top of page

Gerardo GALLO

Romanziere, traduttore, latinista

    Accademico Cosentino

 

Non è facile alzarsi in volo,

senza avere le ali.

(PLAUTO)

                                                                                                                                                

di Salvatore CORCHIOLA

 

     Gerardo Gallo nasce a Luzzi il 12 novembre 1919 da Angelo, per diversi anni emigrato negli Stati Uniti, e da Maria Fusaro, casalinga, dotata di grande Fede e guidata dalla su autorità morale, trasmessale dal padre Giuseppe, amministratore del Feudo dei Sanseverino, principi di Bisignano e attento e minuzioso lettore delle opere di Jacques- Bénigne Bossuet, scrittore francese, vescovo di Meaux. Maria, educata in una famiglia in cui imperava una struttura etica inattaccabile, ha trasmesso la sua formazione ai propri figli, i quali, cresciuti negli anni, hanno poi allentato il legame con gli insegnamenti della madre, mantenendone però la visione complessiva di un’esistenza che fosse in ogni tempo a disposizione dei bisognosi e di coloro  che erano sottoposti alla violenza dei proprietari terrieri, esosi e privi di umanità nel pretendere il giusto e l’ingiusto  dai loro fondi, a spese  dei contadini che li coltivavano.

     Gerardo Gallo ha frequentato le scuole elementari a Luzzi e ha terminato gli studi superiori a Cosenza nel 1937. Conseguita la maturità, si è iscritto alla facoltà di Lettere Moderne all’Università di Messina.

     Conseguita la laurea, gli  si pose, con forza,  il problema del lavoro.

Studiando intensamente, si preparò per i concorsi, li vinse e prese servizio nel suo paese natale, nella sezione staccata della Scuola Media di Via Monte Santo di Cosenza, di cui era preside il prof. Eugenio Martorelli, il quale gli affidò l’incarico di vice preside.

Rimase a Luzzi cinque anni, nell’ultimo dei quali sposò l’insegnante Assunta Zumpano, dalla quale ebbe tre figli: due laureatisi  in medicina e una in Fisioterapia. Superato infine il concorso di Italiano e Storia negli Istituti Magistrali, prese servizio nell’Istituto di via De Rada a Cosenza, nel quale insegnò fino a quando non vinse il concorso a Preside e assegnato alla Scuola Media Tommaso Campanella di Cosenza che diresse fino al giorno del suo pensionamento avvenuto nel settembre del 1986.

     Non lo ha mai abbandonato la gioia di scrivere. La scrittura ha riempito i suoi giorni. Ecco qui dappresso l’elenco delle sue opere:

Voci antiche e nuove, antologia per le scuole medie, Ireos Editrice, Roma,1968;

Una colonia di terroni,  romanzo, Pellegrini Editore, vincitore del Premio Amantea 1968 e finalista del Premio Sambucina  1970;

Cuore di Calabria, antologia di  dieci racconti inediti di Nicola Misasi, commentati per le scuole medie, Pellegrini Editore, 1976;

Pataffi con o senza graffi,  Epigrammi, Ireos Editrice, Roma,1980;

Il compasso di Bossuet, romanzo, Crathis Editrice, 1996, vincitore di tre premi letterari: Premio Tre Valli, 1997, Premio Praia a Mare, 1998, Premio Rende, 1999;

Storia “minore” a Luzzi, Quaderni dell’Associazione culturale “Insieme per Luzzi”.

Una storia lunga quarant’anni, romanzo,  Crathis Editrice, 2001;

Il nostro diario, autobiografico, Editrice Universal Book, 2004;

Il diciotto di dicembre, elegie bilingue in latino con testo italiano a fronte, Edizioni Crathis, 2006;

I fiori del male di Charles Baudelaire, tradotti in endecasillabi, Ed. Crathis, 2006;  

I Carmi di Catullo, tradotti in endecasillabi, Edizioni Crathis, 2006;

Le Bucoliche di Virgilio, tradotte in endecasillabi, Editrice Universal Book, 2014.

     Tutta la produzione letteraria di Gerardo Gallo è alimentata dalla necessità di recuperare, conservare ed esaltare i valori della propria autoctona civiltà.

Aggiungo a questo mio sintetico giudizio altri due critici italiani:

“Le intuizioni di Gerardo Gallo dei problemi è finissima, la capacità di narrare è sciolta e aperta. Ha uno sguardo profondo ed un senno artistico raro, sa rivivere con accorata malinconia momenti di vita lontani, ma giovanili e stimolanti. Le sue pagine si leggono con grande interesse”. (Antonio Piromalli, Lettere Vanitose, Rubbettino Editore).

      “La bellezza del linguaggio di Gerardo Gallo, l’originalità espressiva del suo stile letterario e comunicativo coinvolgono persone e cose. La rappresentazione dei fatti narrati è arricchita da un realistico senso storico. Attorno ai suoi personaggi costruisce anche la storia d’Italia, ne assume la cronaca e i cambiamenti di costume” (Domenico Ferraro, Oggi Famiglia, settembre 2007).

 

     Gerardo Gallo è anche Accademico Cosentino. Nell’ Accademia ha tenuto molte conferenze di carattere letterario, morale, politico, religioso e di costume, trasmesse in Televisione e pubblicate negli atti dell’Accademia. La sua attività di conferenziere si è svolta in diverse città della Calabria; e   a Capri negli anni “2012, 2013, 2014. Scrive su diversi giornali e riviste: Cronaca di Calabria, Oggi famiglia, Ipotesi 80, Telesio, Idee per la Sinistra, Iniziativa, Periferia, Ateneo Bruzio, Calabria, Parallelo 38, Cultura e Società, L’Occhio.

     Fra i riconoscimenti, il 2010 l’Amministrazione Comunale di Luzzi gli conferisce il Premio

Illustri figli di Luzzi”.

 

Gennaio 2015                                                           

Gerardo Gallo, dopo le sue esperienze di narratore e di ricercatore di storie minime, si è voluto cimentare in quella di traduttore. Lo ha fatto per il desiderio di rendere nella nostra lingua, appaiati, due grandi poeti distanti nel tempo, ma molto vicini per sensibilità sociale e poetica, i quali hanno segnato profondamente due epoche della storia umana con la loro forza di rivolta. L'uno, Catullo, della società romana al tramonto della Repubblica, fatta di luci, ma anche di profonde ombre, di grandi inquietudini sociali e di straordinario fervore intellettuale.

L'altro, Baudelaire, della società francese, lacerata, tra laicismo e religiosità, dal contrasto fra le due rivoluzioni liberali del 1848 e il colpo di stato di Luigi Napoleone, avvertito da lui come l'affossamento della libertà e come conferma, nell'ordine sociale, della negazione della speranza.

Nel loro ambito, sia Catullo che Baudelaire, hanno lottato contro il potere, considerato sempre e comunque immodificabile perché, per conservarsi, ha bisogno di sopprimere le libertà individuali, dai due poeti - come d'altronte daa ogni grande artista - poste a fondamento della vita.

In copertina: Charles Baudelaire in un ritratto di Carjat e Caio Valerio Catullo in un frammento di pittura muraria della villa di Sirmione.

Gerardo Gallo di Luzzi (CS) romanziere, epigrammista, critico, ha insegnato Letteratura Italiana negli Istituti Superiori. E' stato Preside.

Nei commenti didattici a opere di narrativa per le scuole medie ha sostenuto che i giovani, se vengono sollecitati a coltivare la lettura degli autori del luogo, riescono a scoprire i valori della propria civiltà e a diffonderli. Per questa convinzione, la sua ricerca è quasi sempre incentrata sulla Koiné, dove la comunanza linguistica e culturale diviene impegno assoluto e insieme affermazione di esistenza e permea di sé le cosietà umane che vi si sviluppano.

Questo romanzo è la commossa partecipazione e la visibile reazione affettiva alla conoscenza delle proprie radici.

Marieffe è una donna semplice, molto intelligente. Vive di poche certezze consolidate e di un dubbio atroce che ha segnato profondamente la sua vita. Una certezza è lo straordinario amore per i suoi figli, un'altra è la Fede, un'altra ancora la capacità di discernere. Il dubbio le viene dell'antinomia tra ubbidienza e libertà.

E' attraverso il dolore - non rielaborato come lutto, ma accettato come condizione umana - e l'amore di Marieffe - espanso circolarmente - che si vedono con chiarezza, quasi presi per mano, i rivolgimenti etici del nostro tempo. Tutti i raggi delle possibili aperture del "Compasso" tra i quali non c'è solo contiguità, ma comune origine, sono tramite degli umori, dei giudizi e pregiudizi, delle contraddizioni, dei conflitti e delle convergenze degli uomini. Analizzandoli, si sono ripercorse - con un linguaggio lelere e una sintassi rigorosa - le tappe dei mutamenti accaduti nel corso del mezzo secolo che sta per finire. <<Marieffe pensava a Bossuet e al metro che aveva suggerito agli uomini per misurare la loro condotta: poi ebbe un'illuminazione.

Quel metro divenne un compasso, strumento di misurazione più complesso, ma più preciso di ogni altro perché serve a tracciare le circonferenze, a misurare gli angoli, a ridurre o ingrandire segmenti di una proporzione stabilita. Nulla è più perfetto di una circonferenza che ha ogni suo punto equidistante dal centro e detta i confini dello spazio immaginato.

Il "Compasso di Bossuet!" L'unico che le avrebbe consentiro di misurare il cammino, lento ma ininterrotto, del cuore umano da un'azione all'altra, in un progressivo rinnegamento del passato e degli ideali che ne erano la struttura>>.

Gerardo Gallo, romanziere, epigrammista, critico, traduttore e conferenziere ha, durante il suo lavoro nella scuola, sostenuto fortemente che bisogna recuperare, conservare ed esaltare i valori della propria civiltà. Da questa convinzione nasce la sua mai dismessa intuizione secondo la quale nessuna comunità umana può trascurare i moti e le passioni che vivono nella sua

Koiné : dove la comunanza linguistica, quella etica e quella religiosa sono affermazione di esistenza e nutrimento delle coscienze.

Questa traduzione delle Ecloghe di Virgilio, nella valutazione del traduttore, vuole essere un legame reale con la nostra civiltà contadina e pastorale, la quale, nonostante la televisione, l'internet e la struttura meccanicistica con cui la costringe a fare i conti l'odierna società industrializzata, permea tuttavia, mediante la memoria del passato, il cuore e la mente della nostra gente.

Le Bucoliche sono da contestualizzare nella realtà drammatica della Roma del 1° secolo a.C. dominata dalle guerre civili.

Virgilio giovinotto era venuto a conoscenza della congiura di Catilina, dell'ascesa di Giulio Cesare, del suo assassinio, della sconfitta di Pompeo e dello scontro cruento tra cesariani e pompeiani. Mentre Virgilio era occupato a scrivere le Ecloghe, Ottaviano con la vittoria a Filippi aveva consolidato il suo potere. Tornato nell'Urbe, espropriò i suoi contadini delle terre per consegnarle ai veterani come ricompensa per i servigi da loro resi durante i conflitti.

L'esproprio delle terre colpì anche la famiglia di Virgilio, il quale lo visse come manifestazione di barbarie.

Gran parte del dramma che condizionò il poeta è riportata in questo distico, versi 70 e 71 della prima ecloga: 

Impius haec iam culta novalia miles habebit,

barbarus has segetas.

(Un empio soldato si approprierà dei nostri campi ben coltivati e un barbaro delle nostre messi).

In copertina

Telemaco Signorini "Pascoli a Castiglioncello"  olio su cartone, cm. 20x24

Perché in questa piccola silloge di poesia latina, tradotta in endecasillabi, il verso italiano che, per musicalità, si avvicina molto all'esametro, c'è posto per la poesia latina cristiana? La risposta, che piò non essere condivisa da molti o da pochi, sta nella continuità dei fatti letterari che costituiscono la letteratura di un popolo, la quale, anche quando è attraversata da avvenimenti sconvolgenti, non devia mai dal suo corso né perde la sua forza primigenia di manifestazione dei valori e dell'etica su cui si fonda l'esserci di una comunità.

Lo sconvolgimento dell'etica pagana, provocato dalla diffusione del Vangelo, la cui predicazione apriva il cuore dei diseredati alla speranza di una vita fondata sulla fratellanza e sulla giustizia, speranza arricchita dalla certezza del passaggio dalla vicenda terrena, densa più di sofferenza che di gioia, verso un mondo di eterna felicità, ha cambiato soprattutto l'oggetto e i temi della ricerca poetica, di cui è testimonianza la poesia latina cristiana. La quale, rispettando rigorosamente il lessico, la sintassi, la prosodia e la metrica dei classici, ha prodotto odi ed inni di notevole valenza poetica su temi completamente diversi da quelli canonici, contaminati da riferimenti mitologici, tipici di tutta la poesia latina precedente.

Le gerarchie militari e politiche, insieme con il patriziato, hanno avversato i Cristiani, confinando il Cristianesimo tra le religioni ostinatamente ostili all'Impero, e li perseguitarono non perché fossero sovversivi e propalatori di malefici, come alcuni furiosi pagani andavano affermando, ma perché, senza eccezioni, rifiutavano il culto imperiale.

Plinio,Legato di Bitinia, chiese all'imperatore Traiano (Epist, X,9,3) delucidazioni circa le condanne da irrogare ai Cristiani, sul conto dei quali affermava che "pertinaciam certe et inflexibilem obstinationem debere puniri". La risposta di Traiano fu dura e sintetica: "puniendi sunt".

La morale romana, tutta terrestre, per nulla riferibile a comandamenti divini, espressione della forza militare e politica, comprensiva della separazione legale tra patrizi e plebei, tra liberi e schiavi, che divinizzava l'imperatore e difendeva la proprietà privata come strumento di godimento senza agganci ad una qualsiasi funzione sociale, viene, attraverso l'espansione della dottrina evangelica, sistematicamenta e progressivamente sostituita con quella cristiana basata sull'amore e sulla certezza che, essendo tutti gli uomini figli di un unico Dio, siamo tutti uguali per diritto naturale.

E' l'esatto rovesciamento della concezione etica romana. 

Premesso ciò, i poeti cristiani, ancorché nutriti di classicismo, rivoluzionarono i contenuti della letteratura: non più l'intervento iroso o partigiano degli dei nelle vicende umane, ma la presenza di Cristo, agnello sacrificale immolatosi per la salvezza del genere umano. Cambiati i contenuti, la letteratura non smarrisce la sua continuità e pertanto in molti poeti cristiani si possono rinvenire tratti in cui la poesia ci conquista con la sua naturale schiettezza e sincerità. Lo sforzo dell'autore di questa silloge tradotta in italiano è diretto a tentare la dimostrazione dell'eternità della poesia come strumento di verità, sotto qualunque cielo, sotto qualunque regime, in ogni tempo, con qualsivoglia etica.

La struttura di questo romanzo – nel quale la contemporaneità narrativa degli episodi è pertinenza continua e esclusiva dell’esperienza acritica del protagonista Nicola Cam – si dipana nel solco dell’intuizione borgesiana dell’orizzontalità della Storia, secondo la quale passato e futuro sono concetti, magari antologicamente corretti, ma ininfluenti per la comprensione del reale, perché subito resi sincronici dal fulmineo dinamismo dell’attualità del presente. Passato e futuro sono comprensibili, se risolti nel presente dell’hic et, nunc quando la coscienza se ne appropria.

Il protagonista, narrandosi e narrando in questa orizzontalità, agisce con la maniacale aggressività intraspecifica propria finitudine, egli addolcisce la sua aggressività con la partecipazione al dolore universale, dove si rifiuta dimenticando la sua furia d’infoiato e travolgente animale.

Il romanzo è la ricostruzione di una vicenda violenta e tuttavia ricorrente in alcune aree sociali, i limiti della quale sono da una parte il denaro, fonte di sofferenza per i poveri e per i deboli, e dall’altra la follia, esito deterministico del comportamento ipertrofico e logorroico di chi, essendo convinto che il denaro abbia anche valore metafisico, si spinge fino all’assurdo di potersi comperare il Paradiso. Nicola Cam pretende dal denaro la salvezza dell’anima! Entro tali limiti, in una sorta di Zeitgeis, cioè nell’insieme di tendenze morali e culturali che hanno caratterizzato l’epoca nella quale si svolge la storia di questo suo ultimo romanzo, Gerardo Gallo ha disegnato, con una scrittura rapida e precisa in cui alcuni lemmi dialettali sono elevati a dignità di lingua, l’inesorabile sbocco nella follia dove l’uomo sprofonda se usa sfrenatamente la discrezionalità conferitagli dalla ricchezza cinicamente goduta.

Il tema di fondo di questo romanzo è il tempo storico della Resistenza, visto attraverso un gruppo di meridionali che si sono trovati tagliati fuori nel Nord, sradicati dal proprio ambiente, e costretti a dover decidere, nel fermento della lotta, del proprio destino. Nella difficoltà di una scelta, alcuni prendono posizione in modo diverso, di qua e di là dalla barricata, altri attende, in un estenuazione dei propri incerti sentimenti, la fine della guerra.

La <<Colonia>> cerca di assimilarsi nell’ambiente del Nord e non vi riesce, né nel nome dei comuni ideali di lotta, né nei rapporti umani dell’amore. Tagliata fuori negli affetti, nei miti umani e sociali e perfino nei rapporti sessuali; diversa nel comportamento, la <<Colonia>>sente e avverte la propria solitudine e il senso del distacco che frantuma il Nord e il Sud d’Italia. Respinta da un’assurda repulsione che ha sapore di razzismo, relegata in un ghetto, la <<Colonia>> benché disunita negli ideali di lotta partigiana, sente di ritrovarsi nell’amore della comune patria del Sud, dove, a lotta finita, ognuno ritorna col peso di una più amara solitudine.

Ora sei ala

Il tuo corpo s'è sfatto, ora sei ala

che va planando dentro l'Universo:

negli spazi celesti ti sei persa.

Poi vengo alla tua tomba e lì ti guardo.

La tua immagine in marmo mi rimanda

il tenero fulgore dei tuoi occhi,

del tuo sorriso i cenni, l'oro splendido

dei tuoi capelli: voci e suoni tornano

a me felici e vivi. E poi non sento

altro che il vento che sconquassa e gonfia

l'aria che ti ha rapita e mi è nemica.

Senza pietà m'irride e crocifigge.

Nunc ala

In cinerem corpus tuum. Nunc es ala

quae labens in Universum penetrat.

Inter spatia coelestia evanuisti.

Ad sepulcrum tuum venio ac illic

lumina in te conicio. Effiges tua marmorea tenerum fulgorem tuorum

oculorum, levis tui risus nutum,

fulgidum aurum comae tuae, remittit:

voces, sonitus mihi feliciter viva

redeunt. Postea nihilum sentio

aliud ac ventum qui aetherem quassat.

Te rapuit ille hostiliter ac me irridet,

sine pietate in crucem me estollit.

il nostro diario 1.jpg

Dedicato alla moglie Assunta Zumpano

Finito di stampare nel mese di marzo 2004

Allestimento Legatoria Manna

via Botticelli,22 - Rende

per conto delle Edizioni Crathis

Via P. Rossi, 35 - Cosenza

PERPETUA ASSENZA

Scorrono sul mio volto, leggiere,

le tue piccole mani odorose dei colori

con cui svelavi la timorosa anima tua

di pittrice.

Limpide, terse, stellate mani

che mi davano sicurezza

e mi rendevano certa la vita

accanto a te fino alla morte.

E invece la morte ti ha sradicato,

violenta e spietata,

e ha fatto di te l'assenza perpetua

che mi dondola attorno e prorompe

dalle pareti del cielo,

dalle tue piccole cose,

dai tuoi pennelli inappagati.

Ora mi sei carbone rovente

e ostinato fardello che mi porto addosso

dovunque trascino

questi miei inutili sensi,

incapaci

di restituirmi di te l'immagine viva.

Tu mi trapassi, acuta lancia,

e mi incurvi sotto il peso della tua assenza

che mi lacera, implacabile.

Dove sospenderò il mio respiro,

in quale angolo di chiesa

mi sottrarrò alla tua incontenibile assenza?

Ci sarà mai un abisso di luce o di tenebra

in cui precipitarmi?

bottom of page