia, assumono un altro fascino e tutto diventa decisamente meno noioso.
Non ho poi scritto “molti” libri, appena due, o forse uno, perché il secondo, “Briganti casalini” si integra ed è un antefatto del primo.
Ma per scrivere “Ciccilla. Storia della brigantessa Maria Oliverio del brigante Pietro Monaco e della sua comitiva” ho dato l’anima. Ho frequentato., in circa 10 anni, e per decine di volte l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, gli Archivi di Stato di Napoli (spesso anche inutilmente), Cosenza e Catanzaro; la biblioteche Nazionali di Napoli e Cosenza, la nostra Biblioteca Civica; anche l’archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito ho frequentato molto spesso. Devo dire che se non avessi avuto la passione per la storia e l’indispensabile entusiasmo per la ricerca non avrei mai potuto mettere insieme l’enorme mole di foto digitali di fonti documentarie e riuscire a fare la sintesi che il mio libro rappresenta.
In particolare, chi erano questi "briganti casalini"?
L’aggettivo casalini, riferito ai briganti dei casali di Cosenza, non è inventato, ma l’ho spesso incontrato negli interrogatori dei processi. E’ curioso che questa identificazione precisa veniva da testimoni che provenivano da Acri, Luzzi oppure da Rogliano, ovvero appena fuori quel circuito di paesi che sono intorno a Cosenza, in particolare quelli che hanno alle spalle la Sila.
Nel libro “Briganti Casalini” si raccontano due vicende. Una è un antefatto del libro Ciccilla che approfondisce la storia della vittima di Ciccilla: la sorella Teresa. e scopro i motivi dell’odio che la portano a uccidere.
Alla seconda storia ho voluto dare per titolo il soprannome di una vittima dei briganti che spesso non vengono messi nella giusta luce: Pagacota. La vicenda è dedicata a uno dei briganti più violenti, Vincenzo Marrazzo Esposito. Si racconta la storia di un omicidio avvenuto prima che il brigante entrasse nella banda Monaco.
E’ interessante perché, in entrambe le storie, gli intrallazzi del potere che portano all’assoluzione dei colpevoli sono talmente evidenti e palesi da essere paradigmatici del clima che si respirava quando si unì l‘Italia e quanto erano condizionati quei giudici dei palazzi della giustizia di Cosenza e dei suoi casali.
Leggendo i suoi libri, frutto di meticolose ricerche, sembra di rivivere quei periodi ma vorremmo capire : Lei da che parte sta
La sua non è una domanda lecita, rappresenta quello che uno storico non dovrebbe mai fare, ovvero guardare un fatto con il metro di una parte politica. Uno storico dovrebbe sforzarsi di guardare in maniera oggettiva quello che le fonti primarie dimostrano. Il vero dramma dell’incomprensione e del mancato approfondimento del brigantaggio è proprio l’esigenza di stare da una parte. Come se si dovesse convincere qualcuno, o se si dovesse andare alle elezioni per votare un filo piemontese o un filo borbonico. Quindi spero di stare dalla parte della Storia e cerco di dare elementi, mostrare documenti e raccontare fatti per capire il brigantaggio e perché è esistito un fenomeno tanto pervasivo, complesso e violento.
Se in qualche tratto del libro posso aver dato una interpretazione di parte spero di averlo fatto in modo palese e chiaro dividendo le opinioni o le ipotesi dai fatti, in modo da lasciare ai miei lettori una libera interpretazione delle fonti documentarie.
Alcuni scrittori descrivono i briganti come eroi altri come feroci assassini; si leggono racconti di rapine, riscatti, omicidi ma la verità dove sta?
Ogni brigante ha la sua storia. Parteggiare per una parte politica provoca proprio quello che la sua domanda sottintende, ovvero considerare tutti i briganti da una stessa parte politica. Questo è palesemente falso. Monaco è prima filo piemontese, poi contro i patrioti e poi per conto suo. Nel suo caso, a seconda del periodo, è piemontese o antipiemontese o del tutto autonomo.
Schiere di neri briganti seguirono i mille, come schiere di briganti seguirono Borges prima che venisse ucciso a Tagliacozzo. Quindi la verità sta nella ricerca e nello studio delle fonti documentarie (come i processi), la verità è che la comprensione di un fatto implica una ricerca, uno studio e un approfondimento prima di dire se un brigante sta da una parte politica o è semplicemente un violento.
Ha dei libri in cantiere per il futuro oltre quelli che mi ha già accennato?
Da quando ho scritto Ciccilla non ho mai smesso di ricercare perché troppo grande è il non conosciuto e il non indagato di questo particolarissimo aspetto della storia cosentina. Con una differenza, rispetto al passato: ho l’aiuto e la collaborazione dell’amico Paolo Rizzuti con il quale condivido la passione, lo studio e la ricerca (e quindi si raddoppia la conoscenza). Con lui ho scritto Briganti Casalini e con lui scriverò il secondo volume e spero pure un terzo.
Il prossimo libro riguarda personaggi di quel periodo le cui storie chiariscono proprio quel che si è detto circa il parteggiare per una parte politica. In particolare il libro porrà l’attenzione verso un prete patriota e un parroco filoborbonico dei quali ho accennato in una scena del film Ciccilla.
Il primo è Don Michele Leonetti, patriota già vittima dei briganti, che segnala al maresciallo Fumel e fa arrestare 50 briganti di Serra Pedace, per questo verrà barbaramente ucciso con una fucilata in bocca da tre dei briganti che denunciò.
Il Parroco è, invece Don Bartolo D’Ambrosio un personaggio davvero sui generis. Rigidamente filo borbonico e antiunitario fu protagonista nel 1848 delle occupazioni delle terre in Sila (località Carlo Magno) usurpate dal barone e patriota Berlingieri. Comico e originale il suo atteggiamento politico durante il plebiscito del 1860 e le sue scaramucce con il patriota e garibaldino Giovan Battista Adami (una storia alla Guareschi, ma 100 anni prima). All’insediarsi del potere dei Savoia e in seguito a una rivolta borbonica fu arrestato e rinchiuso nelle carceri di Catanzaro per un anno, senza processo. Interessanti anche le relazioni con il brigante Giovan Battista Piluso alias Napulione, suo nipote, figlio della sorella Emanuella D’Ambrosio.
Il libro approfondirà anche un altro cruciale periodo. Con Paolo Rizzuti abbiamo approfondito e ricostruito quanto avvenne a Pedace, a Serra Pedace e a Iotta (altro casale dell’antica bagliva di Pedace) durante il cosiddetto “Sacco di Pedace” (così lo chiama un conosciuto saggio dello storico celichese Gustavo Valente) del 1806 e le relative storie brigantesche legate ai personaggi protagonisti di quei lontani eventi: come lo sconosciuto e sanguinario brigante RoccoAntonio De Luca o il celebre brigante (stragista si direbbe oggi) Giacomo Pisano alias Francatrippa (citato da Dumas, da Stendhal, ritratto da una pittrice francese dell’800, e da molti gli storici contemporanei), o come Lorenzo Martire protagonista della reazione borbonica del 1799 e dell’esercito della Santa Fede guidato dal Cardinale Ruffo e della conseguente guerra contro i francesi.
Un terzo libro, ancora nemmeno in cantiere, sarà quello degli ultimi capi briganti casalini: Giovanni Sijinardi di Pietrafitta e Giovanni De Luca di Pedace attivi in un’unica banda dal 1865 fino al 1876 (11 anni !?!). Su questa banda c’è un velo troppo fitto. Pochi processi, si intuiscono gravissime forme di repressione. Eppure è l’ultima banda. Si dice che Giovanni De Luca sia l’unico capo brigante che sia riuscito a scappare alla giustizia e a partire per l’America. Chissà se riuscissi a trovarne una traccia. Rimangono, infine, da indagare meglio i terribili briganti casalini che agirono nel lungo periodo dal 1820 al 1850. Dei briganti di questo lungo periodo conosciamo meglio Giosafatte Talarico perché ne parlò Nicola Misasi anche lui di Parenti come il brigante, ma c’erano tanti altri capi briganti ben più feroci e con più lunga carriera criminale: Magarò di Spezzano Grande (oggi “della Sila”), Papaianni di Serra Pedace, Coscarella alias Palumbo di Torzano (oggi Borgo Partenope), ecc ecc ecc. Tanti, troppi.
Quando è iniziato il fenomeno del brigantaggio e da chi è stato promosso o istigato nelle nostre terre?
Dumas, che conosce bene proprio i briganti casalini, dice che il fenomeno è endemico. Una grave affermazione, ma vera. Vuol dire che in ogni età qui ci sono stati briganti che in ogni tempo hanno condizionato il potere e le comunità di appartenenza. Un recente e bel libro “Il prefetto e i briganti” di Giuseppe Ferraro si fa una descrizione del paesaggio dei casali visto dal Prefetto Enrico Guicciardi. Accanto alla incredibile cura e bellezza dei luoghi, segnala il terribile clima di violenza al punto che le donne camminavano “attaccate” ai mariti per paura che subissero violenza.
C’è anche una celebre immagine nella Poesia di Padula “La notte di Natale” che descrive la Madonna nell’atteggiamento che Guicciardi descrive. La poesia dice “… toccapiedi allu vecchiottu, ppe lla strada spara e scura …” vuol dire che la Madonna veniva protetta da San Giuseppe camminandogli così vicino tanto da toccare con i suoi passi i piedi dell’uomo. Un clima di estrema violenza quotidiana generata da una condizione semplice per chi delinque: l’estrema facilità di sfuggire alla espiazione della pena. Avere un territorio alle spalle immenso e lontano da ogni comunicazione stradale aiuta non solo la latitanza, ma anche la nascita e la crescita del fenomeno del brigantaggio. Come lo stesso Misasi ci fa capire nel suo libro su Giosafatte Talarico i briganti latitanti hanno relazioni stabili con il potere e la comunità d’appartenenza anche per il semplice fatto che “gestivano” l’uso della forza in un territorio.
Restando su Padula, sul giornale da lui diretto, “Il Bruzio”, si chiese e scrisse come mai Francesco Martire (a quel tempo amministratore dei beni del barone Berlingieri e direttore del giornale “Cronache di Calabria” e negli anni successivi sindaco di Cosenza e ministro) non avesse mai subito un’aggressione, un furto, uno screzio da parte del brigante Pietro Monaco. Per questa “illazione” subì un processo per calunnia e dovette chiudere “Il Bruzio”. Ma aveva ragione da vendere.
L’endemicità crea una serie di condizioni di convivenza, di interrelazioni tra la comunità e chi è bandito, brigante o “fuoriuscito” (termine con cui efficacemente venivano chiamati i briganti). Sappiamo che erano i briganti a portare il santo patrono nelle processioni, che la Madonna del Carmine era la loro protettrice, che alcuni mestieri come il carbonaio comportava relazioni molto strette con i fuoriusciti (e questo spiega perché a Serra Pedace, paese con molti carbonai, ci fossero molti briganti). Un'altra conseguenza dell’endemicità del fenomeno sono le relazioni parentali tra briganti: si sposavano tra di loro. Ho ritrovato, addirittura, una lontana relazione parentale tra Giacomo Pisano Francatrippa e Pietro Monaco. Come appare curioso che il vestito dei briganti fosse nero, uguale nei decenni, come una divisa (e questo sì, vale per tutti i briganti), ci si vestiva da briganti. Discorso da approfondire riguarda gli “stili”, cioè i pugnali dei briganti, alcuni indizi portano a credere che erano distinti a seconda dell’importanza del brigante all’interno della stessa banda.
Oggi, sorge spontaneo a noi lettori chiederci se questo fenomeno si sia esaurito o ha cambiato nomi e vesti storiche?
No. Non c’è nulla di simile oggi. Credo che il brigantaggio sia stato un fenomeno che si è ancora lontani dal coglierne la portata. Erano in relazione con il potere e nello stesso tempo lupi, uomini con una relazione simbiotica con la natura, le montagne e il paesaggio. Il romanticismo/verismo con cui Nicola Misasi guarda ai briganti è più che giustificato, pur se non ha nulla di storico. Per in grande scrittore (aspetto una sua rivalutazione) la Sila senza i briganti era come la notte senza le stelle. Misasi considerava i briganti dei Robin Hood si sforzava di trovare angoli di bontà inventandosi storie inverosimili. Forse le organizzazioni mafiose si avvicinano a quel mondo quando in alcune zone, come i briganti, hanno il monopolio dell’uso della forza e della violenza in sostituzione dello Stato. Ma nulla di paragonabile.
Chi vuole conoscere e studiare questo periodo storico da dove può iniziare i suoi studi?
Credo che pochi siano i libri che possano aiutare davvero a capire. Le cosa da esplorare sono troppe. Consiglio un semplice manuale di Storia che inquadri il periodo e che dia le basi su come ricercare per capire cosa sono le fonti primarie e quelle secondarie e che cos’è la Storia.
Se lo studioso è calabrese gli chiederei di partire dal suo cognome o dal cognome della madre, delle nonne e dei nonni e cominciare a indagare se tra i propri parenti ci siamo briganti o vittime di briganti. Poi andrei all’archivio di Stato di Cosenza o di Catanzaro (il fondo dei processi si trova a Lamezia Terme) e cercherei delle corrispondenze nelle banche dati (digitali o cartacee) che gli archivi forniscono. Moltissimi troveranno che i propri parenti furono coinvolti in vicende brigantesche. Poi lasciare le curiosità invada i loro cuori. Agli altri consiglio di approfondire la storia di un qualsiasi capo brigante e ricercare, leggere e trascriverne i processi e cominciare dai fatti descritti a indagare tutte le relazioni possibili soprattutto con il territorio, i potenti del tempo, le case dove abitava, i luoghi dove furono commessi i delitti e squarciare sempre più quel velo che si sta aprendo sempre più.
Le pongo un'ultima domanda . Mettiamo il caso che Lei domani mattina si alza e si trova nel 1860, nel mezzo di una battaglia tra i Borbone e i Savoia: quale brigante vorrebbe essere, perchè in fondo penso si sente anche tale oggi, e chi difenderebbe o meglio chi combatterebbe?
Da quanto ho detto fin ora avràcapito che non ho trovato briganti buoni con cui identificarsi. Ma tra i tanti uno che mi è sembrato il più simpatico è un prete di Perito, si chiamava Raffaele De Marco, che nel 1848 per stare dalla parte dei contadini e per l'unità d'Italia, si spoglia della tonaca, si veste da brigante e, al suono del tamburo, alla testa di 200 pedacesi occupa le terre a Lorica, proprio dove oggi c'è il lago Arvo.
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Novara di Sicilia
Flaviano Garritano per "Borghi"
5 settembre 2020
Incastonato tra i monti Peloritani e Nebrodi nella Sicilia nord orientale, si trova un bellissimo borgo, che volta le spalle all’Etna e guarda a nord verso le isole Eolie e Tindari.
Durante la dominazione araba i cristiani che si rifugiavano qui erano chiamati i “perduranti nella fede”; ton Démon, nella forma dialettale del bizantino, significa “perdurare”: da qui deriva il nome della val Demone.
Si arriva a Novara di Sicilia lasciando l’autostrada Messina–Palermo nei pressi dello svincolo da cui ci si immette in una strada che porta in montagna; curva dopo curva si sale sempre più fino ad arrivare a vedere il campanile appuntito della Chiesa Madre che svetta sulle case e dà il benvenuto.
Percorrendo strade lastricate di pietra in perfetto abbinamento con la maestosità degli antichi palazzi, si raggiunge la piazza dove si notano tante viuzze che si infilano tra le case con piccole botteghe.
Il borgo di Novara di Sicilia è racchiuso quasi tutto nel centro storico. In questo piccolo presepe si conservano riti e tradizioni: la festa del formaggio maiorchino, l’accensione delle luminarie in agosto, le feste dell’Assunta e di sant’Ugo Abate, sono ricorrenze partecipate e sentite da tutti gli abitanti.
Risale al Seicento il mulino ad acqua Giorginaro. Gestito dalla famiglia Affannato, è ottimamente conservato e funzionante con la sua ruota orizzontale mossa dall’acqua che cade dalla sajitta.
Da visitare anche il grande teatro Casalaina, i ruderi del castello su una rupe a strapiombo, le numerose chiese e, superato il paese, la frazione Badiavecchia, testimone dell’arrivo in Sicilia dei monaci dal saio bianco: qui, infatti, i cistercensi nel XII secolo, guidati da sant’Ugo Abate, costruirono sui resti di una chiesetta il primo monastero in Sicilia dell’ordine di san Bernardo di Chiaravalle.
La latinizzazione di queste terre era sostenuta dai regnanti normanni e svevi e dalla Chiesa di Roma, di cui erano il braccio secolare.
Tra il XII e il XIII secolo, i cistercensi divennero uno degli ordini monastici più diffusi nei regni normanno e svevo. Dissodarono i terreni boscosi, bonificarono le paludi nelle zone vallive, svilupparono l’uso dei mulini ad acqua, applicarono le loro conoscenze in campo agricolo e si impegnarono nello sviluppo del loro ordine con la costruzione di abbazie dall’architettura gotica.
A Novara grande è la devozione per sant’Ugo, che fu il primo abate cistercense di santa Maria la Nohara ed è diventato compatrono del paese nel 1664: di lui si conservano gelosamente le reliquie, i guanti di seta bianca e la giara dell’acqua miracolosa. Al tempo in cui arrivarono i cistercensi risale la festa dell’Assunta, che si apre l’ultimo giorno di luglio e si conclude il 15 agosto, quando viene portata in processione la pesante vara dell’Assunta.