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Beniamino Dima

 

di Salvatore CORCHIOLA

Nato a Luzzi da Francesco Dima e Pia Coppa, il 28 giugno 1942, da alcuni anni è residente a Pescara. Ha lavorato per più di trenta anni in banca, tra Firenze, Siena ed Arezzo. Non ha vissuto molto a Luzzi, pertanto non è semplice raccontare di lui. Sappiamo che da adolescente, tramite l’interessamento del coltissimo arciprete don Francesco Ceraldi, parroco di Santa Maria, chiesa arcipretale di Luzzi, viene inviato per studiare nel collegio di Vico Equense (Na), retto dai padri Gesuiti. Torna in paese, dove frequenta la terza media, allievo del professore Salvatore Mauro.

      Conseguita la maturità presso lo storico liceo “B. Telesio” di Cosenza (suo insegnante di italiano fu il professore Aldo Coppa) si trasferisce a Firenze e poi a Siena per studi universitari, mantiene sempre però, stretti contatti con Luzzi e con la Calabria che ritiene, la sua reale regione.

       Collabora con alcuni suoi articoli al quotidiano “Il Giornale di Calabria” e con scritti vari a “Il Veltro della Sambucina” periodico locale diretto da Michele Gioia, giornalista RAI, anche lui malato di “luzzite”.

                                 

Beniamino Dima, quindi, un luzzese doc, ma che, per alterne vicende, mai riesce a restare per lunghi periodi in paese. Da bambino ritorna spesso con il padre, segretario comunale, nella loro casa in via Cardinal Firrao, dove vive anche la nonna paterna, ma è sempre poco e relativo il tempo per restare. Francesco Dima presta servizio in comuni limitrofi. Esercita anche, per breve tempo, quale Segretario, al Comune di Luzzi, nel periodo in cui era sindaco il prof. Peluso. La famiglia è rientrata in paese da un anno quando un grave male colpisce il genitore ed in poco tempo se lo porta via. Francesco Dima ha 46 anni. Lascia la moglie di 38 anni e sette orfani. La signora Pia Coppa, insegnante presso l’Istituto Scolastico San Francesco di Luzzi, si carica di grandissima forza d’animo per portare avanti la numerosa famiglia, ma la sventura ritorna a colpire ancora: altre due immature perdite, due sorelle, straziano l’esistenza del giovane Beniamino e del resto della famiglia.

       Nel 1962 il Dima parte per la Toscana dove resta a vivere più o meno in modo continuativo, ad eccezione dei periodi di vacanze o ferie, quando ritorna immancabilmente a Luzzi o presso le spiagge uniche della sua Calabria. Oggi in pensione, si dedica alla passione di sempre: scrivere! Raccoglie gli scritti di una vita, della gioventù e dell’età adulta e pubblica il suo primo volumetto di poesie: Il tempo e le parole. Quasi una storia (2013) presso la Casa Editrice “Tracce” di Pescara. Con questa raccolta vince il Premio Speciale della Giuria: Premio Nazionale Histonium (2014).  Nel 2015 esce la sua seconda raccolta Storie ed ancora storie curata dall’Associazione culturale “Histonium”. Seguono altri importanti premi per singole poesie (Al medico di Lampedusa) ed altri premi per racconti: Bruno e Marisa (dove commuove per il suo rapporto affettivo per Luzzi); “A spasso nel parco con il nonno” un racconto riflessivo che mira ad indirizzare la mente del ragazzo verso il bene e la pace. Nel 2020 con il racconto Il lupo di mare gli viene assegnato “l’Histonium d’Argento”. Vi si narra di storie di vita e di amicizia.  L’essere rimasto orfano in giovane età, i lutti familiari, i problemi di una famiglia numerosa, hanno certamente condizionato il suo percorso di vita e quindi il suo modo di vedere e di sentire. Luzzi, Firenze, Siena, Reggio Calabria, poesie dedicate a città, nelle quali vivono emotività che restano per sempre nell’immaginario del lettore, come fa notare il Masciulli, nella quarta di copertina de Il tempo e le parole. Raggiunge una umanità universale nella poesia dedicata alla madre. Struggente è la poesia In morte della sorella ad un occhio attento non sfugge che i racconti e le poesie sono strettamente connessi tra loro: sono momenti dello spirito che trovano espressioni nelle parole che riflettono i lati più reconditi del suo mondo interiore. E anche nell’ambito delle più profonde avventurose realtà riveste sempre aspetti poetici: “Non appena il sole calava oltre la linea dell’orizzonte, le barche si staccavano dalla terra ferma” nel racconto Il lupo di mare. Ed è vero che i poeti moderni vivono il bisogno di associare la poesia al linguaggio comune, in ogni caso lo strumento più efficace in grado di riconoscere le tante diversità di cui si compone la nostra sostanziale unità di esseri umani. C’è nei suoi scritti l’onestà degli intenti che restituisce dignità e costume, cose che vogliono essere anche un messaggio in armonia con i ricordi e le memorie del passato.      

                                                                                                                         

15 Maggio 2021

Al Medico di Lampedusa

Or che la matrigna

pressa tutti contro il muro

io offro a te il Nobel

per Asclepio.

Se ti diranno di no,

quegli associati,

in Lampedusa avrai

comunque, alto stelo di Pace.

Dal mare il sangue

striscia la tia costa,

stanco, porti vita

e non certo morte.

Donna di parto

o nero disìdratato

soccorri a notte o giorno

senza sosta,

quando i tuoi pari

annaspano nel gorgo

a cento e ancora a mille,

come stormi di uccelli

dispersi alla deriva.

Barche di gente disperata

e tumuli, apprestano

rapaci uomini indegni

che nulla cedono

per ingorda insania.

Da solo, con bisturi e fonendo,

dedichi tutto al giuramento. *

Han conferito da tempo

a te, i tuoi isolani,

forza, prestigio, fama

ma tu, sereno, freni i discorsi

e corri ai capezzali

* Il giuramento di Ippocrate

Premio "HISTONIUM" (Sezione F a Tema "Servire gli altri")

Primo Premio Assoluto. 24/7/16

Nel tempo *

A mezzo del guado sperduto,

evento per terribile morte,

solo a cercare il chiaro

nel nebbioso orizzonte,

non per tua colpa, padre,

e neppure per anonima ignavia altrui.

Nessuna traccia di saggio

corre nel tenebroso sito

di solitudini

e nevrasteniche strida.

Il peregrinare tuo simile al mio

ma sfortunato e breve

urla ancora e preme come tuono.

Inutile dire di ombre che recano

tremuli passi in terre contro,

per già segnati destini.

Parola strappate e profane

che isolate corrono tra sabbie

di morbidi venti di mare.

Io solo rammento, ancora

e ti onoro: padre!

*Ossia: A mio padre.

(E' la mia storia non molto capita da molti.)

il tempo e le parole.jpg

Le poesie di Beniamino Dima nella raccolta "Il tempo e le parole. Quasi una storia".
 

 

“Il tempo e le parole. Quasi una storia”. E’ il titolo del libro, Edizioni Tracce, che raccoglie le poesie del luzzese Beniamino Dima che vive a Pescara dove, ora a riposo, si dedica alla famiglia e ai suoi libri. Dima, impiegato di banca per trent’anni, si è occupato, a tratti, di politica e sindacato. Ma non ha mai reciso i rapporti con la sua terra di origine che è riuscito, appunto, a mantenere sempre stretti grazie anche alla collaborazione con il Giornale di Calabria e poi con racconti e scritti di costume pubblicati sul periodico locale “Il Veltro di Sambucina”, diretto dal giornalista Michele Gioia.

 

“Il tempo e le parole” racchiude, dunque, “componimenti lineari ma di grande impatto” che “scorrono sotto la lettura che accarezza la parola leggera e sicura”.  Nella prefazione Alessio Masciulli ricorda che il libro di Dima “va sfogliato con l’idea simile a quella fatta prima di un lungo e meraviglioso viaggio, si scopriranno terre, si conosceranno città, si incontreranno persone ma prima di ogni cosa, ci si riempirà il cuore di belle emozioni così come ogni buon libro dovrebbe fare”.

 

Emozioni che leggendo i versi di Beniamino Dima hanno pervaso i cuori di tanti luzzesi, ormai ovunque sparsi in Italia e nel mondo, riportandoli con la mente ai momenti e nei luoghi della loro infanzia.

DALLA PREFAZIONE DI ALESSIO MASCIULLI:

 

L’autore intinge la sua penna nelle emozioni e lascia sul foglio chiare fotografie di momenti vissuti dando al lettore la sensazione di essere seduto al suo fianco. Componimenti lineari ma di grande impatto scorrono sotto la lettura che accarezza la parola leggera e sicura.

 

“La poesia salverà il mondo” diceva qualcuno ma io credo che la poesia salva ognuno di noi ogni volta che essa viene letta o pensata.

 

Questo libro va sfogliato con l’idea simile a quella fatta prima di un lungo e meraviglioso viaggio, si scopriranno terre, si conosceranno città, si incontreranno persone ma prima di ogni cosa, ci si riempirà il cuore di belle emozioni, così come ogni buon libro dovrebbe fare.

AD UN AMICO GIORNALISTA

Raccontami ancora,

amico mio,

di quella casa abbattuta

lì nella piazzetta,

della vecchia farmacia

che non c'è più,

raccontami di quell'erta

che porta su all'Immacolata,

dei palazzi costruiti

in bilico sul fiume,

dimmi di quella gente pulita

che ti invita,

parlami ancora, di quelle zie

al vicinato, dimmi di come erano

ma ancor più dimmi,

ora che lontano il tempo vola,

di come sono i miei paesani oggi,

sì che io possa continuare

as essere dei loro.

ODORAVI DI MARE

Te... che eri lì e

non ho preso.

C'eran gli scogli,

proprio alla risacca

e tu, distesa come

una sirena, aspettavi

me che mi muovessi,

ma eri troppo bella,

ed io sognavo

nei tuoi occhi e

mi bastava.

Poi non accadde mai,

ma era amore!

LA SAMBUCINA

Un muro, un arco, un rosone

ed il nome di Gioacchino

nell'antica badia dove

terremoti e slavine

hanno segnato secoli

di mali e l'eterno biancospino.

Niente colonne e capitelli,

non foresteria di frati.

In alto sul pianoro dove

lo sguardo domina la valle

e da lì, il Crati brilla lento

e d'oro come il tempo,

fermo al Cippo, roccia

di memoria, in silenzio

sosto e canto preghiere

alla mia Gerusalemme.

Questa è che abbiamo

e la sentiamo sacra.

Di altro, attorno, poco,

se non della gente l'amicizia

vera, frenata a volte

da innata ed antica ritrosia,

o tirannica premura

che ci portiamo per

lontane vie a volte amene,

quasi sempre strette,

a sostenere forti

imperii di solidali affetti.

Terreni e vigne non più

di "ecclesia dei" ma miscredenti

esterni regnano

attorno al campanile ed

il ciliegio pazzo, che a fine

agosto dava buoni frutti,

rinsecchito, ci strilla contro

tutta la sua rabbia.

Storica badia, un po' sperduta,

a Casamari ti vò parando il sito

perché di vanto e di memoria

il mio quaderno è stretto

del frate Luca abate

e del Florense che la Commedia

pone in sommo cielo.

Secoli bui di furti e di

razzie, or che la marca s'è

rimpicciolita il popolo ti

eleva a segno e grado, di

forza di cultura e di poesia.

U NTRIZZATURU *

Capelli intrecciati

con nastri azzurri e rosa,

donne,

dal collo lungo,

dall'andatura altera,

il seno pronunciato,

forte, sguardo superbo.

Amore adolescente

amore antico.

Vi guardavo nel vicolo

sotto la mia casa.

Platee di tegole grigie

e portoncini aperti alla calura,

pettinavate con arte

chiome lunghe, scure

come... piume corvine.

Belle eravate...! Io vi ho cercato

dal Pedale, al Rummanco,

al Petrarizzo,

non c'eravate. Ma

non è vostra la colpa.

Non sono stato ai tempi

ed ai mutamenti.

Ho lasciato la trebbia,

la paglia ed i covoni,

ho scoperto ch'è poco,

nel campo del vicino,

il grano che sgorga,

senza pula, dal motore,

già farina. Io vi ho tradito,

schiacciato nella morsa

all'officina.

Ora, fantasma, giro

nei vicoli d'inverno.

Non è primavera ormai,

non è più il mio turno

ed anche l'altro tempo

guarda, da lontano,

al greve autunno.

* Nastro che si annodava tra i lunghi capelli per formare delle lunghe trecce da modellare intorno al capo.

IN MORTE DELLA SORELLLA

Andartene

senza mai chiedere niente,

bianca,

senza dire niente

e noi a guardarci

con occhi sbarrati

e le stanze

senza la tua vita.

I POETI 

 

Lasciano, i poeti,

uno scritto, una canzone,

un dipinto o una parola

e vanno, alla fine,

in silenzio, piano

in un sorriso.

SONO NATO

 

Sono nato in campagna,

un borgo dove gli asini

passano carichi di legna

davanti alla mia casa

ed il sole arde d'estate.

Sono nato con la valle

negli occhi e la libertà

del fiume, lo sguardo alto

alle serre ed al bianco delle nevi.

Mordo freni ed a volte

ancora disperato urlo.

storie e ancora storie.jpg

Ha ricevuto nuovamente un importante riconoscimento, la poesia del luzzese Beniamino Dima trapiantato da diversi anni a Pescara per ragioni di lavoro. Ma nonostante gli anni e le distanze chilometriche, mantiene sempre vivo il legame con la propria terra, e con i tanto amati luzzesi. Questa volta il suo Quaderno “Storie e ancora storie” ha stimolato la curiosità e l'attenzione della giuria del Premio Nazionale Historium presso Vasto, giunta alla XXX Edizione, per l'originalità e la sublime dolcezza dei sentimenti che sono emersi in alcuni componimenti. Il cordone ombelicale con la terra di Luzzi è il filo conduttore di tutti i suoi brevi elaborati, anche se si tratta di storie diverse vissute in posti differenti. La vita che fugge, e che tutto diventa un nostalgico ricordo, è l'aspetto saliente della sua poetica attenta e meditativa. Beniamino Dima è accorto, nota particolari che ad altri sfuggono, si sofferma ad osservare aspetti della vita e della quotidianità che banali non sono, ma che invece rappresentano l'essenza dell'esistenza umana. Beniamino Dima si affida al breve verso per rievocare i ricordi, con la speranza, e forse l'illusione di fermare il tempo, anzi, andarvi addirittura a ritroso. I ritmi frenetici della vita di oggi, sembrano non dare più spazio ai sentimenti, ma che a Beniamino gli fuoriescono con naturalezza pescando nella sua, ancora fresca, memoria. La poesia “impressionista” è l'unica arma che riesce ad usare per fronteggiare questo vortice moderno che fagocita le nostre esistenze. Si accorge che c'è un'aridità diffusa di sentimenti, e anche di parole benefiche. Queste ultime invece gli scaturiscono con semplicità e naturalezza, scendendo a irrorare i suoi moti del cuore e di chi lo ascolta. Beniamino Dima, vorrebbe ritornare a parlare al suo paese, alla sua gente, e si affida alla poesia riscrivendo la sua storia, descrivendo una Luzzi che purtroppo non c'è più. Nonostante gli anni trascorsi, riconosce ancora tutto del suo antico borgo: i vicoli, le mura, le chiese e spera di poter rincontrare, anche se con pianti o con sorrisi, quei volti che hanno costellato la sua originaria e indimenticabile esistenza. Si lascia andare, nelle sue spennellate dal vero, all'insaziabile descrizione della sua Calabria con i caratteristici fichi d'India che penzolano dalle rupi scoscese, gli ortaggi che affiorano nei cortili, le spiagge, le opere dei pescatori, l'infinito mare che avvolge tutto e tutti con le sue immensità. Ognuno, si può dunque rispecchiare nella sua silloge elegiaca, come ad esempio nelle rimembranze della propria madre, fonte inesauribile di tenere immagini. Sentimenti anch'essi intimi, diversi ognuno dall'altro, ma che hanno la medesima matrice universale: amore gratuito e infinito.

 Claudio Cortese

            ANALISI

Questo tramonto spezzato

che tracolla d'improvviso

dietro le case ogni sera

come se qualcosa restasse

nel mezzo di un giorno,

un giorno incompiuto

 di giorni.

Il desiderio di voltarsi,

costante per ciò che non è,

per ciò che non è potuto essere,

le parole non dette,

per gli urli sprecati, inutili.

Ed intanto, nel guado

tra fossati acquosi

alla palude, tra canali e

fertili riserve di fagiani

e piantagioni, spazzate

da venti di tramontano,

cala la scena e tutto par

sereno.

 

                                 Valdichiana, 1985

Quarto classificato al Premio Internazionale

Montefiore di Rimini

          

     ERA MIA MADRE

Ti ricorderò col sorriso.

Scorderò le lacrime,

il tuo pianto ed i dolori.

Ti ricorderò felice

col vestito della festa,

comperato con l'indennità

di presenza al tuo lavoro.

Ti ricorderò con libri e con bambini,

in gita nei musei, al fiume

per la festa, a primavera.

Ti ricorderò col rossetto

e con i tacchi alti,

nella brevità dei tuoi trent'anni.

Ti ricorderò al battesimo

dei miei fratelli piccoli,

offrire l'anisetta e i pasticcini.

Ricorderò ancora il tuo capo bianco

tra noi per i tuoi anni.

Non dirò di pianti

e solitudini. Di bisogni

e ristrettezze, di lutti e vestiti scuri.

Racconterò soltanto

di quella sola volta, che

eri felice e non te n'eri... accorta.

Gennaio, 2015

                          L'INCUBO

Era sparito il tempo

ed io correvo

su di un terreno immerso,

screpolato dell'arsura.

       In vista nulla. Non una casa

       un giardino, un rivolo

       un burrone.

               Dormivo sonno che ricorre.

               Irriverente ansia

               recava memorie inique,

               incubi ed inferno.

                        Corsi, come ratto ferito,

                        alla finestra e frantumai il vetro

                        certo di scappare. Da dove...?                              Non l'ho mai saputo.               

            PAESE *

Parlerò da solo e all'infinito

tra le mura, le chiese e le viuzze.

E' sceso quel paese nel pianoro,

in anni puntellato nei cortili

e vicoli deserti senza lumi.

Riconosco le sagome e le forme

della mia terra di vigne e uliveti

ma con, ancora,

salsedine di mare e brezze di nevischio.

Non tarderò questa volta.

Non ora!

Il treno carico di merci e di migranti

non mi lascerà sul binario

in sosta alla panchina.

Mi aspettano col pianto e col sorriso

e in ansia, perché io là ritorni.

Non mi dispero. Non più!

Mi han detto: Sii allegro!

Così sorrido e canto un ritornello...

sotto voce.

* In occasione di una rimpatriata al paese di origine

          

                  SIC EST

Non leggerò di misteri e malefatte,

non parlerò di mancanze,

non narrerò di tristezze

                   e mal costumi.

Ascolterò campane e storno

anche se speranza di oltre

                  non mi turba.

Faticherò di getto in armonia

per dire di poesie e larghi voli

di gabbiani che cantano

                 al mio cielo.

         ABRUZZO

Non è neve quel bagliore,

striature di sole,

forse luce su montagne

di rocce chiare,

vetrate di spazi e sassi,

dirupi ed eremi per aquile vaganti

in ellissi di cieli irregolari.

Il cinghiale passa

a mezza costa e ancora

l'orso strazia agnelli e staccionate.

C'è poi chi corre

su scivoli di neve... mentre,

a valle, il mare

è calmo: quasi... un Trasimeno.

                                   Pescara, 2014

Gentilissimo Beniamino, ho ricevuto con enorme piacere la tua nuova raccolta di poesie "Storie e ancora storie", ho riconosciuto, leggendo alcune poesie, il tuo stile originale ed elegante pur nella semplicità dell'espressione poetica, ma questa volta l'orizzonte dei tuoi interessi si spazia valorizzandosi nella descrizione di luoghi e città, che sono stati teatro della tua esistenza, ricca di esperienze umane e contemplative; quasi un momentaneo distacco dal cordone ombelicale che ti tiene legato sentimentalmente alle tue radici, alla tua terra di origine che non tradisci mai difendendola da tutto e da tutti, pur vivendo nella lontana Pescara. Dopo un tuo continuo divagare nella terra di Abruzzo.."tra le montagne di rocce chiare, i dirupi, gli eremi, gli scivoli di neve e il mare calmo" quasi..un Trasimeno, dopo una bellissima descrizione, nella poesia "Cielo e terra", del tuo trascorso giovanile a" Vico Equense", la contemplazione se pur vissuta in lontananza ..dei luoghi e delle bellezze partenopee: "Napoli, il Vesuvio, lo sfavillio, tra le stelle di notte e mille lumi accesi...", dopo la ricerca della "Particella di Dio", "Nel tunnel del Gran Sasso", il sorgere di pensieri ultraterreni e la consapevolezza di una vita che volge al tramonto, ma ancora viva per l'eterno valore della poesia; ecco! Dopo tanto divagare ritorni, con la mente e con il cuore, con brevi rimpatriate e con la poesia, al tuo paese d'origine, ne riconosci "le sagome e le forme...le chiese e le viuzze... " è lì che aneli a ritornare, è lì che ritrovi i ricordi dell'infanzia, il volto di tua madre.... sorridente... "ninete dolori e pianti... Racconterò soltanto di quella sola volta che eri felice e non te n'eri ..accorta". Complimenti caro Beniamino! Versi stupendi: sei riuscito attraverso l'efficacia dell'espressione, a trasformare il dolore e il pianto di tua madre in sentimenti positivi, un dolore dignitoso, che si cela sotto un sorriso... Continua, caro Beniamino, a farci dono delle tue preziose "perle", che avranno sicuramente il posto che meritano nella memoria dei posteri. Un saluto affettuoso da una compaesana amante della poesia.

Elvira D'Orrico

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