CURRICULUM
GIORNO FILIPPO, nato a Luzzi (CS) il 24.02.1963, di professione ARCHITETTO, iscritto al n. 832 dell'Albo degli Architetti della provincia di Cosenza.
DOMICICILIO: Via Mameli 15, Busto Arsizio (VA)
TELEFONO: 3291561137 ; E-mail: filippogiorno@libero.it;
Nazionalità: ITALIANA
DIPLOMA: Maturità di Arte Applicata (sezione Ceramica) conseguito presso l'Istituto Statale d'Arte di Luzzi (CS).
LAUREA in ARCHITETTURA conseguita presso il Politecnico di Torino con tesi di laurea: “Indagini progettuali nella periferia urbana di Rivoli (TO), relatore: Aimaro Oreglia d’Isola, correlatore: Carlo Giammarco.
ESPERIENZE PROFESSIONALI 1996-2018
-Progettazione e DD.LL. di Edifici Residenziali, Commerciali e Agricoli
-Redazione Pratiche di Condono Edilizio
-Inventario Beni Patrimoniali del Comune di Luzzi (CS), 1995
-Progettazione e DD.LL. Strada Comunale "Croce di Valenza-Cirioli-Sambucina", Luzzi (CS)
-Progettazione Strada Comunale Serra Civita-Cavaliere Spirito, Luzzi (CS)
-Progettazione Rimozione Amianto Area ex Fabbrica Laterizi Dima, Luzzi (CS)
-Progettazione Bonifica Ambientale Area ex Fabbrica Laterizi Dima con Ecomuseo della Creta, Luzzi (CS)
GIORNO Arch. Filippo
La risorsa del fiume Crati
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Elemento naturale strategico dalle alte potenzialità
Domenica, 02 Settembre 2018
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Scritto da Roberto Galasso
LUZZI - “La scommessa sulla quale bisogna lavorare è che la cultura dell’ambiente, cioè la sua difesa e promozione attiva sia il cardine del territorio luzzese e non solo”. A sottolinearlo è l’architetto Filippo Giorno di Legambiente. “Il Crati e le sue anse per il nostro paese e per l’intero comprensorio, - afferma il professionista luzzese - è un elemento naturale strategico dalle alte potenzialità, in grado di poter rovesciare lo stato di degrado nel quale si trova l’intero comparto territoriale che si snoda lungo le sue rive.
Chi vede il Crati, oggi, - prosegue Filippo Giorno - è difficile che possa apprezzarlo ma con un’attenta osservazione si può pensare in maniera diversa, migliore. Vedere il Crati non più come fiume degradato, non come un corso d’acqua di bassa qualità o come presenza residuale di Luzzi ma come risorsa che può diventare protagonista essa stessa, “salvare la città stessa”. Questo è un lavoro che può essere detto più letterario che tecnico ma stiamo attenti che sovente è proprio il romanzo ad essere più vicino alla realtà futura di quello che è la semplice proiezione statistica della realtà presente”. Per Filippo Giorno “non bisogna rassicurarsi dalle idee dei progettisti e dagli ambientalisti ma soprattutto dalle decisioni degli Amministratori, dagli operatori tutti, affinché il pensiero si spinga oltre, al di là della semplice deduzione tecnica, al di là del lato verso un terreno di riflessione più lontana, forse più vera se sganciata dalle facili parole dei comizi elettorali. La riqualificazione del Crati - sottolinea ancora - non può che soffermarsi sulle reali possibilità di realizzare un parco fluviale che diventi una sorta di pulsazione cardiaca, vitale per una vasta area che inglobi tutto il comprensorio. In tal senso si può esplorare la possibilità di riqualificare il Crati con eventi e episodi che si collocherebbero in una rigenerata fascia verde lungo le proprie anse, luoghi di sosta per dolci e piacevoli momenti di lettura: rilassarsi mentre ci si trova abbracciati dalla natura con lo scorrere dell’acqua”. Ma Giorno si spinge ad anteporre “su tutto il tema del paesaggio, del rinnovamento di questo nostro paesaggio di “vallata” che ha nel Crati il suo momento culminante. Oggi è un brutto scarico di rifiuti – conclude l’architetto luzzese nonché membro di Legambiente- ma può diventare la chiave da cui muovere un progetto, una visione, un’idea da mettere all’attenzione da chi fa muovere i fondi economici e non gli applausi di rito elettorale”.
PRESENTAZIONE
Mi pare, alle volte, di vedere emergere nel “progetto” ed in particolare in quello che si fa nella professione uno sforzo, certo molto discontinuo, di modificazione dell’esistente, modificazione in cui essere ed abitare sono strettamente legati fino a coincidere. Ciascuno si mette in gioco per una possibile trasformazione del territorio degli uomini, del luogo cioè dove ciascuno si trova, dove ci troviamo ad “essere”. Non c’è uno iato tra il nostro essere persone ed il nostro essere architetto. Per noi il domandare è immergere noi stessi nel linguaggio dei luoghi, nei segni della storia, nelle azioni, nei movimenti, nei comportamenti degli uomini, cioè nostri, nelle nostre tecniche, nelle nostre costruzioni, nelle logiche. Se questo domandare riesce a far dialogare queste cose insieme, e con noi, sembra di vedere l’apertura al nostro fare: “il domandare fa sempre apparire, nello stato di sospensione, le possibilità esistenti” (Gadamer, Verità e Metodo). E’ da questo domandare complesso, è da questo momento di sospensione che mi piace pensare che nasca il progetto. Interrogare i luoghi (per esempio). Ogni domanda, le tracce, ciò che ricordiamo, il loro perdurare, il loro riferimento ad altri segni, il loro uso antico e attuale, il modo con cui si stanno cancellando od imponendo, ci rimanda ad altre domande, ad altri terreni, vengono a galla a poco a poco le possibilità, prende forma il progetto, i progetti, che rimandano ad altre domande, che insieme presuppongono e costruiscono il nostro linguaggio comune, il nostro comune vivere, in un continuo dialogo.
L’interpretazione è sempre in cammino (Gadamer, La ragione nell’età della scienza).
Ma dove si situa la verità in tutto questo? Qual’è il metro di giudizio (su di noi, sui nostri progetti) in un terreno nel quale la legittimazione è difficile e nel quale, dunque, nulla può essere verificato come “conforme a realtà”? Come non si danno enigmi già formulati da risolvere così non ci sono soluzioni nascoste, progetti esemplari. Certo, queste domande sono non solo al di fuori dai nostri programmi ma anche dal nostro mestiere. Ascoltiamo la risposta che Heidegger diede ad uno studente da lui interrogato con domande simili a quelle che ci stiamo ponendo:
“ogni cammino corre sempre il rischio di diventare un erramento. Il camminare per queste vie richiede che si sia esercitati alla marcia. Ma l’esercizio esige mestiere. Rimanga dunque sempre in questo buon stato di bisogno sulla via e impari, senza sviamenti benché nell’errore il mestiere del pensiero” (lettera ad un giovane studente).
Tratto da: Invenzioni, Interpretazioni
di: Aimaro Oreglia d’Isola
LUZZI DA RIPENSARE
Vi sono momenti, nella vita,
in cui tacere diventa una colpa
e parlare diventa un obbligo.
Un dovere civile, una sfida morale,
un imperativo categorico al quale non
ci si può sottrarre.
Oriana Fallaci
Riqualificazione dell’ambiente, recupero urbanistico-edilizio, potenziamento dei servizi, ricostituzione dell’immagine urbana, sono temi talmente forti che non possono essere commisurati con le risorse che sono effettivamente impiegabili per conseguirli. Io credo che dalla “Luzzi da ripensare” non ci si possa realisticamente aspettare grandi ed estesi risultati in tempi brevi; bisogna necessariamente “vedere” negli aspetti economici. Questi sono gli stessi che consentono o non consentono la trasformazione urbana. Con questa considerazione non si vuole gettare acqua sulle speranze o sulle utopie ma, si cerca solo di invitare a stare con i piedi per terra coloro che minimizzano tali discorsi. Sono le profonde trasformazioni in atto nella nostra società che impongono un ripensamento sulla città da costruire-ricostruire. Assistiamo, in quest’ultimo periodo, a diverse e contrapposte posizioni: da un lato vi è la tendenza ad accettare il tema dell’ambiente solo come qualche cosa in più, una specie di fiore all’occhiello; l’altra tendenza identifica, in larga misura, nel progresso tecnico il nemico dell’ambiente, e propone un insistente ritorno al ruralismo quale risolutore di un male ormai incurabile. All’interno del disegno complessivo del progetto “Luzzi da ripensare” dovranno esserci: LA CASA, IL VERDE, I SERVIZI, I VUOTI URBANI, IL RECUPERO DELLE PIAZZE E DEGLI SPAZI PUBBLICI, IL RECUPERO DEL NUCLEO STORICO (interrogando i luoghi e riscoprendo le tracce del passato). Non è più possibile negare come il bisogno di case non possa più essere assunto come necessità per costruire, siamo ormai coscienti, che si tratta di un problema redistributivo e di recupero del patrimonio edilizio esistente. In questo senso Luzzi è seriamente
interessata da vasti fenomeni di degrado sia urbano che edilizio che non possono essere ricondotti all’intervento sul singolo edificio e al rilascio di qualche concessione edilizia per la ristrutturazione di alcuni fabbricati. Per essere maggiormente espliciti il recupero non può più essere posto come intervento sporadico, anche se importante in rapporto alle esigenze, ma deve divenire il momento della riqualificazione dell’assetto territoriale, inserito in una logica complessiva di programmazione che tenga conto sia della struttura edilizia sia di quella urbanistica nella quale si interviene. Una scelta di questo tipo rappresenta
la volontà di operare in una direzione capace di avvalersi di tutte le potenzialità culturali e di utilizzare tutte le risorse economiche, siano pubbliche o private, in grado di impegnarci in operazioni che diano il senso del cambiamento e dell’evoluzione della Città. L’obiettivo di questa azione può essere riassunto nel tentativo di reinserire l’esistente, ribadendo i valori e l’uso dei suoi componenti , nel processo complessivo di costruzione del moderno organismo urbano.
I risultati delle ricerche storiche condotte in varie città mettono in evidenza come sono proprio i caratteri del vivere quotidiano e le caratteristiche tecnico-strutturali dell’ambiente a determinare il suo uso. Per Luzzi, come per gli altri paesi, gli spazi esterni costituiscono l’immagine di se stesso, della sua memoria storica. A seguito delle trasformazioni che avvengono in vari settori produttivi si pone con dirompente urgenza l’utilizzo degli spazi liberati, problema che anche a Luzzi bisogna affrontare affinchè si possano eliminare il più possibile quelle aree urbane e non che costituiscono delle vere e proprie discontinuità funzionali (vuoti urbani). Si è ormai convinti che problemi come questi devono essere affrontati nel quadro di criteri urbanistici che privilegino esperienze di riorganizzazione integrata del tessuto urbano. In questo senso la piazza rappresenta una variabile fondamentale in una politica di contestualità tra operazioni di recupero e riqualificazione degli spazi collettivi. Ogni intervento di riqualificazione deve essere rapportato necessariamente alla rete dei punti di vendita che costituisce un importante elemento di qualificazione e animazione, sia in rapporto alla vita del rione sia per la possibilità di creare un tessuto che abbia come obiettivo il soddisfacimento dei nuovi bisogni dei cittadini. Occorre superare elementi quali:
-LA BASSA QUALITA’ DELL’AMBIENTE
-IL RANGO INFERIORE DELLE ATTIVITA’ INSEDIATE
-L’ASSENZA DI IMMAGINE URBANA
Il nostro sforzo dovrà essere rivolto in questo senso:
-NELL’INDIVIDUAZIONE DI CENTRI DI AGGREGAZIONE
-SULL’ARRICCHIMENTO DI DOTAZIONE
-NELL’USO ATTENTO DELL’ARREDO URBANO
-NELLA REDAZIONE DI PROGETTI DI TRASFORMAZIONE ANCHE RADICALE DI ALCUNE AREE
Elementi questi che se non attuati rischiano di riproporre il problema del ridisegno della città in termini aleatori e poco operativi.
Da questi punti, anche se sommariamente esposti, emerge con chiarezza come la questione del territorio vada concepita ed assunta nella sua complessità. Luzzi da ripensare non può essere intesa per comparti, ma deve essere guardata in modo integrato in relazione ai nuovi bisogni espressi ai vari livelli e nelle specifiche realtà. Bisogna proporre con insistenza il tema del paesaggio luzzese che ha nel fiume Crati uno dei momenti culminanti; oggi è un brutto scarico di rifiuti, ma può diventare un luogo chiave da cui muovere operazioni importanti. La risorsa paesaggistica rappresentata dal Crati riqualificato potrebbe sicuramente offrire nuove possibilità di sviluppo, con eventi e episodi come luoghi per lo sport e spazi di incontro in genere. Il tema del paesaggio non può sicuramente prescindere dagli studi rivolti alla progettazione del colore nell’ambiente costruito e in particolare nel vecchio nucleo urbano (GLI EDIFICI DEGRADATI SONO IMMAGINI DELLA RINUNCIA ALLA CONTINUITA’ DEL PASSATO, GIANNI VATTIMO). Il risanamento degli edifici fatiscenti, la tinteggiatura delle facciate con i colori tradizionali, la riscoperta di fregi e decorazioni caratteristiche, la cura dell’urbano, sono tutti aspetti molto importanti per l’elevamento della qualità dell’ambiente e per rendere più bella e più viva la Luzzi del futuro.
DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO
Oggi niente di nuovo.
Luigi XVI, annotazione nel suo
diario il giorno della Presa della
Bastiglia, 14 luglio 1789.
Le alluvioni catastrofiche che ci colpiscono col tragico bilancio di devastazioni incalcolabili ricordano con crudezza la vulnerabilità del nostro territorio ed il modo irresponsabile col quale è stato sfruttato e gestito. Se pensiamo alla storia recente del nostro paese, vediamo che frane e smottamenti si sono succeduti in maniera preoccupante: basta una pioggia molto intensa che duri qualche giorno e si può essere certi che vi saranno frane, che da qualche parte un fiume o un torrente uscirà dagli argini. In passato una manutenzione accurata dei terrazzamenti e dei muretti a secco, insieme ad un’accurata manutenzione dei torrenti, ha rallentato la propensione al dissesto e regolato lo scorrere dell’acqua verso valle. Poi tutto è stato abbandonato: i contadini hanno lasciato la montagna e la collina per le attrazioni economiche del fondovalle. La capacità di trattenere la pioggia da parte dei boschi spesso è ridotta a causa del tipo di vegetazione, di rado tagliato, troppo giovane, senza sottobosco, ed, anche i terreni coltivati ospitano colture che nei mesi (autunnali) di maggiore rischio per le piogge sono completamente nudi. Infine le aree urbanizzate si sono espanse aumentando l’impermeabilizzazione dei terreni. Per tutte queste ragioni, quando piove intensamente, si accumulano con una certa rapidità le piene. La capacità dei fiumi di regolare le piene è stata fortemente compromessa e limitata: gli alvei sono stati ristretti con costruzioni di vario tipo, con insediamenti produttivi e destinazioni agricole: i corsi naturali sono stati spesso modificati e le aree di espansione naturale delle piene sono state occupate, ridotte e compresse. Così le piene si trasformano in alluvioni devastanti. I fenomeni franosi hanno una dinamica simile, a causa di eccessi di infiltrazioni d’acqua in terreni resi particolarmente vulnerabili o da costruzioni fatte nei luoghi sbagliati o da disboscamenti o anche da coltivazioni sbagliate. Per prevenire simili calamità è necessario: -sviluppare con l’informazione e con l’impegno dei cittadini una nuova cultura del territorio, una consapevolezza della sua vulnerabilità, il rispetto dei suoi equilibri, una diffusa sorveglianza civica contro le piccole e grandi devastazioni e di violazioni, una nuova capacità di gestione e di manutenzione del territorio; -invertire l’abbandono della collina e della montagna con interventi di accurata e attenta manutenzione e cura, sviluppare la capacità di trattenimento dei boschi, ricorrere a coltivazioni adatte anche per le stagioni a rischio; -aumentare la capacità di assorbimento delle piogge anche delle zone urbanizzate, imponendo misure urbanistiche in aumento delle infiltrazioni (come pavimentazioni permeabili) e di diminuzione delle concentrazioni (fognature solo per le acque nere e aree di accumulo per piogge straordinarie); -completare e aggiornare le mappe del rischio idrogeologico, in modo che siano preventivamente individuate le zone a maggiore rischio e realizzare una diffusa rete di rilevamento delle precipitazioni in modo da poter intervenire tempestivamente; -far decollare finalmente i piani di bacino previsti dalla legge 183/89 e tradurli in vincoli, prescrizioni ed indirizzi per la pianificazione urbanistica e territoriale in grado di prevenire, ridurre e tendenzialmente eliminare i rischi di dissesto idrogeologico; -istituire una vera e propria fascia di pertinenza fluviale, con particolari vincoli di tutela dove siano individuate le aree da restituire alla dinamica dei fiumi ed alla espansione delle piene, rivedendo il sistema degli argini e delle briglie, tenendo conto che le piene evidenziano le tendenze evolutive di un corso d’acqua, tendenze che vanno il più possibile assecondate; -verificare e rimuovere, per quanto possibile, riduzioni delle sezioni di deflusso che provocano aumenti consistenti, a livello locale, dell’altezza e della velocità delle acque. Infine, viene assolutamente naturale richiedere energicamente un potenziamento dei servizi tecnici regionali, gli stessi si trovano in uno stato incredibile di abbandono ed inadeguatezza, cioè il Servizio Idrografico e il Servizio Idrogeologico.
ESSERE E APPARIRE
Ci vogliono il tuo nemico e
il tuo amico insieme per colpirti
al cuore: il primo per calunniarti,
il secondo per venirtelo a dire.
Mark Twain
Non è semplice trovare soluzioni per cambiamenti in positivo nel nostro paese (non solo). Luzzi perde abitanti, perde lavoro, perde “immagine” mentre si fa avanti minacciosamente la rassegnazione. Alla base di questa riflessione grava l’aspetto sociale, ambito da cui derivano tutti i mali nostrani. Appena si è in grado di osservare la stragrande maggioranza dei luzzesi, la si guarda agire, la si ascolta parlare; poi, vedendo che le azioni non assomigliano affatto ai discorsi fatti, cercando la stessa dissomiglianza, ci si rende conto che essere e parere sono cose tanto differenti quanto agire e parlare; questa seconda differenza è la causa dell’altra e ha, essa medesima, una causa che resta da analizzare. La si può trovare nel nostro ordine sociale, il quale, del tutto contrario alla natura che niente distrugge, la tiranneggia senza posa e la fa, senza posa, rivendicare i suoi diritti. Il punto centrale di questo voler dire sta nell’io dell’uomo luzzese in genere, della sua difficile autenticità, ovvero della sua corrispondenza della sua interiorità e le manifestazioni esteriori, tra la sfera privata e quella pubblica, il ripudio della società e delle sue caratteristiche ma con il mancato richiamo alla natura. La schiavitù felice del popolo civilizzato che ha soffocato il sentimento della libertà originaria, il talento e il gusto delicato, l’urbanità dei costumi che rende i rapporti affabili e facili, in una parola sola, tutta questa decantata urbanità pesa come la perdita della propria interiorità, ci fa sentire stranieri in questa società apparentemente colta, brillante e raffinata, ma sostanzialmente gregaria. Oggi che ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto in formule l’arte del piacere, nei nostri costumi regna una vile uniformità e tutti sembriamo usciti da un ingannevole stesso stampo: non si segue mai il proprio genio e non si osa più mostrarsi come si è; e in questa perpetua costrizione si fanno, nelle stesse circostanze, le medesime cose. I sospetti, le ombre, i timori, la freddezza, le riserve, l’odio, il tradimento, si nascondono continuamente sotto un velo uniforme e perfido di cortesia. L’antitesi essere-parere è dunque il sintomo più evidente del male luzzese (in genere, di tutti i piccoli paesi): il rimedio comporterebbe anche la liberazione da tale sventura nell’ appello all’ innocenza e ai valori dell’interiorità.
DEL LUSSO
La vera forza del cristiano è la
forza della verità e dell’amore, che
comporta rinunciare ad ogni violenza.
Papa Francesco
Di rado il lusso procede senza le scienze e le arti; mai queste vanno senza di esso . So che i nostri tempi, sempre fecondi di massime singolari, pretendono in contrasto con l’esperienza che il lusso faccia lo splendore degli Stati. Ma dopo aver dimenticato la necessità delle leggi suntuarie, oserebbe pur negare che i buoni costumi essenziali alla durata degli Imperi e che il lusso sia esattamente l’opposto dei buoni costumi? Ammettiamo che il lusso sia certo in vizio di ricchezze; ammettiamo pure, se si vuole, che serva a moltiplicarlo; che dobbiamo concludere da questo paradosso così di essere nato ai giorni nostri? Che sarà della virtù quando ci si dovrà arricchire a qualunque prezzo? Gli antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù; i nostri parlano solo di commercio e di danaro (questo nella sostanza). L’uno vi dirà che un uomo vale in un certo paese la stessa somma per cui sarebbe venduto; un altro seguendo questo calcolo, troverà dei paesi in cui un uomo non vale nulla e altri e altri in cui vale meno di nulla. Valutano gli uomini come greggi di bestiame. Secondo loro, un uomo vale per lo Stato nella misura in cui consuma. Così un sibarita avrebbe avuto un valore di ben trenta spartani, ma, la monarchia di Ciro è stata conquistata con trentamila uomini da un principe più povero di un satrapo persiano; e gli Sciiti, il più miserabile dei popoli, hanno resistito ancora alle più potenti monarchie dell’universo. L’impero romano, a sua volta, dopo aver inghiottito tutte le ricchezze dell’universo, fu preda di popoli che neanche sapevano cosa fosse la ricchezza. I Franchi conquistarono la Gallia, i Sassoni l’Inghilterra, senz’ altri tesori oltre al loro coraggio e alla loro libertà. Una banda di poveri montanari, la cui avidità non andava al di là di qualche pelle di montone (gli Svizzeri), dopo aver domato la superbia austriaca schiacciò l’opulenta e temibile casa di Borgogna che faceva tremare i potentati d’Europa. Infine tutta la potenza e la saggezza dell’erede di Carlo V, sostenuti da tutti i tesori delle Indie, vennero ad infrangersi contro un pugno di pescatori di acciughe (lotta dei Paesi Bassi contro Filippo II). Si degnino i nostri politici di sospendere i loro calcoli per riflettere a questi esempi, e imparino una volta per sempre che col danaro si può avere tutto, eccetto i costumi e i cittadini. Ma in che consiste esattamente questo problema del lusso? Si tratta di sapere cosa importa di più agli Imperi/Stati : essere brillanti ed effimeri, o virtuosi e duraturi?Dico brillanti, ma di quale splendore? Il gusto del fasto non si associa nelle stesse anime con quello dell’onestà. No; non è possibile che spiriti degradati da una quantità di futili cure si elevino mai a nulla di grande; e quando ne avessero la forza, mancherebbe loro il coraggio. Ogni artista vuol essere applaudito. Gli elogi dei suoi contemporanei sono la parte più ambita della sua ricompensa. Che farà dunque per ottenerli, se, per sua disgrazia, è nato presso un popolo in un’epoca in cui i sapienti, divenuti di moda, hanno affidato a una gioventù frivola di dare l’intonazione, in cui gli uomini hanno sacrificato il loro gusto alle tirannie della libertà, in cui lasciano cadere capolavori d’arte drammatica e si rifiutano prodigi d’armonia musicale, perché l’uno dei sessi non osa approvare se non ciò che si adegua alla pusillanimità dell’altro? Cosa farà, signori? Abbasserà il suo genio al livello del suo secolo, e preferirà comporre opere comuni che vedrà ammirare in vita, piuttosto che meraviglie destinate ad essere ammirate dopo la sua morte. Diteci, celebre Arouet (Voltaire), quante volte maschie e forti bellezze avete sacrificato alla nostra falsa delicatezza, e quante grandi cose vi è costato lo spirito di galanteria, così fertili di cose piccine? Così, la dissoluzione dei costumi, necessaria conseguenza del lusso, comporta, a sua volta, la corruzione del gusto. Così, mentre le comodità si moltiplicano e il lusso si diffonde, il vero coraggio si fiacca. Le virtù dei militari si dileguano. Quando i Goti devastarono la Grecia, tutte le biblioteche si salvarono dal rogo solo per questa opinione installata, che bisognava lasciare ai nemici oggetti così adatti a distoglierli dall’esercizio militare e a divertirli con occupazioni oziose e sedentarie. Carlo VIII si trovò ad essere padrone della Toscana e del Regno di Napoli senza aver quasi sguainato la spada; e tutta la sua corte attribuì questa facilità insperata al fatto che i principi e la nobiltà d’Italia si divertivano ad aguzzare l’ingegno e a coltivare il sapere più di quanto non si applicassero a diventare guerrieri vigorosi. Infatti dice l’uomo di senno (Montaigne) che riporta questi due casi, tutti gli esempi ci insegnano che nella formazione militare o ad essa comunque assimilabile, lo studio delle scienze è molto più adatto a sminuire ed effeminare gli animi che non a rendervi più forti e coraggiosi. I Romani hanno confessato che la virtù militare si era spenta fra loro man mano che avevano cominciato ad intendersi di quadri, di incisioni, di opere di oreficeria e a coltivare le belle arti; e come se questo paese celebre dovesse servir da esempio agli altri popoli, l’ascesa dei Medici e il Rinascimento hanno fatto di nuovo cadere, e forse per sempre, quella fama di nazione guerriera che l’Italia sembrava aver riconquistato. Le antiche repubbliche greche, con la saggezza che brillava nella maggior parte delle loro istituzioni, avevano proibito ai loro cittadini tutti quei mestieri tranquilli e sedentari che indebolendo e corrompendo il corpo fanno così presto a infiacchire il vigore dell’animo. Come pensate, infatti, che possano considerare la fame, la sete, le fatiche , i pericoli e la morte, uomini pronti ad accasciarsi per la minima sofferenza? Con che coraggio i soldati sopporteranno un eccesso di fatica non avendone l’abitudine? Se coltivare le scienze nuoce alle qualità guerresche, anche di più può nuocere alle qualità morali. Fin dai primi anni un’educazione scriteriata orna il nostro spirito e corrompe il nostro giudizio. Vedo da ogni parte immensi Istituti dove si alleva con grande spesa la gioventù per istruirla in tutto eccetto che nei suoi doveri. I vostri figlioli possono ignorare la propria lingua ma ne parleranno altre che non si usano in nessun posto; sapranno comporre versi che a stento capiscono; senza saper distinguere l’errore dalla verità, possiederanno l’arte di renderli irriconoscibili agli altri con speciosi argomenti; ma non sapranno cosa sono queste parole: magnanimità, equità, temperanza, umanità, coraggio; se sentono parlare di Dio è più perché imparino ad averne paura che non in vista di un reverenziale timore. Tanto varrebbe, diceva Montaigne, che il mio scolaro avesse passato il suo tempo in un gioco di pallacorda, almeno il fisico se ne sarebbe avvantaggiato. So che bisogna tenere i ragazzi occupati e che l’ozio è per loro il vizio più temibile. Che devono dunque imparare? Ecco proprio un bel quesito! Imparino ciò che devono fare quando saranno uomini, non ciò che devono dimenticare.
Comune di Luzzi – Arch. Filippo Giorno - Dossier
BONIFICA AMBIENTALE EX FABBRICA LATERIZI DIMA
Luzzi. Bonifica ex fornace, Giorno: " Solo improvvisazione, analisi tradite"
Scritto da Roberto Galasso
Mercoledì 07 Agosto 2013 16:11
LUZZI - “Non c’é progresso dove esiste l’improvvisazione”. Ne è convinto l’architetto Filippo Giorno che a distanza di qualche anno torna a dire la sua riguardo alla bonifica ambientale dell’ex fabbrica di laterizi “Dima”, portata a termine nelle località Battipetto e Ginestreto, a valle di Luzzi. Il professionista luzzese, infatti, ha fatto parte del pool di tecnici che ha redatto il progetto preliminare. La vasta area dove sorgeva lo storico opificio, come si ricorderà, è stata oggetto di un intervento finanziato con fondi regionali, relativi al Programma Operativo Regionale (POR) 2000-2006, fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS), Pit Valle Crati, voluto dall’esecutivo municipale dell’ex sindaco Gianfranco D’Angelo che si era impegnato per eliminare le condizioni di forte degrado della zona e per porre fine all’annoso e preoccupante problema dell’amianto. Per la conseguente valorizzazione dell’area erano state individuate delle progettualità riguardanti il museo dell’argilla, il centro congressi, il parco fieristico “Federico II”, il parco ambientale e una pista ciclabile. L’iter per la realizzazione dell’opera, poi, è stato portato avanti dalla prima amministrazione comunale a guida Tedesco. Oggi l’area dell’ex fornace è fruibile dai cittadini e le strutture che vi sono state realizzate ospitano da qualche mese la delegazione municipale e l’ufficio dei vigili urbani. Ma del progetto preliminare, però, a detta dell’architetto Giorno, c’è poco o quasi niente. “Con questo progetto – evidenzia Filippo Giorno - si voleva intendere nella riqualificazione dell’area dell’ex fornace “Dima” uno degli assi portanti dello sviluppo urbano della Luzzi del futuro. La relazione tra trasformazione urbana, riqualificazione del tessuto esistente e la necessità di promuovere la creazione di luoghi urbani ricchi di opportunità di fruizione era confermata nella scelta di privilegiare i luoghi complessi per costruire attraverso la riabilitazione di questa vasta porzione di territorio in disuso, la ricchezza di usi e relazione tipici della città tradizionale”. Per il co-progettista “la volontà di creare un “effetto città” era stata perseguita attraverso tre elementi: un mix di funzioni; il rifiuto della zonizzazione; un impianto unitario che attraverso la successione dei pieni e dei vuoti e un linguaggio architettonico coerente in tutte le sue parti voleva creare un “ponte” visibile tra la prima cintura di Luzzi con il nucleo urbano”. Per l’architetto luzzese “siamo ormai fuori da tutto questo e quindi da quelle attuali ottiche all’avanguardia che si rifanno alla “rigenerazione urbana”. Bisogna tener conto che in relazione alla disponibilità economica - prosegue - il progetto esecutivo è risultato fortemente ridimensionato rispetto a quello preliminare ma comunque aperto e ricettivo ad inglobare interventi futuri atti a definire questo “pezzo di città”. A proposito di interventi - ricorda ancora - il progetto non si fa assolutamente carico della demolizione di alcuni edifici che erano in piena norma per essere riutilizzati così come ampiamente riscontrabile dai documenti cartografici relativi. Inoltre, non risulta pervenuta - aggiunge - la fine che ha fatto la vastissima e ottima gamma delle strutture metalliche che sorreggevano l’impianto della “fornace”; questi secondo una lungimirante previsione, erano stati pensati per eventuali usi futuri e comunque pubblici. Tutto questo, e non solo, riguarda il progetto che può essere visionato anche in Provincia e in Regione. Niente posso aggiungere all’esecuzione dei lavori poiché già dagli inizi si sono creati i presupposti che danno assoluto spazio all’improvvisazione da cui prendo le più nette distanze”. L’architetto Giorno conclude dicendo che “tra l’altro, ogni ragionamento e analisi rivolte alla destinazione d’uso di ogni singola parte dell’area studio sono state completamente tradite: tutto insegue la più palese difformità”.