Abbazia di Santa Maria della Sambucina
Storia
La maggior parte degli studiosi data la fondazione dell’abbazia di Sambucina, come filiazione diretta di Clairvaux, attorno al 1140, visto che del 1141 è una donazione all’abbazia stessa. Documenti attestano anche nella stessa zona l’esistenza neI 1145 di un complesso monastico, Santa Maria Requisita, che attorno al 1160 si ritrova come abbazia cistercense di Santa Maria di Sambucina, filiazione di Casamari, ed effettivamente le Tavole genealogiche dell’Ordine riportano Sambucina fondata nel 1160 da Casamari.
La nuova comunità acquistò ben presto importanza tanto che già nel 1172 ci furono le prime due filiazioni: la Novara di Sicilia e Santo Spirito di Palermo. Nel 1184 un primo terremoto obbligò ad alcuni restauri nella chiesa.
Nel 1421 Sambucina cadde in commenda e agli inizi del ‘500 cominciò la decadenza della comunità, aggravata da un secondo terremoto nel 1569 che causò il crollo di gran parte della chiesa e del complesso e l’abbandono dei monaci che ripararono a Mattina, altra abbazia cistercense. Nel 1580 però si decise di restaurare gli edifici e i cistercensi già nel 1594 poterono tornare a Sambucina, anche se i lavori terminarono soltanto nel 1625.
Nel 1633 l’abbazia entrò nella Congregazione Calabro Lucana e nel 1780 fu soppressa con decreto di Ferdinando IV che ne devolveva i beni al demanio.
Oggi del complesso, restaurato nel 1973, rimane la chiesa nelle forme assunte durante i restauri di inizio ‘600.
Architettura
La chiesa di Santa Maria di Sambucina si presenta, come visto, con una storia complessa che si riflette anche sulla sua architettura, frutto di ripetuti interventi. La pianta attuale (una specie di croce greca, mancante del braccio sinistro, murato, e con abside rettangolare con tre monofore) è il risultato dei restauri seicenteschi dopo il terremoto del 1569 che aveva provocato il crollo delle navate e del transetto destro. La chiesa era stata così ridotta alla parte absidale, alla porzione di transetto rimasta e alla prima campata del corpo centrale dove si arretrò il portale.
Grazie anche a scavi che hanno portato alla luce alcune tracce di fondazioni della chiesa primitiva si è potuto risalire alla pianta originale di Sambucina: era a croce latina, con abside rettangolare, ancora esistente, a tre navate e cinque campate (secondo il Negri le tracce sarebbero da attribuire ad una “previsione di ampliamento”).
La copertura originaria (oggi a capriate tranne nel transetto voltato a botte acuta) non trova d’accordo gli studiosi: per la Fraccaro le navate erano a botte acuta e all’incrocio del transetto c’era una torre; altri avevano anche ipotizzato che gli stessi elementi avevano una copertura piana.
Interessanti sono le osservazioni della Ugliano sulla pianta nella quale la studiosa riscontra diverse discordanze: in corrispondenza dell’angolo esterno destro dell’abside c’è uno sperone murario anomalo; nel braccio sinistro del transetto il muro di fondo non è parallelo alla parete absidale; le proporzioni tra larghezza delle navate e lunghezza della chiesa e l’abside non allineata ai pilastri del corpo centrale.
Proprio partendo da quest’ultima osservazione, la Ugliano ipotizza tre fasi di costruzione della chiesa: una prima riguardante la parte absidale, i cui caratteri (abside rettangolare, volta spezzata, tre monofore) sarebbero da far risalire al modello franco-borgognone di Fontenay e quindi entro la prima metà del XII secolo, una seconda di ampliamento con il transetto e il corpo centrale e con lo sperone che sarebbe stato parte del muro di fondo di cappelle prospettanti sul transetto; una terza fase che avrebbe riguardato gli archivolti del transetto, di stile più tardo.
Le prime due fasi sarebbero state anteriori al primo terremoto nel 1184. L’ampliamento nella seconda fase secondo la studiosa sarebbe dovuto essere più imponente di quello che poi si realizzò (nove campate e non cinque, allargamento del transetto e arretramento dell’abside), ma questa ipotesi si basa su studi proporzionali ripresi dallo Hanno Hahn, secondo il quale il piano “bernardino” prevede un modulo ad quadratum che si ripete con esattezza nelle chiese cistercensi e che in questo caso non sarebbe stato portato a termine.
Secondo ancora la Ugliano le decorazioni degli archi del transetto sono tarde (fine XII-inizi XIII secolo) e segno di una diretta influenza borgognona.
Il Van Der Meer data la chiesa dal 1150 al 1175, con navata e crociera posteriori al 1184. La Fraccaro nota una somiglianza di Sambucina con Falleri e quindi con gli esempi coevi di Borgogna, ma anche per gli archi con le più tarde abbazie laziali (Casamari e Fossanova). Un accenno al portale la cui parte più interna (due coppie interne di colonnine e prime due fasce decorative) sarebbero originali, mentre il resto sarebbe frutto di aggiunte durante i restauri seicenteschi.
Bibliografia
ADORISIO A.M., Una conferma della produzione libraria a S. Maria della Sambucina e a Cosenza, in “Studi Medievali”, XXIX (1988), pp. 261-265.
GARRITANO F., La Sambucina. Una grande abbazia nell'Europa medievale, Editore: Libritalia.net , 2022.
MARCHESE G., La badia di Sambucina, sguardo storico sul movimento cistercense nel mezzogiorno d’Italia, Lecce,1932.
MARCHESE G., Tebe lucana, Val di Crati e l’odierna Luzzi, Napoli, 1957.
SANTAGATA G., La Sambucina nella realtà storica e nella missione espansionistica, Chiaravalle Centrale 1977;
UGLIANO R. F., L’abbazia di S. Maria di Sambucina, in I Cistercensi e il Lazio…, cit., pp. 83-89.
VITI G., Le origini dell’abbazia di Santa Maria di Sambucina alla luce della critica delle fonti, in “Notizie Cistercensi”, VI, 1973, pp. 163-185.
Abbazia di Santa Maria della Sambucina -Luzzi (CS)
Filmato realizzato da Franco Dima
Alcune foto sull'Abbazia cistercense Santa Maria della Sambucina- sec.XII. Luzzi (cs)
Decreto di Erezione Parrocchia
I Cistercensi in Calabria
Una delle abbazie-figlie di Clairvaux fu quella di Santa Maria della Sambucina di Luzzi, in Calabria. Sulla derivazione diretta dell'abbazia, comunemente detta della Sambucina, da Clairvaux non tutti gli storici si sono trovati d'accordo. Da taluni la derivazione diretta fu affermata in base a scelte acritiche, da altri fu negata basando le conclusioni su documenti che in seguito sono stati ritenuti falsi. Solo recentemente il De Leo ha confutato tutte le precedenti teorie ed ha dimostrato che la Sambucina è abbazia-figlia di Clairvaux, eretta quando San Bernardo era ancora vivo. Prima di questi recenti studi, la maggior parte degli storici faceva della Sambucina una figlia dell'abbazia di Casamari nel Lazio. A trarre in inganno questi studiosi è stata l'affermazione di Luca Campano, dal 1193 al 1202 abate della Sambucina e poi sino al 1224 arcivescovo di Cosenza, il quale, nel suo breve profilo di Gioacchino da Fiore, ricorda il fondatore dell'ordine florense come "figlio della Sambucina figlia di Casamari". Da qui il passo successivo, di identificare la Sambucina come filiazione di Casamari, fu breve. In realtà la soggezione dell'abbazia calabrese a quella laziale fu successiva. Correva l'anno 1184 quando un grande terremoto sconvolse tutta la Val di Crati seminando morte e distruzione. Il cataclisma danneggiò gravemente anche la Sambucina tanto da imporre la sua ricostruzione. Alla sua riedificazione concorsero in maniera determinante anche i monaci di Casamari. Probabilmente per questo motivo papa Celestino III°, con un privilegio del 6 maggio 1192, riconobbe a Casamari la supremazia sull'abbazia della Sambucina. La ricostruzione storica più attendibile parte dalla contrapposizione che esisteva tra San Bernardo ed il re normanno nella cui giurisdizione ricadeva la Calabria, a causa di un contenzioso sorto intorno alla successione al soglio pontificio. Alla morte del papa Onorio III° furono eletti due papi, Innocenzo II° e Anacleto II°. Quest'ultimo, appoggiato dalla maggioranza dei cardinali, chiese aiuto al normanno Ruggero II°. Innocenzo II° aveva dalla sua parte il re Lotario di Germania, ma soprattutto Bernardo di Chiaravalle, che nel sinodo di Etampes del 1130, si schierò decisamente a suo favore. San Bernardo si schierò contro Anacleto II° sia perché di discendenza ebraica -- e gli ebrei anche nel medioevo non erano molto stimati -- sia perché proveniva da Cluny, monastero che San Bernardo detestava a causa delle grandi ricchezze lì accumulate e per lo spirito di mondanità con cui vivevano quei monaci. Solo nel 1139 con la pace di Mignano, e comunque dopo la morte di Anacleto II°, si venne a capo della controversia. Innocenzo II°, accettato da tutti come unico papa , riconobbe a Ruggero il titolo di re di Sicilia e la giurisdizione su tutta l'Italia meridionale. Dopo queste vicende non è da escludere che San Bernardo abbia scritto a Ruggero una lettera con la quale si congratulava per essere stato riconosciuto re di Sicilia. Dopo di che Ruggero invitò San Bernardo a fondare un monastero nelle sue terre. Sicuramente i desideri dei due coincidevano: da una parte San Bernardo voleva allargare i confini del suo apostolato, dall'altra re Ruggero con la venuta dei cistercensi perseguiva due scopi suoi e di tutti i normanni: la rilatinizzazione della Calabria invasa ormai da monaci basiliani di rito greco, e lo sfruttamento economico delle zone montane in cui aveva intenzione di far nascere il monastero. Gli unici documenti che testimoniano lo stanziamento dei cistercensi in Calabria sono alcune lettere dello stesso San Bernardo. Queste lettere, quattro in totale, furono indirizzate, le prime tre, a Ruggero re di Sicilia, la quarta all'abate Amedeo, incaricato da San Bernardo di trasmettere un suo messaggio agli ambasciatori del re di Sicilia, che si trovavano nel sud della Francia per accompagnare in Italia Elisabetta, figlia del conte di Champagne, promessa sposa al primogenito del re di Sicilia. Sebbene nessuna delle lettere sia datata, da alcuni riferimenti in esse contenute si è potuto stabilire con precisione la data di fondazione dell'abbazia della Sambucina, essa è avvenuta nel 1141 grazie ad una donazione fatta da Goffredo di Loritello, cugino del re Ruggero, conte di Catanzaro.
Luzzi ed il monastero cistercense della Sanbucina
Siamo in provincia di Cosenza nella val di Crati e visitiamo, per i nostri lettori, la città di Luzzi, una città ricca di storia e di arte, come poche in Calabria. E’ la città della famosa Sambucina, il convento cistercense che ospitò per tanti anni l’abate Gioacchino da Fiore. Scrive F. Kostner che Luzzi è un "centro importante inserito nel <plesso etnicogeografico dell’antica Thebae Lucanae>, di cui, appunto, i numerosi ritrovamenti archeologici sono testimonianza preziosa". Appartengono, infatti, al territorio luzzese monete rarissime, vasi, e necropoli come quella di Calovito che custodiva alcune laminette d’oro oggi conservate nel Museo di Reggio C.
Per quanto riguarda la genesi del toponimo, secondo alcuni studiosi e tra questi il sacerdote Giuseppe Pepe, Luzzi avrebbe un collegamento con" la parola lux, per denotare che essendo il paese circondato da monti e coperto anticamente da folte boscaglie...era necessaria la luce del giorno"; secondo altri deriverebbe da "luendo" perché i Tebani "superstiti alla difesa della loro città vennero a stabilirsi dietro aver pagato il fio della loro temerarietà"; altri ancora pensano alla presenza di un’ingente produzione di mandorle; infine c’è chi propende per "un certo pesce detto luccio in un antico lago totalmente estinto". Prima di entrare nell’abbazia della Sambucina, ci fermiamo a visitare o descrivere qualcuno dei tanti monumenti ed opere d’arte che fanno ricco il patrimonio storico - culturale di Luzzi.
La chiesa di San Giuseppe, già cappella gentilizia dei Principi Firrao edificata nel sec.XVII con facciata barocca. L’interno è a tre navate con il soffitto a cassettoni con decorazioni e stucchi di epoca barocca. Qui vi sono conservate molte opere scultoree e pittoriche di pregevole valore artistico: una tela di Andrea Vaccaro del ‘600 raffigurante San Gennaro, un’altra di Diego Pesco dell’800, una delle opere giovanili del pittore luzzese Giuseppe Cozza, due pile marmoree del Settecento e la lapide sepolcrale di arte paleocristiana di Santa Aurelia Marcia che conserva le reliquie della Santa traslate a Luzzi nel 1744 per volontà del cardinale luzzese Giuseppe Firrao, Nunzio Apostolico e Segretario di Stato sotto il pontificato di Clemente XII.
Notevole è la presenza di tante croci sparse per le strade e i crocevia che sono un po’ il simbolo di Luzzi. La Croce più antica è quella in ferro fatta erigere nel 1733 dal Beato Angelo d’Acri, a conclusione di un ciclo di Missioni dei Padri Cappuccini, successivamente ubicata più in alto su di un poggio dal quale si ammira il bel paesaggio della valle del Crati. Altra croce è quella sistemata sul muro della citata chiesa di San Giuseppe.
Ma la risorsa che fa ricca culturalmente e spiritualmente Luzzi è di sicuro l’abbazia di Santa Maria della Sambucina che, come scrive Pietro De Leo, "adagiata su un breve pianoro...mantiene tuttora, insieme con le superstiti strutture gotico - monastiche, il fascino di un’area pressochè incontaminata, tra castagni e sambuchi a 750 metri sul livello del mare". Circa le origini del sacro sito, scrive ancora De Leo che: "il monastero vanta origini assai remote, sulle quali, in difetto di documentazione, si è sbizzarrita la pubblicistica locale. Stando, infatti, alle carte superstiti, per trovare un riferimento sicuro non si può andare al di là del dicembre del 1145, data in cui Berta, signora del luogo, donò alcuni suoi beni al monastero di Santa Maria e per esso all’abate Sigismondo, intento alla ricostruzione della chiesa. Si può solo ipotizzare che, se in quello vi era un’abbazia e un abate, doveva esserci anche una comunità già costituita. La storiografia erudita ha tentato di supplire all’incertezza proponendo per la fondazione tempi assai remoti; per questo si è appellata ad un fantomatico privilegio del 585 di papa Pelagio III, concesso al cenobio su cui, in seguito, fu costruita l’attuale abbazia. Di esso, però, non si trova alcuna traccia nei repertori più accreditati e, per quel che si può capire, altro non è se non un mero parto della fantasia. In mancanza di testimonianze inoppugnabili si possono avanzare solo ipotesi."
Comunque sia la fondazione del monastero luzzese è dovuta ai monaci seguaci di San Bernardo di Borgogna che, da Clairvoux e da Chiaravalle di Milano, per volere di Ruggero vennero tra le terre normanne dell’Italia meridionale per propagare il loro ordine monastico cistercense. Insomma fu eretta quel gran complesso monastico che si chiamerà Santa Maria Assunta della Sambucina eche sarà, nel tempo, per dirla con le parole di Pietro De Leo, "fucina di spiritualità, centro d’arte e cenacolo di studi. C’è da dire che già qualche tempo prima in queste contrade erano venuti i Benedettini fondandovi i monasteri di Stilla Chiusa e Santa Maria di Corato e poi quello di Santa Maria Requisita. Sulla querelle circa la datazione di fondazione del monastero luzzese, si può concludere con Giuseppe Santagata che asserisce essere stato fondato nel 1087 ed abitato da una comunità di Benedettini con a capo Sigismondo, nel 1141 venne concesso da Goffredo ai Cistercensi che lo ricostruirono stabilendovi il primo nucleo dell’Ordine nel Regno Normanno. Di certo è questo convento si è pregiato di un prezioso quanto umilissimo ospite. E già perché verso il 1160, dopo l’esperienza alla Corte di Cosenza e di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, chiese ed ottenne di entrare nel monastero, per aprirsi alla nuova vita di profonda spiritualità, Gioacchino da Celico.
E’ qui che, come scrive F. Ceraldi, "dalla solitudine della Sambucina, il Veggente di Celico, in mezzo alle suggestioni più straordinarie della natura rigogliosa, predice una terza età del mondo, in cui l’umano consorzio dovrà seguire nuove correnti rinnovatrici". Da questo monastero si irradiarono, nei secoli, le arti, architettura e scultura, una scuola calligrafica per la copiatura dei Codici, la scuola degli amanuensi; migliorarono le colture agricole e tutto il patrimonio abbaziale si estese fino a tutta la valle del Crati; qui fiorì l’arte serigrafica, l’arte della lana, della canapa, del cotone; qui si son formati preziosi decoratori, miniatori, vetrai, micai e pergamanai." E poiché - scrive A. Serra- il commercio esigeva adeguati mezzi di trasporto il Monastero allestì una flotta di piccolo cabotaggio e così i suoi navigli dalla stazione fluviale di Luzzi, risalendo il Crati, arrivarono fino a Taranto e alla Sicilia". Ne discende che il monastero cistercenze di Luzzi è stato per molti secoli il polo socio-economico e spirituale di tutto il sud d’Italia, tant’è che, come scrive lo storico di Rocca di Neto A. Gallo Cristiano, "fu importantissimo, perché fu il primo monastero autorizzato dalla Santa Sede a fondare ovunque case filiali; e ne fondò dal 1140 al 1220".
Ma questa grandezza durò solo alcuni secoli chè poi intervenne il declino dovuto alle leggerezze temporali degli abati commendatari e successivamente (1569) alla violenza della natura che con un sisma distrusse buona parte del monastero che venne ricostruito nel 1625. Oggi della Sambucina, dopo i recenti ed imponenti restauri, sono fruibili, da studiosi, cultori e turisti la chiesa ed il monastero. A prima vista s’impone il portale in pietra tufacea con rilievi decorativi del sec.XII richiamantesi all’arte arabo - normanna, con l’archeggio leggermente ogivale. Sovrastante il portale, al posto del consueto rosone, si apre una finestra sporgente poggiante su quattro sostegni di tavertino di tipo guelfo; alle fiancate, sempre della facciata, sono ben visibili arcate in pietra ogivale attribuite al XII - XIII sec.; dall’ingresso poi, ci si immette nel campanile che è struttura alquanto povera del sec. XVIII. L’interno è ad una sola navata terminante con l’abside a volta ogivale e conserva pregevoli opere d’arte: un capitello duecentesco in tufo adibito a lavabo, uno stipo in legno intagliato opera dei famosi ebanisti di Serra San Bruno del ‘700; un affresco del 1401 raffigurante la Madonna col Bambino e con sullo sfondo alcuni sambuchi in fiore, proprio il sambuco, la pianta che ha dato il nome al monastero; la bella tela (mt. 3X2) dell’Assunzione attribuita a Luca Giordano del sec. XVI.
Il chiostro del convento ben si conserva, nonostante aggiustamenti del passato, ed è di forma quadrata con tre corridoi sostenuti da pilastri ed arcatelle ogive; in un angolo del chiostro, poi, si conserva una meridiana del 1753.
Per concludere non possiamo non dire che tutto il complesso monastico della Sambucina e la natura circostante costituiscono un angolo di paradiso che va fruito fino in fondo. Su questa altura ci si rinfrancherà lo spirito ed anche il corpo, su questa altura dove regna ancora lo stesso sapore e lo stesso clima che videro tanti spiriti eletti, e su tutti Gioacchino da Fiore, dissertare e meditare su temi di valenza universale.
Mimmo Stirparo
GIOACCHINO DA FIORE PENSATORE PITTORICO - SAMBUCINA
Liceo Artistico Luzzi
GIOACCHINO DA FIORE PENSATORE PITTORICO - CONVEGNO ISTITUTO OMNICOMPRENSIVO DI LUZZI 29 MARZO 2019
I suoni che abbiamo appena ascoltato sono prodotti da uno strumento simile al salterio, strumento musicale ebraico che per Gioacchino da Fiore è stato un illuminante simbolo della Divinità. In esso si combinano la triangolarità dei vertici, che raffigurano la Trinità delle Persone, e la rotondità dell'aperura centrale, che raffigura l'Unità della sostanza Divina.
L’abbazia della Sambucina, a Luzzi (CS), del XII secolo d.C è stata il teatro ideale per celebrare la spiritualità del religioso florense che circa 800 anni or sono pare si sia rifugiato presso la chiesa. Lo stile pittorico utilizzato nelle sue miniature, rappresentate nella locandina dell’incontro odierno e nelle opere esposte, realizzate negli anni dal LICEO ARTISTICO DI LUZZI, è di una estrema semplicità coloristica in quanto strettamente legata alla tradizione figurativa cistercense di cui il sacerdote eredita le regole strutturali. L’abate esercitò notevole influenza sulla storia dell’arte italiana. Gioacchino, infatti, secondo gli studiosi avrebbe addirittura ispirato Michelangelo nella raffigurazione della volta della Cappella Sistina.
LA BADìA DELLA SAMBUCINA Costruita tra il 1135 e 1145 dai Cistercensi sulle strutture di una abbazia di probabile origine benedettina, fondata venti anni prima, fu fino alla metà del XVI secolo un importantissimo centro religioso, artistico e culturale. Il modello che avete visto nel video e che è qui, rappresenta la riproduzione della struttura architettonica esistente.
Tratto da: Nuovo Corriere della Sibaritide
L’ABBAZIA DELLA SAMBUCINA A LUZZI
di Mario Vicino
Intanto che la potenza temporale della Chiesa si afferma anche attraverso la maestosità delle costruzioni sacre e la ricchezza delle loro decorazioni, un settore riformato dell’ordine benedettino, i Cistercensi, che prese il nome dall’abbazia borgognona di Cìteaux (in latinoCistercium) dove vennero stabiliti i principi della nuova regola (1098), propone modelli di ascetica povertà e di intransigente austerità. Quindi rifiuto di quelle rendite che avevano reso ricchi e potenti altri ordini (la polemica si fissava specialmente contro i Cluniacensi). Simili rigorosi ideali trovarono un effetto anche nelle forme dei monasteri cistercensi e nel rifiuto di ogni tipo di ornamento, sia per non distrarre dalla preghiera, sia in opposizione allo straripante naturalismo in quanto percepito dai sensi e ritenuto così ostacolo al raggiungimento di Dio. Inizialmente vengono fatte proprie sobrie forme romaniche, ma col diffondersi dello stile gotico che si espande dall’Île-de France, l’architettura dei Cistercensi include nelle poderose strutture romaniche l’ogiva e altri elementi gotici. Connotazione delle costruzioni dell’ordine, in contrapposizione con la complessità delle cattedrali gotiche, resta l’inclinazione austera
che si propaga dalla Borgogna a tutti i luoghi in cui i monaci cistercensi fondano le loro sedi, dalla Scandinavia all’Italia. I resti dell’Abbazia di S. Maria della Sambucina si trovano in una località abbondantemente boscosa, al di sopra di Luzzi, tra la Serra di Filetta e la Serra Castellara, in una zona collinosa con una magnifica vista prospiciente la Valle del Crati. Sulla base delle lettere di San Bernardo di Chiaravallee di un insieme di circostanze documentarie, la storiografia ha potuto accertare che l’antica abbazia di S. Maria Requisita, detta anche Sambucina, come dimostra la Chartuladonationis pro anima di Berta di Loritello, fu la prima fondazione cistercense del regno meridionale, databile fra il 1145, anno della donatio alla chiesa di S. Maria Requisita e il 1150, anno in cui Eugenio III la prende sotto la sua protezione. La data da cui è necessario partire è il 1184, anno in cui un tremendo terremoto devastò sia l’antica Cattedrale di Cosenza che l’originaria
abbazia della Sambucina: il legame basilare per la ricostruzione e la fondazione di nuovi complessi fu il diretto rapporto istituito fra il monaco cistercense calabrese Gioacchino da Fiore e il religioso anch’egli cistercense Luca Campano, suo amanuense prima a Casamari e poi in Calabria presso la Sambucina. L’abbazia diventò la casa madre di alcune fondazioni conventuali cistercensi in Calabria e al di là dei suoi limiti, in Puglia, Lucania e Sicilia. È bene precisare che dalla notevole elencazione di derivazione fornita da Giuseppe Marchese, devono esserne eliminate molte, perché la loro tipologia di filiazione proviene soltanto da contraffazioni. Uno dei più importanti abati della Sambucina fu Luca Campano (1192-1202) che, come ho già scritto, iniziò la sua carriera ecclesiastica a Casamari, concludendola come arcivescovo a Cosenza. Gioacchino da Fiore ha vissuto qui per un certo tempo, staccandosi dalle appartenenze e dai vantaggi del mondo temporale eleggendo così la Sambucina come luogo di preghiera, di meditazione, di speranza e di azione. In seguito al già citato terremoto del 1184, il fabbricato necessitò di considerevoli interventi ed è a questo punto che Luca Campano vi fissò un aspetto gotico cistercense progredito in opposizione ad uno stile più arcaico rimasto superstite allo spaventoso sisma. Resta comunque da chiarire quali furono i contributi dello “studiumartium” di Casamari e quali quelli della manodopera locale che secondo il Marchese, furono
rilevanti. Dopo ripetuti terremoti, nel 1220 la comunità chiese al papa di spostarsi nell’abbazia di S. Maria della Matina e nel 1235 ottenne dal Capitolo. Generale l’autorizzazione a trascorrere i mesi estivi nella propria abbazia madre. Nel 1410 si aprì per i due conventi il tempo buio degli abati commendatari e durante quel periodo la Sambucina ospitò il suo più famoso ospite, ovvero l’imperatore Carlo V, il quale dopo il banchetto in suo onore pare abbia detto che il posto in cui si trovava non fosse un convento, bensì una corte impegnata a svolgere l’arte del “conviviumreligiosum”. Nel 1561 l’abbazia si mostra come un ostello in cui accade di tutto e prima che la soppressione degli abati commendatari e il nuovo regolamento dell’ordine dei Cistercensi stabilito nel Concilio di Trento potessero svolgere i loro utili effetti anche per la Sambucina, sul monastero si abbattè una frana che devastò pressoché del tutto gli apparati monastici. I monaci trovarono ricovero alla Matina e la ricostruzione ebbe inizio dopo il 1580 con i lavori che giunsero a conclusione soltanto nel 1625. Attraverso l’inclusione della Sambucina nella nuova comunità cistercense Beatae Mariae VirginisTotius Regni Napolitaninel 1639 l’abbazia, una volta così ricordata perse il grado di casa madre cistercense in Calabria. Il 1731 portò l’ultima devastazione sismica e nel 1780 una differente sorte determinò la sua fine: la soppressione dell’ordine monastico sotto Ferdinando IV. Nel 1803 le strutture rimaste furono persino vendute a privati. Di quel che specialmente i Cistercensi idearono alla Sambucina sono giunti solo certi avanzi della chiesa conventuale. Percorrendo l’ipotesi dello H. Hahn, secondo cui il modulo ad quadratum dello specifico bernardinischerGrundtypus non si replica casualmente, ma osserva un accurato metodo costruttivo, dando luogo a definiti rapporti proporzionali, lo si è ripetuto fino ad ottenere una linea di chiusura delle cappelle. La ricostruzione non ha rispettato l’aspetto originario e si è limitata a sistemare quanto era rimasto. Di una chiesa che poteva avere tre navate con otto campate, fu recuperato soltanto un troncone, al quale è stato applicato il portale che si presenta inserito in un tratto di muro aggettante rispetto all’intera facciata della chiesa che fu messa in opera nei restauri seicenteschi. L’archivolto è formato da varie fasce decorative che poggiano su piedritti realizzati con colonnine abbinate. La porzione del portale riferibile al XIII sec. è quella composta dalle due bande archiacute
cordonate e dalle quattro colonnine interne che la sostengono. I capitelli presentano nelle decorazioni a nastro, elementi di paragone con lembi ornati esistenti in chiese cistercensi francesi o inglesi. È da notare che il motivo più esterno a piccole onde richiama il portale sud del priorato di Berzè-la-Ville, un’edificazione rurale dipendente dai monaci di Cluny nella regione del Macon in Francia. Inoltre i piccoli capitelli custoditi nel chiostro con essenziali e ideali crochets e minute scanalature, riferiscono un apparentamento con le provenienze più remote sia di Citeaux che di Poutigny, Mazan, Clairvaux. In una delle pareti dell’abside è visibile un dipinto del Quattrocento che rappresenta la Madonna del Sambuco col Bambino; su di esso si notano le foglie di sambuco, un nome e una data: OrlandusStames MCCCCI. Fra le arti fiorite nella Badia della Sambucina
è fondamentale citare per ordine di valore, la calligrafia che presenta caratteri fermi, regolari, simmetrici. A tal proposito è necessario indicare un’altra specialità sambucinese, ovvero la fabbricazione dell’inchiostro che si usava negli “scriptoria” per la copiatura dei manoscritti e dei codici. La composizione chimica di questo inchiostro si trova descritta in un libro proveniente dalla Sambucina di proprietà Vivacqua. Due saggi calligrafici sono del XII sec. e si conservano uno a Casamari e l’altro nella Biblioteca Vaticana. Il primo contiene la “Regola di S. Benedetto” e la “Commemoratio” dei donatori e fondatori della Sambucina; il secondo comprende “L’expositio in Dyonisiihierarchiamcaelestem di Hugues de S.Victor”. Un terzo modello contiene la tavola Matrimoniale dei munifici discendenti dei benedettini dellaSambucina e comproprietari dei possedimenti. L’Abbazia se non ebbe uno scriptorium vero e proprio dovette, per provvedere alle necessità religiose e culturali delle varie comunità che da essa dipendevano, ararricchirsi di un’apprezzabile biblioteca. Ma l’evento che quasi richiama per magnificenza i tempi di Gioacchino
da Fiore e di Luca Campano fu la venuta nella Badia della Sambucina di Telesforo, nel 1355. Questi dopo la visione dell’Angelo dalle ali d’oro si immerge nello studio dei veggenti calabresi e scrive l’opera “De MagnistribulationibusfuturisEcclesiae”. Fra le industrie minori emerge quella dei medicinali, a base specialmente di erbe, la quale dovette essere molto florida se si pensa che ancora oggi a Luzzi è conosciuta. La Sambucina, come tutte le grandi badie cistercensi ebbe il suo “hospitium” nel quale i passeggeri ed i malati bisognosi venivano ricoverati, poiché S. Bernardo aveva ordinato che l’ospitalità doveva rappresentare lo scopo supremo della Regola.
Disegno della Sambucina di S. Siragusa