BREVI NOTE BIOGRAFICHE
Don Francesco Ceraldi nacque a S. Martino di Finita (Cs) il 28.1.1916.
Compì gli studi ginnasiali pressi i Seminari Vescovili di S. Marco e Bisignano; quelli liceali a Reggio Calabria, nel Seminario Regionale Pio XI e quelli teologici a Catanzaro nel Seminario S. Pio X.
Fu ordinato sacerdote a S. E. Mons. Demetrio Moscato il 1.7.1939. Dall'ottobre 1939 a tutto l'anno scolastico. 1941- 42 insegnò Materie Letterarie nelle classi ginnasiali dei Seminari Vescovili di S. Marco Argentano e Bisignano, con incarico di reggere anche la Parrocchia di Santa Croce in Bisignano.
Sospese le attività didattiche nei predetti Seminari a causa di eventi bellici, nel 1943 fu destinato a reggere la Parrocchia di S. Maria Assunta in S. Maria Le Grotte dove restò fino al febbraio del 1945.
Nel febbraio del 1945, in seguito a concorsi canonici, venne nominato Arciprete della Parrocchia Navitità di Maria Vergine in Luzzi, ove restò fino al 7.7.1978, data della sua morte.
Durante la sua permanenza a Luzzi fu anche incaricato dall'Ordinario Diocesano di S. Marco alla cura spirituale dei Seminaristi presso il Seminario di S. Marco Argentano.
Nominato Padre Spirituale del Seminario Regionale S. Pio X di Catanzaro, fu costretto a rifiutare per motivi di salute. Ebbe anche l'incarico di Vicario foraneo di Luzzi.
Insegnò Religione nella Scuola Media "L. G. Coppa" e nel Liceo- Ginnasio di Luzzi.
PRESENTAZIONE
a cura di Michele Gioia
Quando l'amico Franco Altomare mi chiese, per telefono, cosa ne pensassi della intenzione sua e del Presidente dell' Associazione culturale "Insieme per Luzzi", Franco Papaianni, di pubblicare la ristampa del volume IL TERREMOTO DEL 1854 scritto da Don Francesco Ceraldi, risposi che era sicuramente una buona idea. "Mi sembra - aggiunsi - un'occasione per ricordare, la figura e l'opera di un pio sacerdote e di un uomo di grande cultura, che ha educato e formato numerosi giovani e che tanti meriti ha acquisito durante la sua missione pastorale a Luzzi, in tempi tristi, assai difficili, soprattutto nelle campagne del Vali o, quando il parroco doveva contribuire ad alleviare anche i bisogni primari dei suoi parrocchiani".
E quanto altro bene avrebbe potuto fare per la crescita della nostra comunità se la morte non lo avesse colto a soli 62 anni...!
Quando poi Franco Altomare mi disse che avevano pensato a me come estensore di una nota introduttiva all'opera di Don Ceraldi, mi prese la preoccupazione che mi assale quando sono chiamato a fare cose più grandi di me.
Peggio è stato quando Franco mi precisò che la ristampa doveva avvenire prima del 12 febbraio.
Pur ritenendo giusta la scelta della data per le ragioni che tutti sanno, manifestai ancora più evidenti le mie perplessità.
Ma poi prevalse, come sempre con l'aiuto del Signore, lo spirito della disponibilità che anima le mie scelte e accettai l'invito che, oltre tutto, lo voglio ribadire, senza mezzi termini, mi gratifica particolarmente, anzi mi onora.
Per fortuna, nel corso degli anni che seguirono la scomparsa di Don Ceraldi, ho cercato di acquisire, e le conservo tra le mie cose più care e preziose, le sue pubblicazioni.
Nella brevità del tempo che mi è stato concesso (poco più di due settimane) e compatibilmente con i miei impegni di lavoro alla Rai, non so se sarò riuscito a dare sostanza al gravoso impegno che mi sono assunto, di scandagliare e far conoscere anche al grande pubblico le varie sfaccettature del personaggio i cui interessi di studioso hanno toccato gran parte dello scibile umano e delle arti della parola detta, anzi dell'oratoria (di cui più volte ha dato prova) e quindi anche della parola scritta.
La sua erudizioni è chiaramente manifestata nelle numerose note che accompagnano le sue opere. Cosicchè il mio primo impegno è stato quello di andare a rileggere o meglio "studiare" gli scritti di Don Francesco. E per dare subito, sia pure in estrema sintesi, un quadro della sua attività di letterato, diciamo che gli interessi dello studioso hanno abbracciato numerose attività.
Oltre che Professore di Materie Letterarie, Don Ceraldi fu Padre Spirituale dei chierici nel Seminario di San Marco Argentano per i quali scrisse MATER VOCATIONIS - I quindici Sabati del seminarista alla Vergine Santa del Rosario, con presentazione e Imprimatur del 12.6.1954, del Vescovo di S. Marco A., Mons. Agostino Castrillo, L.Pellegrini Editore, (di cui possiedo la 2" Edizione).
Le sue capacità di storico le rivela indubitabilmente nel saggio sui "SANTI E BEATI DELLA BADIA CISTERCENSE!. II S. MARIA DELLA SAMBUCINA. IN FIGURE NOSTRE (Coriolano Martirano, Guglielmo Sirleto, Matteo Guerra) - Pellegrini Editore, 1966. E, ancor prima, con IL TERREMOTO DEL 1854 con Nota Storica Introduttiva- Stralcio dalla "Storia inedita di Luzzi" di Giuseppe Marchese, edita dall' AGA di Cosenza, nel 1954.
In questo libro, che l'Associazione Insieme per Luzzi ha voluto ripubblicare, Don Ceraldi riscrive limitandosi, come precisa "soltanto alla sostituzione di vocaboli non facilmente comprensibili ed alla divisione in sottotitoli, per renderne più agile la lettura" e fa stampare la cronaca del "Terremoto 1854". di Cesare Marchese che dell'evento fu testimone oculare.
Ma, poiché come tutti sanno, dopo il sisma si strinse, ancora più forte, il patto tra i Luzzesi e la Madonna Immacolata, da tempo immemorabile Patrona e Protettrice di Luzzi, Don Francesco Ceraldi giustamente fa precedere al resoconto di Cesare Marchese una Nota introduttiva sulla "devozione mariana" in Luzzi.
Cosicché in poche pagine si possono apprendere i dati salienti sulla Storia di Luzzi, da Tebe Lucana, ai Lucii, alla Sambucina, ai Firrao. S'incontrano personaggi noti come Don Biagio Durante, e poi ancora, tra gli altri, D. Ferdinando Vivacqua, Don Eugenio Arena, il Prof. Iuso. E, inoltre, tante altre notizie. Dopo la rievocazione del terremoto c'è un appendice in cui D. Ceraldi presenta Cesare Firrao ( Luzzi 1648-1714) di cui si pubblica il Sonetto dedicato "Alla Madonna della Sambucina" tratto dalle Rime (che poi sono state ristampate a cura dell'Associazione "Pro-Sambucina" di Luzzi).
Fine e attento biografo si rivela in SACERDOTI NOSTRI, ( Francesco Greco. Domenico Conte. Giuseppe Miele, Girolamo Russo, Raffaele Rocco. Eugenio Occhiuzzi. Angelo Rendace, Michele Campise. Giuseppe Rendace. Virgilio Cammarella. Giovanni Abraini e Salvatore Fava) - Pellegrini Editore-Cosenza - 15 aprile 1964 - scritto, come precisa egli stesso, in occasione dei suoi 25 anni di Sacerdozio ( 1939 - l Luglio - 1964) , per ricordare quei "Sacerdoti ardenti. la cui vita luminosissima ho cercato di abbozzare in linee umane, nella speranza di godere eternamente la loro compagnia nella luce immensa di Dio!" Il suo amore per la storia civile e religiosa di Luzzi si evince anche dai due libretti,. chiaramente divulgativi, che conservo, di poche ma intense pagine, su LA BADIA CISTERCENSE DI SAMBUCINA - Tipografia Eredi V. Serafino-Cosenza - senza data; e, per gli stessi tipi, LA MADONNA DELLA SANITA Santuario della Cava, Luzzi (Cs), con Imprimatur di Mons. Luigi Rinaldi, Vescovo di San Marco e Bisignano, del 17.1.1969 (Vedi anche Il Veltro di Sambucina, Prima Serie - Anno II, n. 10 . 30 settembre 1978, Pag. 10).' Dal fratello di Don Francesco, il Dott. William, già stimatissimo Direttore Didattico, che ci onora con la sua amicizia, apprendiamo dell'attività pubblicistica del Nostro su riviste e giornali vari. E poi ancora della vena poetica manifestata in B R E V I S S I M A (che noi non possediamo), in altre liriche rimaste ancora inedite, e in R O S E D'A U T U N N O, la cui" edizioni è stata curata dai Discepoli di Gesù, nella loro Tipografia Santa Lucia, di Marino-Roma, Pasqua 1977. (Alcune di queste liriche, le abbiamo pubblicate nella Nuova Serie Il Veltro di Sambucina) . Con una brevissima presentazione di Georges Bernanos la raccolta di liriche, con singolarissime illustrazioni Don Ceraldi l'ha dedicata all'amatissimo padre, l'indimenticabile, anche da noi stimato ed amato Don Battista che ci ha onorato della sua amicizia e stima.
Per avere una testimonianza, diciamo pure, più diretta della personalità di Don Ceraldi e anche, se volete, per alleviare, in qualche modo, il mio impegno, ho pensato che un valido contributo alla nota introduttiva lo avrebbe potuto dare ( e, in effetti, lo da in modo egregio) Don Valerio Pingitore, figlio spirituale del Nostro che lo avviò agli studi presso i Salesiani di Roma. Di Don Valerio, oltre che un carissimo ricordo, la stima e, se mi è consentito, l'amicizia conservo l'immaginetta di Don Bosco che fu distribuita in occasione della sua "Ordinazione Sacerdotale conferitagli da S.E. Mons. Luigi Rinaldi a Luzzi nella Chiesa Arcipretale Matrice il 23 Giugno 1973, Anno Santo".
L'ho tenuta nel libretto IL DONO PIU BELLO ( a tutti i miei filiani ) scritto da Don Francesco Ceraldi e pubblicato dalla tip. Fasano Editore a marzo del 1973.
Dal Cap. XII della <<Storia di Luzzi>> ¹
Di G.MARCHESE
SEGNI NEL CIELO
Alla fine dell’estate del 1853, una Cometa, armata di lunga e smagliante coda (chiamata dall’ingenuo volto “travu di fuocu”), apparve per quattro giorni sul cielo del mare coriglianese.
Durante varie sere di fine gennaio 1854, un’aurora boreale illuminò dall’ orizzonte tutta la volta celeste.
Il popolino terrorizzato nascondevasi nei sotterranei, piangendo e pregando la Madonna. Spesso esclamava: “Mo veni la fini di lu munnu… Madonna mia sarivani“.
PERTURBAZIONI NELL’ARIA
In seguito a questi fenomeni, nei primi giorni di febbraio, si scatenarono dal cielo piogge diluviali che costrinsero la gente a barricarsi nelle case, si da non poterne uscire per compiere gli ordinari affari.
L’involontario arresto lavorativo fece perire il bestiame di ogni specie.
Dopo tante acque torrenziali, le campagne si trovarono franate e cosparse d’uccelli affogati, i boschi un ammasso d’alberi caduti, le vie impraticabili, i seminati scomparsi, i vigneti divelti, i mulini non atti più a macinare!...
Alla disastrosa pioggia tenne dietro, nei giorni 7 – 9 febbraio, un caldo eccezionale ed ammorbante.
Quantunque in pieno inverno, il barometro oscillò dai 25 ai 30 gradi di calore con assoluta mancanza di brine e rugiade.
Dal 9 al 10 febbraio, la temperatura si convertì, repentinamente, in freddo gelido, penetrante fino a toccare gli otto gradi sotto zero.
Per tale incostante complessione del caldo e del freddo si verificarono gravi malanni e molti morti nella popolazione.
IL GIORNO FATALE
La mattina dell’11 febbraio vedemmo sorgere il sole, dopo il freddo agghiacciante!
Un sole tepido ma splendente, mentre nel pomeriggio il cielo divenne nerissimo, uggioso e vario con temperatura nuovamente glaciale !
Tutti si tapparono a casa.
Fra tanto squallore, a tre quarti d’ora di notte, l’11 febbraio s’ebbe l’immane terremoto che gettò Luzzi nella costernazione e gli altri paesi del Cosentino nel lutto e nel pianto.
Per tutta la “Valle Crati” si verificò più orrendo disastro dei famosi cataclismi antichi del I. sec. D.C., del 1184, del 1693, del 1738.
La scossa fu spaventevole non tanto per durata, quanto per violenza, seguita da cupi boati e da detonazioni terrorizzanti con scricchiolii acutissimi sui vetri e sui tetti…
TREMENDI EFFETTI
…La gente che andava a ripararsi alla meglio sotto gli Archi e negli Atri dei palazzi e delle abitazioni, veniva scaraventata contro i muri, sui pavimenti e vedeva attorno rovesciare mobili e quadri.
Le porte si aprivano e chiudevano da sole! Travi si staccavano dai muri, rovinando vetri e mobili d’ogni sorta, rendendo vittime di violenti colpi le persone…
La durata del terremoto fu di molti secondi. Ciò ch’era di più solido cedette alla violenza: tutti gli edifici enormemente lesionati, alcuni abbattuti, le Chiese ridotte in pericolo!
Un muro della Chiesa dell’Immacolata cadde, e tutto il Sacro Tempio ne risentì talmente da minacciare completa rovina alla minima spinta.
Caddero molte tettoie e mura delle case.
Il paese lamentò una trentina di feriti gravi ed in seguito morirono cinque persone, altre restarono mutilate menando stentata vita!
PROTEZIONE CELESTE
Fu un vero miracolo pel nostro grosso Comune essere uscito con tale mite bilancio di disastro in paragone delle distruzioni e dei morti verificatesi negli altri Comuni di “Valle Crati”. La popolazione, trovandosi sveglia per l’ora in cui avvenne il terremoto, ebbe modo di fuggire e cercare un luogo sicuro.
Gran parte dei Luzzesi, imbaccuccati fino ai piedi, si portò alla vicinissima località “Castello” per riparare, nella miglior maniera, presso l’antichissimo caseggiato colà esistente.
VISIONE APOCALITTICA
Da questo punto elevato e centrale, veniva osservato il vasto panorama del paese, le lanterne ad olio portate dagli abitanti in fuggi fuggi per ogni via e per le campagne; s’udivano voci lamentevoli ed invocazioni accorate, s’osservavano nel cielo strani fenomeni.
Poco dopo il tramonto si videro due dense nubi nerissime spargersi lungo l’arco della montagna “Piano Cavallo”, poi il cielo si rischiarò alquanto in direzione di Bisignano, indi s’accavallarono dal Malvitano nuove densissime nubi rincorrentesi velocemente l’una sull’altra.
A mezzanotte l’oscurità del creato si poteva tagliare a fette tant’era intensa, nonostante accese cataste di legna in tutti gli angoli ed, in lontananza, larghe ed alte lingue di fuoco acceso dai contadini sui campi!
Verso l’alba il freddo divenne, ancora una volta, insopportabile tanto da intirizzire le membra ed agghiacciare il viso…
A mattino inoltrato scese la pioggia e poi, a larghe falde, la neve. Spettacolo orribile e raccapricciante.
Parve una vendetta superna…
MATERNO INTERVENTO
Tutti, indistintamente, pregavano la Madonna per lo scampato pericolo ed imploravano la fine di quella tremenda visione di paura e tormento, da rendere esterrefatti, far abbracciare l’un l’altro per morire insieme senza fiatare: la parola s’era arrestata in bocca, gli occhi sonnolenti, socchiusi, allucinati, coperti da involontarie lacrime!
I corrieri che giungevano a Luzzi dai paesi circostanti, narravano che a Cosenza ed in altre località del “sud” e dell’ ”ovest” i morti, i feriti, gli edifici crollati erano in misura più forte dei nostri, anche le campagne presentavano desolazione e morte.
RICONOSCENZA FILIALE
Da quel fatale giorno l’Amministrazione luzzese volle “L’IMMACOLATA” a Protettrice e Patrona di Luzzi. Nell’annuale ricorrenza del disastro si celebra “in loco” una solenna festa votiva in onore della Madonna con l’offerta di ceri – coram populo – da parte del Comune.
¹ - Incarto nell’Archivio privato del Cav. Prof. G. Marchese
N.B. –a) Esauriente relazione e descrizione del funestissimo terremoto trovasi pure nel <<Cenno storico – filosofico>> del Can.co Ferdinando Scaglione, pubblicato in Cosenza nel 1855 pei tipi di Giuseppe Migliaccio.
b) Cf. IV volume dell’Accademia Cosentina.
La tradizione
Simile ad altre tradizioni popolari sacre, fiorisce, nell’anima di Luzzi, l’umano racconto della storpia pastorella.
Sono questi, in sintesi, i brevi accenni: la Vergine Santa appare, nella valle orlata di ginestra, alla giovanetta Lucrezia Scalzo, che torna a casa salva, guarita e dice…
Quel giorno non un movimento nell’aria cristallina. La stradicciola sfossata e pietrosa va ad una solitaria distesa di verde: qui le pecorelle e gli agnelli possono brucare lentamente, indisturbati. Lucrezia pulisce nell’erba i piedi nudi, duri e grigi del color delle pietre. Porta in capo una cuffietta bianca, i capelli tirati sulle tempia e stretti sulla nuca, ha gli occhi pieni di azzurro: sul suo volto alita un lieve odore di fiori …
Povera bimba malata: cerca d’invocare, come può, “mane e sera “ la Madre del Signore!
Ad un tratto, dal monticello senza sfondo, una pecorella belante fugge e precipita. Si lancia, preoccupata la guardiana, per salvarla; ma anche lei, carponi, scende miseramente e senza scampo nel burrone, tra le spine.
Come da una grotta marina formata allo scrosciar de l’acque, sovra uno spicchio di luna che le sostiene i piedi, in uno scorcio di cielo, ecco la Madonna …
L’umile figlia s’inginocchia invasa da un brivido, e la maestosa Signora la bacia, stende le mani in aiuto prendendola dolcemente per una ciocca, e con un giunco strappato all’imo, le cinge poi il collo.
Le onde splendenti del ruscello sembrano sciogliere il sole, e vanno come una massaia affacendata …
Lucrezia sale lesta dal fosso: scalza ma sana; risale il colle, non ha più bisogno del bastone; gli arti son validi, veloci, mentre la Madonna della mistica Cava guarda dall’alto della sua misericordia, ricca e bella di rose e di speranza, sospesa sullo specchio roseo del rivo!
“Lucrezia – ripete dentro una voce celeste – sono la Madre del cielo: tu resterai vergine…”.
Sul luogo dell’apparizione e del miracolo, della seconda metà del 600, sorge una nicchia, umile ed antica.
Santi e beati della Badia Cistercense di S. Maria della Sambucina
di Francesco Ceraldi
Tra mura dirute e pochi restanti archi in disfacimento, relitto di una barca che ha tanto annosamente navigato, appare oggi la Sambucina Badia Madre dell'Ordine Cistercense nel Meridione d'Italia, monumento d'arte e di fede, a sette Km da Luzzi (Cosenza), a 870 metri sul livello del mare. Ed estende ancora, quale quercia dimessa ma non disfatta, le sue memorie sulla valle opima del Crati, fecondata dal nastro argenteo del fiume fino all'antica Sibari ed alle acque del sonante Ionio. Pellegrini d'amore, ricercatori di orme fatidiche, si sono attardati tra i ruderi poeti, storici ed artisti, dal Padula (1) a Paolo Orsi al prof. Marchese (2), per scoprire correnti di pensiero e aneliti di progresso, parlanti attraverso le rovine ... Chi non sa, però, quanto fervore di santità e mistiche ascese, quanti esempi di fedeltà religiosa, imbalsamarono del <<buon profumo>> di Cristo le alture e il Cenobio?
Osserva il De Persiis, nella sua storia su Casamari: <<Da Sambucina uscirono tanti monaci che avendo dato perfezione a sé, poterono correggere i popoli e renderli migliori>> Anche il servo di Dio Card. Ildefonso Schuster Arcivescovo di Milano, in tempi più recenti, da studioso ed asceta qual'era, s'interessava della Sambucina, chiedendo notizie sulla esistenza di reliquie o corpi di Santi, ricavati fra i restanti sopravanzi e le macerie.
In questa Badia voluta da Ruggero II per consolidare la Monarchia Normanna; presso S. Maria Nucis (sec. VIII), filiale di uno dei primi monasteri benedettini dell'Italia Meridionale Santa Maria Martina Menna (albori del 550); fin dal 1140-1141, i Cistercensi inviati da San Bernardo di Chiaravalle, innalzando Monastero e Chiesa tra la corona dei monti presilani, instaurarono la vita monastica sotto la loro regola, in ardore di pietà ed evangelica operosità.
Il sacro tempio venne dedicato alla <<Diva dei Cieli>> Santa Maria Assunta, secondo la tradizione apparsa più volte tra i folti sambuchi, reggente tra le braccia il Divino Fanciullo. Notizie ricercate, in parte, da Pietro Scasilio, abate di Sambucina dal 1268 al 1275, completate da Cesare Calepino, Priore eletto nell'anno 1624, in un prezioso manoscritto oggi scomparso (3), tramandano nomi, avvenimenti, ricordi della vita di <<Santi e Beati>> balzati da questo Cenobio giganti ed annosi, a rinverdire la Chiesa e il loro Ordine, somiglianti ai larici superbi ed ai castagni digradanti.
...Nel 1152, alla pace del nostro monastero trovò, per primo, serena accoglienza Gioacchino da Fiore, bello di fama e di figura dominante.
Reduce pellegrino di terra Santa vi dimorò un anno, e poi Frate religioso più volte stette in comunione con Monaci sambucinesi, ch'egli candidamente dichiarò <<più angeli che uomini>>, nitidi come il fiore del sambuco intorno.
Di Gioacchino sono assai note le vicende mistiche e storiche. Qui basta ricordare che in Sambucina alimentò potentemente lo spirito esuberante avido di orazione, mortificazione, contemplazione, mai tralasciando l'angelica sua celebrazione della Messa, ricca di amore e lacrime. La castità fu la pupilla dei suoi occhi. Governando in fine l'Abbazia il secondo <<pater abbas>> Antonio, nella quiete indisturbata della Sambucina, centro florido di studi e preghiera, l'anno 1160, trovò pure riposo Pietro Lombardo, <<Magister sententiarum>>, dopo la rinunzia all'arcivescovado di Parigi.
... Con Cesare Calepino Priore (1624), torna la Sambucina a novella vita, ed, allontanati gl'indegni, vi rifiorisce, in certo modo, l'antica regola cistercense, il tempio ottiene restauro. L'opera di rinnovamento viene continuata dai due ultimi abati: Vittorio Federico (1658) e Giacinto Anito (1693) luzzesi.
Alla soluzione dell'<<antico rito>> chiede, pure, soave dimora il principe D. Cesare Firrao, poeta luzzese, per scrivere e raccogliere preziose notizie sul Cenobio. E in Sambucina, nel 1714, trova onorata sepoltura (4).
Che resta oggi dell'armonia architettonica della Chiesa e dell'arte costruttiva del Monastero della Sambucina?
Da lontano, tra il fogliame e le libellule azzurre, appare maestoso il portale (largo m. 5,10 ed alto m. 6,30) dai singolari motivi di decorazione indubbiamente di origine locale, assieme a qualche spiccante arco laterale in disfacimento. Nell'interno della Chiesa, v'è in piedi metà della navata centrale due archi più piccoli spezzati, i magnifici archi a sostegno della volta, il transetto e l'abside con le tre monofore eleganti e severe. La struttura è semplice e pienamente ogivale nello slancio. Di scultura sopravanza solamente una <<mitria>> intrecciata ad un baculo pastorale, collocata posteriormente sul muro esterno dell'attuale Sagrestia, con l'indicazione dell'anno 1662 e la scritta <<D. Vitt. Fed. Ab. F. F. Dominus Vittorius Federicus Abas Fieri Fecit>>; due pile di travertino artisticamente intagliate, un capitello accanto a una nicchia ogivale (proveniente probabilmente da cenobio precistercense) parco di ornamenti a foglie di acanto spinoso (1184-1284), un altro di stile longobardico sotto un'arcata fatiscente. Restano tracce di pittura in due affreschi raffiguranti la Vergine col Bambino (seduta all'ombra del Sambuco - sec. XV) e San Bernardo (5). Ed è, infine, del sec.XVII un classico ed originale dipinto che rappresenta l'Assunzione ed i dodici Apostoli, attribuito a Luca Giordano perché presenta le qualità caratteristiche del grande pittore napoletano. In sagrestia si trova pure un bell'armadio di stile quattrocentesco per arredi sacri, costruito in castagna, opera di artigianato locale.
Se il pellegrino avrà pena d'attardarsi tra questi fatidici ricordi, sentirà sicuramente il melodico concetto delle armonie della fede intrecciarsi alle bellezze della terra e del cielo... Con la potenza dello spirito che domina la materia, l'animo percorrerà mentalmente i secoli, mirando in ogni epoca spuntare dalle macerie avvolte di sterpi e coltre d'erbe selvagge, le inflorescenze bianche dell'ideale che non muore...
Corre oggi, in fondo alla valle del Crati, il treno ansante e snodasi l'autostrada brulicante di macchine; sepolti in una vita di tecnica e consumo, gli uomini non guardano più le alture. Il Santo col cuore in cielo pare un anacronismo, una stonatura d'altri tempi...
Eppure dal gemito dei disoccupati, dalle spire stringenti d'una gioventù sfrenata e moribonda nello sguardo, dalle lotte, dalle rapine, e dai suicidi, una invocazione sale: e le mille mani protese e minacciose chiedono a Dio, alla sventura, alla stessa materia il Santo, più umano, più giusto, annunziante su, dai Cenobi dispersi, la pace e il lavoro, il perdono...
Gli archi restanti, solenni, sfidanti il tempo, porgono un invito aperto all'abbraccio; quell'arte che è vita, pazienza, respiro dell'anima, sembra una mano sporgente e decisa a fermare la corsa insipida dell'indifferenza al bello...
La voce del Profeta che benedettino o cistercense o florense, prese avvio dalla Sambucina e qui concepì una rinascita <<memore forza ed amor novo spiritante>>: il beato Gioacchino da Fiore, dalle cime assorte e dalla cortina di verde che la protegge, torna a riproporre il suo <<verbo>> di attesa...
E' una voce anelante, un rimprovero alla <<mala cupidigia>>, in quest'ora di crepuscoli umani, un fascino immateriale alla bestia degli istinti che l'esistenzialismo chiama progresso e civiltà. Gioacchino da Fiore, che Dante fornì il simbolismo fecondo della terza cantica (6), grida con la forza del <<veltro>> assieme al poeta del Paradiso: <<Uomini siete, e non pecore matte>> perché l'uomo abbandoni Circe e s'innamori ancora di Beatrice.
(1) - Vincenzo Padula, Il Monastero della Sambucina, pubblicato nel 1842.
(2) - Giuseppe Marchese, La Badia di Sambucina, Edizioni <<Promessa>>, Lecce 1932.
(3) - Cesare Calepino, Breve descrittione del Monastero di Sambucina etc..., manoscritto.
(Cesare Calepino eletto priore nel 1624, la badia risorge per breve tempo a vita nuova. La maggior parte dei beni, dei codici e delle opere d’arte ritorna nel convento per l’energia del Calepino, che minaccia di scomunica gli usurpatori se non restituiranno ciò di cui abusivamente si erano appropriati durante il governo nefando dell’abate D.Carlo Caracciolo. Sotto il Calepino terminarono i lavori di restauro della Chiesa e di parte del convento.).
(4) - Cesare Firrao - Nacque il 2 giugno 1648. Poeta, storico, archeologo, accademico cosentino. Scrisse Le Rime, Lucca, presso Frediano, 1728.
(5) - Ai piedi dell'affresco un nome: Orlandus Stames, il pittore; ed una data: 1401.
(6) - F. Ermini, Il simbolismo del Paradiso Dantesco, p. 7.
Francesco Ceraldi
Nozze d'Argento
Venticinque anni di Sacerdozio rappresentano una gioia ed un rimpianto: la gioia di aver servito - sia pur debolmmente - un ideale, il rimpianto di non aver raggiunto la santità segnata da un'eccelsa vocazione.
Iddio, <<qui laetificat iuventutem meam>>, aumenti ognora la mia gioia ed accolga la tristezza, elemento di purificazione della anima e pentimento sincero del cuore!
Ad ottenermi il perdono delle mancanze del passato, volga ora l'intercessione di anime sante, Sacerdoti ardenti, la cui vita luminosissima ho cercato di abbozzare in linee umane, nella speranza di godere eternamente la loro compagnia nella luce immensa di Dio!
Dedico il lavoro ed <<il grande amore>> a quanti mi amano ed a quanti ho conosciuto nella mia vita, perchè se non hanno goduto avvicinandomi quella fragranza sacerdotale che avrei dovuto dare, possano sentirla in queste pagine, promanante da cuori veramente angelici.
1939 - 1 Luglio - 1964
Prefazione
Tra i soggetti sui quali si scrive molto nelle trattazioni per il Clero, ha un primato quello della validità della vita del Clero diocesano a portarlo sicuramente alla santificazione, quando è intensamente vissuta.
Sembra in conclusione che, dietro la scorta dei più valenti Teologi spirituali, sia un punto fermo: la vita del Clero diocesano o secolare, quando è vissuta nella pienezza dei suoi doveri, sotto la fedele sottomissione alle direttive del proprio Vescovo, è per sè una completa ed efficace via per pervenire alla propria santificazione.
Contemporaneamente a questa esplicitazione dottrinale in via di ufficialità - come sembra dagli ultimi documenti pontifici e dall'indirizzo del Concilio Ecumenico Vaticano II - quasi a conferma celeste vi è una fioritura di vita di esemplari e santi Sacerdoti diocesani, appartenenti a tutte le varie mansioni specifiche della diocesi: semplici operai della vigna, vice parroci o curati, cappellani, parroci, rettori di santuari celebri, docenti e rettori di Seminari, impiegati curiali, penitenzieri, diplomatici, missionari parrocchiali, ecc., che si presentano all'edificazione dei confratelli di tutte le diocesi.
In questa esemplificazione tutte le diocesi, quasi a conferma del legame vitale che hanno con il centro della cristianità, presentano soggetti degni di ammirazione ed imitazione. Non è dovunque cioè la cattolicità sinonimo di santità?
Già quell'esperto conoscitore e formatore di Clero che fu il santo Dottore di Ginevra, S. Francesco di Sales così sentenziava : <<il mezzo migliore di far progredire nella perfezione è infatti quello di insegnare agli altri e con la parola e con l'esempio>>. Non è questa la vita o il dovere del Sacerdote?
Il Rev.mo Mons. Charue, nel suo ottimo libro: <<Il Clero diocesano>>, si domanda: ...<<non c'è nei quadri e nella vita del clero secolare o diocesano una vita privilegiata verso la santità? Per rispondere a tale domanda non ci sono solo delle teorie; c'è qualcosa di più: ci sono i fatti, c'è la storia di santi Sacerdoti, di quelli che sono oggi sugli altari, di quelli, di cui la causa di beatificazione è in corso, come di tanti altri che sono stati l'edificazione del popolo cristiano>>.
Bene ha fatto il mio Rev.mo Arciprete D. Francesco Ceraldi, nell'occasione del giubileo suo sacerdotale, di compilare, incoraggiato dal suo Vescovo, uno specimen di biografie di sacerdoti edificanti delle dilette diocesi di S. Marco e Bisignano, per donarle ai confratelli, a comune profitto spirituale.
Certo non sono tutti i degni di ricordo. La salvezza del popolo cristiano è dovuta a sacerdoti che spesso nella umiltà della vita hanno portato al cielo innumerevoli anime. Solo il contatto quotidiano con questi fanti dell'apostolato può rendersi conto del grande e consolante fenomeno, nascosto al mondo.
Tra i ricordati non manca un fondatore di Congregazione religiosa femminile, il servo di Dio Francesco Maria Greco. E già, perchè bene è stato notato che quasi tutti gli ordini religiosi machili o femminili debbono la fondazione ad un santo sacerdote del Clero diocesano. Questo ultimo argomento non è il più tenue a favore della legittimità della tesi di una spiritualità tutta propria del clero ... di S. Pietro.
Nel presentare questa raccolta delle ultime perle del mio clero, mi sovviene dell'avviso di S. Francesco di Sales: <<Niente di più utile, niente di più bello, di queste letture, perchè le vite dei santi stanno al Vangelo come la musica cantata sta alla musica scritta!>> E' l'eco di quanto il Vescovo d'Ippona ebbe a dire alla lettura di simili biografie: Si isti et istae, cur non ego?
Ora che grazie alle insonni preoccupazioni dei RR. Pontefici, dei Vescovi di tutto il mondo, nonchè delle varie ed indovinate iniziative a pro dell'elevazione del Clero, fra tutte la <<Unione Apostolica>> e la moltiplicazione degli <<Istituti secolari>> tra il clero, si nota una crescente parabola di maggiore preparazione del Clero secolare alla sua sempre più difficile missione, ben venga questa raccolta.
L'ultima beatificazione del Parroco secolare Vincenzo Romano della mia Napoli faceva solennemente dire allo augusto Pontefice che con tanta munificenza tiene il timore della Chiesa ai nostri tempi : << ... dovremmo narrare la storia di questo buon Curato e vedremmo quale sia il genere di perfezione proprio di chi si consacra alla vita pastorale; è il dono di se per la salvezza degli altri. E poichè oggi tanto si parla di vita pastorale, vedremmo questo semplice prete di campagna venirci incontro, dalla terra del Vesuvio, per insegnarci qualche cosa di magnificamente attuale ed universale...
Così che Egli merita che noi lo consideriamo, come si suol dire "d'attualità"" come esempio di virtù di cui il nostro tempo ha manifestato bisogno. E lo avranno caro, come Protettore e come modello i fedeli tutti, ma in modo particolare i Sacerdoti, quelli diocesani specialmente, per i quali l' obbligo della perfezione cristiana non è sostenuto dalla professione religiosa, ma è reclamato sia dalla loro dignità, sia dal loro ministero, e, quando questo sia esercitato con pienezza di carità, mediante il ministero stesso quella perfezione diventa possibile e grande>> (A.A.S. 20 dic. 1963). E' la più autorevole conferma a quanto vengo a dire.
Che i miei cari, carissimi Sacerdoti, alla lettura di questi loro confratelli <<qui praecesserunt cum signo fidei et dormiunt in sommo pacis>> possano esortarsi a maggiore impegno di sacerdotale vita e perfezione, a gloria di Gesù Cristo, a bene della Chiesa ed a consolazione del loro povero ma affezionato Vescovo.
S. Marco Argentano, Festa della Purificazione 1964
+ Luigi Rinaldi, Vescovo
Traduzione
I
Stella reluxit humidas per auras,
oculi ut primo somno dormientis
nati, at zephyrum provehit per alas
nitida aurora.
Quid, pie gemens, viridae sub fagi
imbris respexit, quaerula suavis
lenta vox laeta mox nimia faecunda
avis torpentis?
Forsan tibiae praesonent modi,
forsit fidium nimeri canori
cedant exordio: nunc recepit melos
hirundinum os?
Quid aurae, flores, quid florentes orae
rivi currentis, quid et maria, lux?
Nemo qui ignoret lilia legentem
diem per horas!
Vati Lutiorum omina plaudentia:
pectora nostra sume, o qui ades,
pueris virgineas puellisque olentes
tolle coronas!
Flos nostrae gentis, almae Tu pöesis
ianitor celsae inclitaeque domus,
simul qui beasti purpura Romae
carmina nova.
II
Ecquis haud mane melleumque stridens
circum Te rosam cernat alveare?
Parvuli scholae nomini dicatae
apes sunt tuo.
Mulceat tibi garula Juventus
cor, quod, virescens primulaque ruri,
metrum séligat nobis edicentis
semitas arctas.
- Fratres, sodales, alumnique omnes
surgite puri, colite Polimniam:
Musis honestis dicite salute,
Clio praeeunte.
Ferte virtutem, vigils intenti,
nobilis quae extit Helladi venustae
vis Romanorum ast in iure belli,
Charitas nobis.
Veritas splendeat! Agite quaerentes:
mortui vivunt, pandunt oracular
libris in vestris, gestuum in votis
Dantes et Cato.
Docilis puer, victor qui adnitens,
hoc scito: floret vertice in montis,
dimicans nimbis, laureata sole
serta Libertas!
I
Stella brillò per l’aure mattutine;
e le pupille or dona al promo sonno,
mentre per l’ali nitida l’aurora
zaffiro spinge.
Qual nuova vide con soave voce,
lenta e pur gaia, querula vivace,
all’ombra stante di virente faggio
sveglio l’uccello?
Forse del flauto spargonsi i gorgheggi,
forse di cetra i ritmi melodiosi?
Tutto or ripete, limpida sincera,
rondine in volo.
Cos’hanno i fiori e il murmure dell’onde?
Giorno è di luce in un fruscio di gigli!
Che va per l’aria, lungo le fiorenti
sponde del rivo?
Al Vate nostro salgano gli onori,
volgansi i cuori liberi plaudenti:
nivei fanciulli, vergini odorose
cingano serti.
Di nostra stirpe, o Fiore o poesia;
dell’alma sede stai verace guida,
Tu che vestisti in porpora di Roma
carmi novelli.
II
Forse qualcuno attorno a te non vede
rosa alveare di stillante miele?
Questa tua scuola è sciame a primavera
d’api ronzanti.
Ti prenda il cuore questa gioventù:
quel cuor che vive, primula di campo,
scelga una strofe per segnare a noi
mete supreme.
- Dolce fratello, pio compagno, alunno,
in alto, puri, amate la pöesia:
date alle Muse onesto il vostro canto,
figli di Clio.
Vigili intenti, amate la virtù:
luce ch’india nell’Ellade sì bella,
forza ai Romani nella giusta guerra,
Amor di Cristo.
Splenda la Verità! Cercando agite:
vivon pur morti, svelano misteri
nei vostri libri e nelle loro gesta,
Dante e Catone.
Dolce fanciullo, piccolo anelante,
sappi che sboccia sovra eccelsa cima,
forte coi venti, splendida di sole
la Libertà!
Axt. et vol. LXI 31 Ianuarii 1969 N. 1
ACTA APOSTOLICAE SEDIS
COMMENTARIU M OFFICIALE
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ACTA PAULI PP. VI
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Acta Apostolicae Sedis - Commentwium Officiale
DIARIUM ROMANAE CURIAE
Con Biglietti della Segreteria di Stato il Santo Padre Paolo VI ha nominato Cappellani di Sua Santità :
13 dicembre 1968 Monsig. Ceraldi Francesco (San Marco e Bisignano)
Mater vocationis : i quindici sabati del seminarista alla Vergine Santa del Rosario / Francesco Ceraldi
Pubblicazioni:
La Madonna della Sanità;
Sacerdoti Nostri;
Mater Vocationis;
Rose d'Autunno ( Raccolta di Poesie);
Brevissima (Raccolta di poesie);
Il dono più bello;
Santi e beati della Badia Cistercense di S. Maria della Sambucina;
Poesie inedite;
Pubblicazioni varie su riviste e giornali;
Figure nostre - Saggio storico (Coriolano Martirano, Guglielmo Sirleto, Matteo Guerra).