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Raffaele PINCITORE

Nato a Luzzi il 23.03.1915.

Deceduto in Cosenza il 28.02.1961.

Pittore, Scrittore, Docente.

Raffaele Pincitore

(Testo tratto da “Il Veltro di Sambucina” gen.feb. 1997

di Cecilia Pincitore

 

     Raffaele Pincitore nasce a Luzzi il 23 marzo 1915 da Nicola e Rosanna Andreotta. Terzo figlio dopo due sorelle, Gerardina e Cecilia. Non conobbe mai il padre che morì in guerra quando egli aveva appena sei mesi.

La madre, donna energica e coraggiosa, portò avanti la famiglia gestendo una rivendita di tabacchi e consentendo ai figli di studiare e conseguire un diploma. Furono quelli anni difficili. Poco disposto a seguire facili percorsi, Raffaele anelava a realizzare le sue aspirazioni, che lo poetavano fuori dal paese natale e che incidevano sulla già fragile situazione economica familiare. Ma in questo fu sorretto ed incoraggiato dalla madre e dal suo grande e paterno amico don Nicola Arena alla cui scuola morale si formò sin da giovanissimo.

Seguendo così la sua vocazione artistica manifestatasi sin dalla giovinezza, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti e Reale Liceo Artistico di Napoli dove conseguì nel 1936 il diploma di maturità.

Si iscrisse alla facoltà di Architettura di Roma dove per due anni si recò con sistematicità per sostenere gli esami, ma, spinto da necessità economiche, cominciò ad insegnare accettando incarichi a Nicastro, Foggia, Reggio Calabria, Castrovillari ed infine a Cosenza dove si stabilì definitivamente.

Nel 1957 partecipò al Concorso a Cattedra indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione per conseguire l’abilitazione all’insegnamento nella Scuola Media.

Nell’insegnamento egli profuse le sue grandi doti culturali e di umanità ed infatti fu molto amato e stimato da colleghi ed alunni.

Sposò il 5 dicembre 1945 Adriana Fusaro, dalla quale ebbe quattro figlie che amò di una tenerezza particolare quasi presagendo in qualche modo una fine immatura, perché affetto da una patologia cardiaca di origine reumatica oggi quasi del tutto scomparsa ma all’epoca fatale.

Sin da giovanissimo comunque coltivò le sue due grandi passioni, la pittura e la letteratura, immergendosi nella lettura dei grandi Autori del passato e dei contemporanei, frequentando diversi cenacoli culturali locali e scrivendo articoli di varia natura (cronache, recensioni e racconti) su molti giornali locali.

Contemporaneamente si dedicò alla pittura partecipando con il Prof. Emilio Iuso al restauro di alcune chiese della Provincia di Cosenza, come il Santuario di Santa Maria delle Armi (…) e il Tempio dell’Immacolata Concezione di Luzzi.

Dipinge, inoltre, tele in cui si evidenzia la sua particolare attenzione per gli uomini sofferenti e gli emarginati, temi questi che si ripropongono con grande sensibilità nei racconti scritti a partire dal 1933, pubblicati sulla terza pagina de “Il Giornale d’Italia”, quotidiano con cui collaborò dal 1954.

Questa collaborazione viene così sottolineata da Pasquale Bianconi, amico e collega foggiano, in un articolo pubblicato sul Corriere Cosentino del 24 ottobre 1954, essendo entrato a far parte del… “ben coltivato giardino letterario della terza pagina de “Il Giornale d’Italia”, accanto a firme illustri”. Nel corso dell’articolo delinea anche la personalità dello scrittore e dei suoi personaggi: “Egli affonda la sua fantasia ed i suoi sentimenti, con un umorismo fine ed arguto nel mondo verista che gli era proprio quand’era fanciullo, o nel mondo attuale, guardando tuttavia attraverso lo stesso palpito e la stessa incantata innocenza di quando era monello: e perciò hanno le sue composizioni qualcosa di magico che ti prende e ti affascina, riportandoti poi ad una conclusione moralistica che insegna e disciplina lo spirito.

I suoi personaggi sono personaggi semplici e proverbiali: personaggi di un mondo antico e tuttavia attuale che nella fantasia dello scrittore ridiventano per miracolo fanciullo, assurgono spesso a personaggi mitici apparentemente infallibili ed inflessibili pronti invece a rivelare la propria innata debolezza ed inutilità al menomo urto con la realtà è umile ed usuale delle cose”.

Nel 1952 partecipò al Concorso Nazionale Letterario bandito con l’autorizzazione del competente Ministero a cura dell’Editore Gastaldi di Milano dove viene “segnalato”.

Uomo di grandissima e vasta cultura, ma soprattutto sensibile ed onesto, fu molto stimato ed amato non solo dai familiari, ma anche dai moltissimi amici che ebbero la fortuna di conoscerlo e che ancora oggi ne coltivano il ricordo.

 Nel maggio 1958 pubblicò con la Casa Editrice F. Cappelli il suo primo romanzo “Nessuno sa più amare”.

Morì il 28 febbraio 1961 senza riuscire a realizzare il suo progetto di trasferirsi a Roma dove avrebbe avuto più stretti e proficui rapporti con le casi editrici con cui era già in contatto per poter pubblicare molti altri scritti, romanzi e novelle, rimasti inediti.

Pincitore, Raffaele 


Nessuno sa più amare : romanzo.  
Bologna : Cappelli, stampa 1958. 
243 p. ; 21 cm. 

Pittore, Scrittore, Docente. Nato a Luzzi il 20.03.1915, deceduto in Cosenza il 28.02.1961, ma vissuto quivi lungamente ove ha operato intensamente e con passione; salvo i brevi periodi in cui ha dimorato, per ragioni di studio o di lavoro nel campo scolastico, quale insegnante di disegno, a Lamezia Terme (Nicastro), Foggia e Reggio Calabria in qualità di studente per pochissimo tempo.

     In quest’ultima città lo conobbi solo per qualche mese nel novembre 1934, ove venne per frequentare le lezioni dell’Istituto d’Arte “Mattia Preti”, fondato e diretto dal Prof. Alfonso Frangipane due anni prima, Pincitore prese alloggio nel convitto Vitale, allora, pomposamente denominato “Casa Fascista” in Via XXI Agosto, nei pressi di Piazza Carmine.

     Frangipane cominciò subito a stimare questo allievo che giungeva nella Pitta di Fata Morgana dalle pendici della Sila, e precisamente dal paese della Sambucina ove aveva operato l’Abate Gioacchino da Celico “di spirito profetico dotato”, per come lo ricorda Dante nel suo poema immortale, la Divina Commedia. E lo stimava a ragion veduta, perché allora, non ancora ventenne, egli, Pincitore, scriveva nella nostra lingua madre in modo efficace e stupendo, suscitando in noi, suoi coetanei e compagni di studi, incredulità ammirata e stupore.

     Eppure Pincitore altro non era che un autodidatta, uno studioso nato per formarsi da sé in un ambiente sociale e familiare non molto sviluppato, perché trattavasi di un paese interno quindi poco aperto agli influssi culturali esterni.

     A Reggio però l’amico Raffaele, cresciuto in stato di orfananza (perché il padre era morto durante la prima guerra mondiale da richiamato, poco più che quarantenne), venne nella sua qualità di orfano di guerra. In tale condizione egli, come tanti altri giovani che già fruivano di assistenza da parte del Patronato Provinciale, aveva diritto alle agevolazioni previste dalle nostre leggi.

Autoritratto

     Ma, nato libero e abituato a progredire senza aiuti né guide, perché aveva la capacità di avanzare per conto proprio, in occasione delle feste natalizie di quell’anno, lasciò il convitto per rientrare in paese a fare compagnia alla madre, rimasta vedova e sola perché la figlia era andata sposa al Prof. Ettore Parise, studioso anche lui e poi divenuto preside di scuole medie.

     Questa fu l’occasione per cui Pincitore non ritornò più a Reggio. Passarono molti anni, senza che di lui io sapessi nulla. Ma, nell’autunno 1945, rientrato dalla prigionia, scontata in Germania, e fermatomi a Cosenza, ebbi l’occasione fortuita d’incontrarlo in un corridoio dell’Ospedale Civile dell’Annunziata, entrambi in visita di qualche parente o amico ivi ricoverato. Stentammo a riconoscerci, dopo tanti anni di silenzio e di lontananza. Egli, nel frattempo diventato un bel giovane dall’aspetto gentile e serio dell’intellettuale, evocava in me i ricordi reggini.

Da quel momento in poi non ci siamo mai più perduti di vista, anzi ci siamo frequentati, scambiandoci impressioni e consigli anche inerenti il nostro compito di docenti di scuole site nella stessa città.

     Nel 1956, entrambi vincitori del concorso a cattedre per le scuole medie,  a richiesta fummo assegnati, lui alla Scuola Media di Via Rivocati ed io alla Scuola media “B. Zumpini” di Piazza Cappello.

     Il nostro sodalizio continuò, ma le sue condizioni fisiche (era ammalato di cuore!) progressivamente peggiorarono fino a spezzare la sua esistenza nel febbraio 1961, dopo pochi anni di titolarità, lasciando un vuoto incolmabile nella sua famiglia (moglie e quattro figlie femmine in tenerissima età).

     Il povero Raffaele sembrò predestinato a seguire la stessa sorte paterna, per cui, all’età di appena 46 anni, concluse, innanzi tempo, la sua parabola terrena, senza aver potuto esprimere per intero le potenzialità intellettive di cui madre natura l’aveva dotato.

     Raffaele Pincitore, per virtù del suo impegno, era riuscito a conseguire il diploma di maturità artistica, della sezione architettonica, presso il liceo artistico annesso all’Accademia di Belle Arti di Napoli, nell’estate 1936, cioè un anno prima delle “prime” maturità, conseguite dai primi allievi della “M. Preti” di Reggio e due anni prima del sottoscritto.

     Munito di questo titolo, Pincitore, in qualità di supplente, iniziò la sua carriera d’insegnante presso le scuole delle città già citate. Nel frattempo coltivava la sua passione per le belle lettere, e scriveva racconti e novelle che pubblicava periodicamente sulla terza pagina del Giornale d’Italia e su altri fogli nazionali e locali. La sua preparazione, però, raggiunse il culmine con la pubblicazione di un saggio sul monastero della Sambucina, e più ancora con la pubblicazione del romanzo dal titolo significativo “Nessuno sa più amare”, che vede la luce nel maggio 1958 per i tipi delle Arti Grafiche F. Cappelli di Bologna. Su tale libro, che conservo con cura e senso di religioso ricordo dell’amico e collega, che non è più, Egli si compiacque apporre la seguente dedica “All’amico fraterno Ugo Campisani, artista e docente serio e dotato, appassionato cultore di poesia e di narrativa, Cosenza, giugno 1958”.

     Questo forte romanzo fu giudicato “…crudo dramma paesano che si svolge con fatale progressione in un’atmosfera d’incubo, che l’autore rende impressionante col suo stile asciutto e vigoroso”.

Ritratto di Ugo Campisani

Tratto da: Artisti calabresi:

Otto-Novecento:

Pittori, scultori, storia, opere.

di Ugo Campisani

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