Claudio CORTESE é nato a Cosenza il 29 Marzo 1969 e vive a Luzzi. Laureatosi in Lettere Moderne presso l'UniCal, svolge la professione di docente nelle scuola Primaria. Da sempre cultore di storia locale, ha collaborato con diverse testate giornalistiche come "Gazzetta del Sud" (di cui é corrispondente), "La Provincia Cosentina", "Il Corriere del Sud", "Il Veltro della Sambucina", " La Voce del Crati", "Il granello di Senape", "L'Opinione Giovanile" nel 1990 e "Il Pungolo" nel 2003 ( dei quali ne è stato cofondatore). Nel 2004 inizia la collaborazione con la rivista calabrese "Tracce di un tempo" . Nel 1988 ottiene un riconoscimento con targa d'argento al Premio di Poesia "Sambucina".
Nel 2007 pubblica il suo primo volume "Com'eravamo" (storie, tradizioni, leggende luzzesi);
Nel 2009 stampa "Eroi senza storia" (storie di reduci della seconda guerra mondiale);
Nel 2011 racconta la storia di Francesco Romano (sulla difficile emigrazione dei calabresi in Brasile);
Nel 2015 pubblica "I passi del Beato Angelo a Luzzi" (documenti e storie inedite sulla vita luzzese nel settecento);
Nel 2016 pubblica "Missionario in Sila (Fra Mtteo e la sua esperienzdi cappuccino).
Fornisce il suo contributo per altri volumi redatti sulla storia del suo paese: "Fotogrammi della memoria", "Luzzi e dintorni", e di Luzzi sulle tracce della memoria. Per diversi anni è stato membro dell'Associazione culturale "Insieme per Luzzi". Dal 2013 è membro del Consiglio Generale dellaCisl - Scuola Calabria.
La cittadella della carità.
Cento anni di impegno sociale a Luzzi delle Suore Operaie dei Sacri Cuori: 1918-2018
by Claudio CORTESE
pubblicato da Velar
In questo volume sono stati raccolti atti comunali, cronache parziali delle attività svolte in questi decenni, lettere, testimonianze e fotografie che messi insieme costituiscono un quadro ben delineato del prezioso ruolo svolto nella nostra comunità da queste umili donne alle quali dedichiamo il presente testo antologico.
Tale lavoro vuole essere un riconoscimento della loro centenaria attività svolta a Luzzi e un personale omaggio, a nome certamente di tutti i luzzesi, per esprimere non solo la mia gratitudine ma anche per auspicare che per altri decenni diverse generazioni possano godere del loro utile ed eccellente impegno (dall'introduzione dell'autore).
Consulenza archivistica Camillo D'Orrico.
La vocazione alla ricerca storico-culturale locale investe Claudio Cortese che, da tanti anni, si dedica alla pubblicazione di articoli di questo genere. Egli va in cerca dell’abitat di un paese ricco di storie, di tradizioni, di leggende, di colori, di vita morale e sociale. L’identità storica e culturale di un paese e della sua popolazione passa attraverso una serie di memorie, nomi, luoghi, personaggi: di essi non possiamo fare a meno.
In questo lavoro, frutto di una indagine intensa e appassionata delle nostre radici, traspare un amore e un rispetto profondo per la nostra gente, la volontà di dare il giusto valore alle piccole cose, alla genuinità di un vivere semplice e sincero; ma non è solo questo: l’Autore, consapevole del nostro grande passato, dedica anche ampio spazio all’abbazia cistercense della Sambucina, alle tradizioni religiose legate alla Settimana Santa e al culto di S. Aurelia Marcia e alle testimonianze archeologiche di cui il territorio di Luzzi è ricco.
Claudio Cortese, da attento osservatore, da cronista appassionato, riesce a trasportarci in una dimensione particolare della Luzzi di qualche tempo, analizzata nelle sue complesse sfumature.
Questo lavoro possiamo considerarlo una rivisitazione di alcune partiture della vita quotidiana di un tempo, poiché raccoglie alcune storie tipiche di una comunità e cerca di farle rivivere nella memoria di ognuno. Un libro della memoria, quindi, si potrebbe definire, un amarcord, un affresco misurato e delicato di un paese, di una cultura, di mondo in gran parte scomparso, sapientemente scritto da un socio di “Insieme per Luzzi”.
Claudio Cortese, in questa sua fatica, alterna la cronaca alla storia, alla ricerca demoantropologica, ai racconti leggendari, ma compie anche una operazione importante perché, come dicevo sopra, mette in primo piano, riporta alla ribalta storie, personaggi, gente che sono erroneamente destinate ai margini, storie che non sono più ricordate.
Quella dell’amico Claudio è una cronaca che nasce dalla partecipazione sentita ai dolori della povera gente, alle storie degli umili, degli emarginati, degli emigrati, dei pensionati, di coloro che soffrono; ecco, forse è questo l’aspetto più bello del libro, che ci invita a meditare, a pensare che troppo spesso intorno a noi ci sono realtà che meritano una maggiore attenzione; ma ciò, purtroppo, non avviene perché veniamo quotidianamente trascinato dal vortice di questa vita moderna, priva di grandi valori, dove la gente fa la corsa al successo, ai soldi, all’arrampicamento nella società, dove non c’è più amore per il prossimo, rispetto per gli anziani, per i genitori; dove non c’è più unione, non c’è più aggregazione, e dove c’è solo individualismo, menefreghismo, arrivismo in quanto stiamo perdendo la nostra identità, la nostra memoria storica.
Nel libro di Cortese si avverte il tentativo di riappropriazione di un valore fondamentale che è l’appartenenza ad una terra. Quando si parla di appartenenza si parla di radici. Per capire abbiamo bisogno di radici. Ci sarà un futuro se ci sarà la fedeltà al passato.
Com’eravamo è una pubblicazione preziosa che si aggiunge alle tante altre che il nostro sodalizio, ormai da tredici anni, puntualmente regala ai luzzesi affinché non si perdi la memoria, non si perdi mai l’identità, perché un paese senza identità è come un uomo senza memoria.
Luzzi, 24/04/07
Antonio La Marca
Presidente “Insieme per Luzzi”
Com’eravamo è il tentativo affannoso, forse vano, di fermare il tempo. Di tenere viva la memoria vera e la tradizione antica di una collettività, che sta lentamente e tragicamente a mio avviso, perdendo la sua preziosa identità. E se si dimenticano i meravigliosi riti, le storie toccanti, il vissuto commosso o bizzarro di tanta gente, si spiana la strada suicida, alla fredda omologazione odierna, dove tutto è piatto, asfittico, uniforme. Questo lavoro vuole essere l’antologia di un orgoglio, di un trascorso che abbraccia fin dall’infanzia ognuno di noi, saziandoci di sentimenti e immagini che altri in diverse comunità non hanno avuto la fortuna di esperenziare. I volti amati, i cognomi noti, i nomignoli a noi vicini, lo stesso dialetto, fanno parte di un corollario tipico, unico, e autoctono che ci fa semplicemente sentire luzzesi; così a valle, in montagna, o in centro, ci sentiamo luzzesi, un’unica e inevitabile grande famiglia che si commuove ai lutti, e che gioisce ai festeggiamenti. Una famiglia che attende ed è sempre pronta ad accogliere l’emigrato, il parente, il pendolare. Sarebbe davvero chimerico fermare il tempo, ma lo si può “ingannare” o almeno rallentare grazie alle generazioni che verranno, alle quali va consegnata la nostra storia.
L’autore
Prefazione
di Gerardo Gallo
La prima sollecitazione destatami dalla lettura di questa meritoria operazione letteraria di Claudio Cortese e di Camillo D’Orrico è stata quella di ricorrere con la memoria agli Annales dei Romani, redatti a somiglianza delle Cronica dei Greci e imitare dalle Cronache italiane del nostro Umanesimo.
Gli Annales partono, grosso modo, dal 300 a. C. con le tabulae pontificum, di legno imbiancato e affisse annualmente dai Pontifex Maximus nella Regia. In esse si registravano giorno per giorno gli avvenimenti, in occasione dei quali il Collegio pontificale celebrava le pubbliche feste, le eclissi, le carestie, i prodigi, gli eventi politici e, non ultimi, coloro che avevano onorato Roma con i loro sacrifici. Gli Annales conservavano regolarmente memoria degli avvenimenti importanti. Essi sono le prime tavole dalle quali Ennio derivò il titolo del suo poema. Gli annalisti più importanti appaiono, oggi, alla luce della critica più informata, scrittori narrativi, seguaci della Ktiseis dell’epoca ellenistica, vale a dire di scrittori di storie episodiche. Da tali scritture storiche ha avuto inizio la ricostruzione sistematica della storia romana.
Anche la nostra storia letteraria ha i suoi Annali, denominati, però, alla maniera greca, Cronache. Fu san Gerolamo a chiamare eventi nel tempo alcuni fatti della Bibbia. Durante il Medio Evo, il termine eventi nel tempo fu un modello fedelmente seguito. Anche le istituzioni si servirono di calendari contenenti una parte annualistica suddivisa in ricorrenze comuni e religiose. Di fianco venne in uso annotare eventi come apparizioni di comete, terremoti, guerre, invasioni, esondazioni di fiumi. Le cronache furono scritte tanto in latino quanto in volgare. Tuttora sono di grande interesse storico, al pari delle cronache comunali e di quelle delle feudalità curtensi, vigenti fuori dalle città, nonché i testi che stanno tra il diario familiare e la cronaca cittadina.
Ho riportato questo po’ di storia per affermare che il lavoro paziente, amorevolmente certosino degli autori, ricalca la tradizione annalistica della nostra civiltà in un ambito geograficamente piccolissimo, Luzzi, traendo dall’oblio, o dal seno grigio in cui sono prevalenti l’abbandono del passato elaborato, nelle coscienze, come lutto sradicato dalla vita, e l’affossamento della memoria con il coinvolgimento di sentimenti, affetti, piccole storie, dolori, ingiustizie, prepotenze e offese all’umana dignità. E’ però avvilente constatare come nulla venga mai indagato o ricostruito fuori dal seno delle famiglie-vittime, dalle quali, lentamente col passare degli anni, viene steso, sulle storie minime che le hanno colpite, il velo inesorabile del silenzio.
Le storie, anzi gli Annales o le Cronacà degli umili figli di Luzzi, partiti per una guerra scellerata che mirava alla distruzione della libertà in Europa e nel mondo, vengono finalmente partati alla luce, restituite alla gente, riposizionate nella loro naturale cornice, in cui fascino, omogeneità e messaggio unitario di pace hanno il rilievo e la dignità della condotta civile ed etica di un intero popolo. Le storie autobiografiche che, uscite dal cuore dei protagonisti, hanno elementi, quali i ricordi delle vicissitudini intramate di dolori, paure, rimpianti, ribellioni, sono di grande valore didattico. Ammoniscano, nella loro semplicità, ad odiare la guerra come un avanzo di barbarie, come un impazzamento di popoli, destinati, invece, da natura a convivere in pace nel rispetto della libertà di ciascuno. Il secolo XX° sia di lezione e di monito: mai più risoluzione delle vertenze internazionali mediante il ricorso alle armi.
Il fascino di queste letture, che, per la loro verità narrativa e per la genuinità dei sentimenti, pur non avendo pretese letterarie, raggiungono, per la loro semplicità, spazi di grande commozione, è interamente nell’alone di seduzione in cui si imprigiona il lettore. La storia vera – afferma lo storico Jacques Le Goff – è fatta di storie minime, di reperti veri e memoriali, di intuizione di sentimenti nascosti. E Manzoni, scrivendo i Promessi Sposi, affrontò, da par suo, la storia di persone umili, dimenticate, le cui azioni nessuno storico avrebbe mai narrato in un suo scritto. E’ proprio questo il merito degli autori: aver fatto tesoro del suggerimento di illustri studiosi che hanno onorato l’umana fatica. Tra il lettore e le narrazioni si instaura un procedimento, starei per dire magico, capace di rendere vivi aspetti dimenticati del reale e di andare diritto al cuore, questo supposto centro della vita affettiva spirituale, simbolo e sede dei sentimenti e dell’amore, e alla mente, l’ambito in cui prendono forma e si sostanziano i contenuti intellettuali, le potenzialità critiche e le capacità di sostanza e di forma della memoria. Tutto riemerge attraverso queste evocazioni annalistiche e attraverso l’invito a manifestarsi come operazione dell’intelligenza: il travaglio di vivere una vita suggerita e imposta dello Stato, le acute, solitarie e silenziose sofferenze in terre straniere, il terrore della morte, e la sconfitta della volontà di resistere. E, peggio, la mancanza di sostegno economico alle famiglie con lo spettro delle povertà e dell’assenza della normalità dell’esistenza.
Quel mondo, denso di sollecitazioni a ricordare, viene evidenziato dalla penna briosa, chiara, documentata ricca di risvolti stilistici di notevole forza narrativa di Claudio Cortese, il quale, servendosi, soltanto per lo stretto necessario, della sua professionalità di giornalista uso a rendere comprensibili ai lettori gli eventi di questa nostra volubile società, ha reso popolari, con questa raccolta di semplici e genuine autopronunce , episodi che, a uno stretto vaglio critico, sono la testimonianza di una preminente potenza, sulla quale risaltano le capacità d’equilibrio tra fatti e sentimenti in un vicendevole intreccio che fa divenire materia di riflessione ogni singola vicenda, ogni atto dello spirito, ogni sofferenza non disgiunta dal sentimento della morte.
il panorama è quello che ci si squaderna davanti quando si riflette sull’uomo e il suo agire. Lo sconosciuto, che è in noi, continua a vivere nostro malgrado, e chiede, con sofferenza di manifestarsi agli altri come monito a volgere l’egoismo in amore per l’universo e le sue creature. Dalle storie sconosciute, che non assurgono a Storia, e spesso nemmeno a cronaca, nello sconfinato paesaggio di una società indifferente verso l’allotrio , ma attraversata da dolori e da morte frammisti a poche gioie, si deve trarre la lezione che imponga a tutti l’impegno ad eliminare il male di cui gli uomini, con caparbia indifferenza, si rendono attori. Male che sempre cade sulle spalle degli umili e degli indifesi.
Questo commovente libro, di cui è coautore Camillo D’Orrico per la parte documentale, è stato condotto con attenzione specialistica e meticolosa, e con tale rigoroso trasporto da pervenire alla stesura di un documento in cui i fatti singoli e personali assumono la potenza di un valore universale, di una tensione all’oggettività. Camillo D’Orrico, scrupoloso cultore delle memorie luzzesi, collezionatore di documenti scritti, orali e iconografici che, senza la sua passione, probabilmente sarebbero andati perduti, ci ha abituati, e gliene rendiamo merito, a simili imprese. E’ una miniera di ricordi. La sua straordinaria, paziente tenacia nel sollevare dalla polvere del tempo carte di valore storico e documentale, lo ha reso degno di riconoscere gratitudine da parte degli studiosi.
I due autori hanno lavorato in perfetta sintonia per raggiungere il nobile fine di dare a noi luzzesi lo spaccato autentico di buona parte della vita celata dei nostri concittadini, la sommatoria dei cui sentimenti rappresenta il vero volto della nostra comunità. Non solo: ci hanno anche fatto immergere nella nuda realtà di un paesello, sperduto e isolato nei contrafforti della Sila, nel quale la sofferenza e la morte sono state, per un lungo trascorrere di anni, una scandalosa presenza e dove risuonavano, seppure affievolite o distorte, le decisioni, prese dai grandi della terra, che avrebbero arrecato lutti e disperazione. L’incontrollata sete di gloria di un pugno di assassini politici, non supportata dalla forza militare occorrente e respinta dalla coscienza democratica europea, dal senso comune e dal religioso rispetto dovuto alla libertà dell’uomo, ha determinato la catastrofe dei popoli, e, vendetta della storia, la loro dignità di liberi.
I sacrifici e le sofferenze rivelate in questo libro non sono soltanto la narrazione di vicende custodite nel cuore dei protagonisti, ma anche lo specchio grandioso delle sventure che l’empietà di una guerra iniqua può provocare negli uomini.
Venerdì 5 marzo 2010 è stato presentato presso l'auditorium della scuola media "Luigi Genesio Coppa" il libro "Eroi senza storia - Foto, lettere, memorie di reduci luzzesi" scritto da Claudio Cortese e pubblicato da "Publiepa Edizioni".
Sulla carta geografica dell’immenso Brasile, il centro agricolo di Pedrinhas Paulista oggi è un puntino visibile, che si individua con facilità, perché le case coloniche sono ben in ordine, l’agricoltura è ampiamente sviluppata e la vegetazione è di un colore verde speranza. Qui negli anni ’50 del secolo scorso vi approdarono 158 famiglie di coloni italiani reclutate, in prevalenza nel Mezzogiorno d’Italia, in base ad un accordo di programma stipulato fra il nostro governo e quello del Brasile. La Compagnia di colonizzazione italo-brasiliana, nel frattempo costituita, acquistò nel 1951 nello Stato di San Paolo, al confine col Paranà, un’estensione di 3.517 ettari di terra, ritenuta assai adatta alle varie colture, ma in parte ancora coperta da foreste, mentre un’altra parte era costituita ancore da paludi particolarmente impenetrabili. I primi coloni italiani lavorarono sodo per disboscare la zona, per dissodare il terreno, costruire strade ed edificare i cascinali, in una parola per realizzare le numerose fazende che oggi sono l’orgoglio delle famiglie italiane, che lì hanno scelto di risiedere.
Comprata ancora altra terra e vinta ogni tipo di difficoltà, l’intera zona è divenuta poi grazie al lavoro di quegli emigrati, una ridente località agricola, dove si parla italiano e dove tutto ricorda la patria lontana.
Tra quei coloni uno era partito da San Giovanni in Fiore: Francesco Romano, al quale la Prefeitura Municipal ha voluto intestare la scuola pubblica ed innalzare in suo onore un monumento che ricorda uno dei cooperatori di quel ridente centro agricolo.
La storia di quell’emigrato è stata raccontata con dovizia di particolari da Claudio Cortese, in un volumetto, che ha per titolo “Francesco Romano, Pioniere illuminato, colono infaticabile”. Nella presentazione Giovanni Lavigna scrive: “Il personaggio si anima, si evolve, cresce fra mille difficoltà, guadagna una sua vita autonoma, pienamente realizzata in Brasile, senza mai dimenticarsi del suo passato, ma proteso sempre verso il futuro, sotto l’azione della divina Provvidenza”.
Una storia simile a tante altre, scritte dai nostri innumerevoli emigrati, che merita di essere conosciuta, perché ancora una volta gli italiani hanno continuato “a scoprire l’America” che ha dato, comunque loro, la possibilità di crescere e di vivere dignitosamente, proprio come è accaduto a Francesco Romano, emigrato in Brasile nei primi anni ’50 del secolo scorso ed oggi additato come benemerito di quello Stato.
Articolo tratto da “il Nuovo Corriere della Sila” del 5 Agosto 2011 – Per gentile concessione.
I passi del Beato Angelo a Luzzi
Se la storia è maestra di vita, non ci si dovrebbe mai stancare di fare continuamente riferimento a fatti, avvenimenti e personaggi del passato che ci aiutino a cogliere quei grandi e illuminanti insegnamenti per vivere meglio il nostro presente. Se ci si riferisce, poi, alla storia religiosa e alla vita dei santi, allora, la lettura e la conoscenza diventa più stimolante e quasi obbligatoria per chi vuole intraprendere un cammino di fede senza farsi scoraggiare o deviare da false interpretazioni storiche e da eventuali profeti di sciagura che vedono catastrofi da per tutto o sono sempre pronti a denunciare una imminente fine del mondo.
Il credente sa leggere la storia con spirito critico e soprattutto è capace di scoprire dietro avvenimenti misteriosi e indecifrabili, la mano provvidente di Dio che guida gli uomini secondo un suo progetto d’amore.
I santi, poi, diventano interpreti fedeli di questo disegno di Dio e svelano attraverso la loro vita, anch’essa molte volte tormentata e misteriosa, le fila di una trama meravigliosa che questo Padre misericordioso imbastisce per il suo progetto.
Tutto questo, credo, si può benissimo applicare al libro che il lettore ha fra le mani.
L’autore, Claudio Cortese, ha voluto, fra una pennellata alla storia della famiglia francescana, e una fotografia a un convento, come quello di Luzzi, mettere in evidenza la gigantesca figura di un Beato, Angelo d’Acri, che racconta con la sua santa vita, la presenza di un Dio che continua ad operare meraviglie proprio attraverso i suoi discepoli migliori.
In tal modo il passaggio del Beato Angelo per le vie di Luzzi e per tanti altri paesi del meridione, la sua ardente predicazione con i segni prodigiosi che l’accompagnavano, non fanno altro che rendere visibile la bontà e la premura che Dio continua ad avere per i suoi figli.
E’ il filo rosso di una storia sacra che rivela ancora una volta quanto la spiritualità non sia evasione dal mondo e disinteresse delle realtà terrene, ma anzi, diventa impegno e condivisione dei bisogni dell’umanità di oggi, proprio perché Dio ha preso dimora in mezzo agli uomini e si è fatto carico delle sue sofferenze e delle sue fatiche.
Sono certo che nello scorrere le pagine di questo libro, attraverso nomi, date e avvenimenti, si possa respirare un’aria di fiducia e di speranza nel Dio della storia.
A Claudio il plauso per questa dolce fatica che permette a tutti noi di fare memoria di un patrimonio spirituale che ci appartiene e di cui dobbiamo esserne orgogliosi.
Fra’ Giovanni Battista Urso
Ministro Provinciale dei Cappuccini in Calabria
Missionario in Sila
La storia del cappuccino fra Matteo Romano è diventata un libro. A scriverlo è stato Claudio Cortese, legato al monaco sangiovannese dai tempi della sua fanciullezza, quando il muoversi di questo piccolo fraticello lo entusiasmava per la dinamicità, per l’ottimismo che riusciva a trasmettere agli altri e anche per il modo forbito di porre la parola del Vangelo ad un auditorio sempre più attento. Il titolo del libro: “Missionario in Sila”, prende lo spunto che fra Matteo per lungo tempo è stato parroco di Camigliatello e di conseguenza cappellano degli assegnatari della riforma dislocati nei vari villaggi silani. “Questa storia – sottolinea l’autore – nasce dall’idea di raccontare la vita di un frate cappuccino che ha speso tutta la propria esistenza per la sua fraternità e per il prossimo, ma anche dall’esigenza di non disperdere un modello di vita ancora da imitare essendo fortemente esplicativo per le future generazioni perché intriso di valori autentici, oggi sempre più rari”. Per la sua completa disponibilità fra Matteo ha ricoperto importanti ruoli sia a livello provinciale che nei diversi conventi della provincia monastica. È stato superiore a San Giovanni in Fiore, Cosenza, Rossano e Castiglione. Ultimamente, però, a causa di una malattia che lo aveva costretto a muoversi sulla carrozzella aveva fatto ritorno nel suo paese d’origine dove si dedicava esclusivamente alle confessioni. Tuttavia fu predicatore sagace, sacerdote premuroso e cappuccino ossequiente, che ha saputo sempre coniugare alla perfezione la Regola dell’Ordine che impone vita conventuale e povertà assoluta. È spirato nel suo letto di dolori, nell’agosto 2016. “La pubblicazione di questo volume – tiene a precisare Claudio Cortese – non è stata quella di esaltare il singolo uomo che ha vissuto con gioia ed entusiasmo il ruolo di frate cappuccino, ma tutto un mondo di religiosi che quotidianamente lavorano disinteressatamente in diverse opere sociali, culturali, educative e, che tanto bene seminano e fanno poi rifiorire nei diversi strati della comunità”. Il libro sarà presentato nei prossimi giorni nel salone del Convento dei padri Cappuccini.
Un libro scritto da Claudio Cortese racconta la storia di fra Matteo Romano
“Missionario in Sila"
Recensione su :“Il Nuovo Corriere della Sila” (San Giovanni in Fiore)