Biografia di don Domenico COPPA
Il sacerdote don Domenico Coppa nacque a Luzzi il 16 gennaio 1844 e ivi morì il 18 gennaio 1918 ed è stato: poeta, letterato, sacerdote e insegnante.
Già nel 1866-69 istituì e guidò un istituto privato per insegnare materie classiche e filosofiche nel suo paese natio. Nel 1869 ricevette dal Vescovo di San Marco A. l’importante incarico di insegnare ai futuri sacerdoti le dottrine teologiche.
Frequentò a Monteleone, dove insegnava nel liceo Filangieri, Vincenzo Padula e Vincenzo Iulia.
Fu socio della pregiata Accademia Cosentina dove conobbe lo storico Luigi Accattatis e ne divenne suo stretto amico.
Pubblicazioni:
-La libertà, giornaletto;
-Monografia su Luzzi, ristampato a pezzi su alcuni libri;
-Biografie su uomini illustri luzzesi;
-Il Gravina, periodico;
-La voce cattolica, periodico;
-Ominibus;
-Brutium;
-Carme su Vincenzo Iulia;
-Varie canzoncine e panegirici.
Don Domenico Coppa
Luzzi 16 gennaio 1844 + Luzzi 18 gennaio 1918
Domenico Coppa nacque a Luzzi il 16 gennaio 1844 e vi morì il 18 gennaio 1918. Delicato poeta, letterato, sacerdote, insegnante, esercitò queste diverse attività con dedizione e gioia dello spirito e con indefettibile amore per la gioventù studiosa della Calabria e di altre Regioni d’Italia. Lo scomparso fu sempre legato al mio diletto genitore da sentimenti fraterni e a me che gli fui sempre affezionato e riconoscente discepolo perché egli m’inculcò quei sentimenti di vita onesta ed operosa e l’amore degli studi storici. Vorrei dire di lui con Dante “E se il mondo sapesse il cuor ch’egli ebbe assai lo loda e più lo loderebbe!”.
Il Coppa e mio padre frequentarono insieme gli studi ginnasiali nel Seminario diocesano di Bisignano e compirono gli studi liceali a Cosenza sotto la guida di Giuseppe Miceli e Ferdinando Balsamo ma, finito il liceo, si divisero. Il Coppa, datosi alla carriera ecclesiastica, perfezionò i corsi di teologia nel Seminario di Bisignano, dove fu ordinato sacerdote, mentre mio padre s’incamminava in giurisprudenza senza peraltro poter proseguire nell’attività forense a causa di una grave, sopraggiunta infermità. Il Coppa dalla giovinezza amò i fioriti sentieri della poesia e fu ricercatore assiduo di notizie paesane che seppe illustrare con appositi opuscoli e collaborando ai giornali letterari del suo tempo.
Nel 1866 – 1869 aprì e diresse a Luzzi un Istituto privato, insegnandovi materie classiche e filosofiche. Dal 1868 al 1870 pubblicò con l’aiuto morale e materiale di mio padre, il giornaletto “La Libertà”.
Nel 1869 il Vescovo, Mons. Livio Parlatore, gli affidò la direzione del Seminario di S. Marco con l’incarico d’insegnare agli ordinanti sacerdoti scienze teologiche. Passato nei di supplente insegnante governativo, nel 1874 fu trasferito nel Liceo Filangieri di Monteleone, ove già trovavansi i suoi amici fraterni Vincenzo Padula e Vincenzo Iulia.
Ritornato a Luzzi perché colpito da grave malattia, dovette adattarsi a fare il maestro elementare nelle classi superiori, ma per sostenere il peso della famiglia, avendo bisogno di un immediato guadagno, fece istituire dal Comune un Asilo d’Infanzia ed una Scuola di Musica di cui fu attivo Direttore. Ma queste istituzioni, anche se utilissime cessarono dopo un anno di vita perché la popolazione non rispose alle aspettative. Ripresosi in salute, andò ad insegnar materie nel Licei pareggiato di Rogliano donde il Vescovo Parlatore lo fece rientrare nel Seminario di Bisignano. Nel 1888 il Vescovo di Cassano, Antonio Pistocchi, coadiutore del Vescovo di S. Marco e Bisignano, lo mandò a dirigere il Ginnasio Vescovile di Tursi e poi quello di Chiaromonte. Sotto la sua direzione i due istituti furono tolti dall’abbandono in cui lo avevano fatti cadere i vecchi dirigenti. Quivi compose varie raccolte di poesie ed una bella monografia religiosa sulle due cittadine lucane che diede alle stampe nel 1891 presso l’editore Pierro di Napoli. Nel 1893 Mons. de Luca Vescovo di S. Marco Argentano, lo richiamò alla direzione ed all’insegnamento nel suo Seminario.
Il Coppa, constatato che la paga non soddisfaceva i suoi bisogni, dopo un anno chiese licenza al Vescovo ed andò a dirigere l’importante Ginnasio del Comune di Scigliano, che gli aveva offerto lo stipendio mensile di lire 92,50. Avendo contratto affettuosa amicizia con lo storico Luigi Accattatis questi lo fece nominare socio dell’Accademia Cosentina, dove prese diverse volte la parola difendendo a viso aperto, d’accordo con Padula, Iulia, Accattatis, la reale esistenza degli agri prope Theabas Lucanas nel territorio luzzese.
E i suoi studi al riguardo raccolse in quella Monografia su Luzzi di cui ho già detto nel corso di questo volume. Pubblicò, inoltre, alcune biografie sugli Uomini illustri luzzesi, numerosi articoli storici sulla Badia di Sambucina e sui rinvenimenti archeologici degli agri prope Theabas Lucanas. di questi ultimi fece elaborare relazioni che divennero assetto di vivacissimi dibattiti accademici negli anni 1894-97.
Costretto a ritornare a Luzzi nel 1898 per gravi disturbi cardiaci, il Vescovo Mons. Vincenzo Ricotta lo nominò parroco-rettore della Chiesa di S. Angelo, ma la cura delle anime non lo distolse dal suo naturale amore per l’insegnamento e, perciò, stimolato dall’amore che portava alla gioventù studiosa, nel 1898 istituì a Luzzi un nuovo corso privato, ove affluivano allievi dai paesi viciniori. Gli fu insigne collaboratore anche il Prof. Vincenzo Iulia. Mons. Ricotta nel 1900 lo richiamò a dirigere ed insegnare nel Seminario di Bisignano, ma vi stette poco tempo perché la malferma salute lo costrinse a ritornare a Luzzi. E qui rimase gli ultimi anni della sua vita operosa, continuando a tenere la Rettoria di S. Angelo e ad attendere i suoi studi prediletti, dandone saggi pregevoli nei periodici “Il Gravina”, “La Voce Cattolica”, “l’Omnibus”, “il Brutium”, ecc.
Restano di lui il bel Carme su Vincenzo Iulia, una quantità di bellissime poesie, fra cui quelle sulla morte di Giuseppe Cilento, pubblicate il 1880 dalla Tipografia Municipale di Cosenza, una produzione letterario-storica varia ed abbondante, molti panegirici.
Molti lavori storico-archeologici del Coppa, essendo restati manoscritti, sono stati da me letti ed ammirati prima che passassero nelle mani del Prof. Luigi Genesio Coppa e dei nipoti Francesco Antonio, Filippo e Biniamino.
Nella prima gioventù il Coppa, si tenne in rapporti d’amicizia con De Sanctis, Tommasco, Mamiani, Cantù, Padula, Mauro, Iulia, Giuseppe Campagna, Vincenzo Galli Arcuri, Pietro Giannone, Biagio Miraglia, Vincenzo Selvaggi, come attestano le numerose lettere di questi insigni scrittori.
Zelante del pubblico bene, il Prof. Coppa, adempì col massimo scrupolo ogni compito assunto e le mansioni che gli furono affidate. Fu amorevole, gioviale, cortesissimo con amici e conoscenti, dotato di quel vigore di simpatia umana che è raro trovare oggidì. Le conversazioni giornaliere che ho avute con lui, negli ultimi anni di sua vita, formarono sempre la mia delizia e la mia guida.
Tenero con la sua famiglia, ebbe il vanto di tenerla vincolata, affratellata in un’armonia tradizionale e mai interrotta.
Difensore dei diritti del popolo, li propagandò sempre con l’entusiasmo della parola e degli scritti.
Tutti quelli che lo conobbero in vita conservano ancora di lui venerata memoria. La letteratura calabra lo annovera tra coloro che più l’onorano. I suoi dotti amici e i numerosi discepoli annunziarono la sua scomparsa dalla scena del mondo con articoli e necrologie su giornali e riviste, mettendone in rilievo le alte doti di cultura, il grande patriottismo e l’intemeratezza della vita. Ricordo quelli di mio fratello Antonio sul “Corriere della Sera”, i miei sul “Mattino” e “don Marzio”, di mio fratello Eugenio sul “Giorno” e “Corriere di Napoli”, del poeta Antonio Iulia sulla “Cronaca di Calabria”, sul “Fra Nicola”, sul “Giornale di Calabria” di Cosenza ecc.
(Testo tratto da “Tebe Lucana, val di Crati e l’odierna Luzzi” di G. Marchese – Edizioni Brenner, 1992)
Tratto da :"Il Veltro di Sambucina "- Novembre 2002
Domenico Coppa fu poeta verista?
(Luigi Genesio Coppa "I Canti della desolazione")
Regionale Editrice in Roma, 1953.
Mi giova chiudere le pagine di questo volumetto con l'esumazione d'un gioiello letterario di famiglia: un sonetto, attinente agli argomenti trattati in questi "Canti della desolazione", composto dal sacerdote Domenico Coppa e pubblicato sulla rivista "La missione della donna" del 15 aprile 1875.
Il Coppa nato a Luzzi (Cosenza) nel 1844 e ivi deceduto il 18 gennaio 1918, fu scrittore e poeta di singolare perizia, molto noto e apprezzato ai suoi tempi nella regione natia, ma le sue composizioni, mai, purtroppo, riunite in volume e lasciate o manoscritte o sparse su giornali e riviste oggi introvabili, non valsero a dargli quella più larga fama che avrebbe pur meritata. Egli fece parte di quel gruppo di poeti, che, capeggiato dall'acrese Vincenzo Padula, dominò il cielo letterario della Calabria del secolo XIX come una costellazione di prima grandezza e che non assurse a vasta notorietà nazionale più per l'iniquità dei tempi e per l'isolamento della vita meridionale che per mancanza d'intrinseco valore.
Esso creò quel caratteristico romanticismo calabrese, che aspetta ancora il suo storico e in cui l'ispirazione non era fornita, come altrove, da argomenti e ambienti puramente immaginari e di riporto, ma trovava la sua fonte viva e inesausta nelle condizioni naturali e sociali della regione che l'esprimeva, per cui fu al tempo stesso e pateticamente romantico e vigorosamente verista.
Il primo poeta verista d'Italia, anche nel senso in cui poi tale termine venne usato per esempio, nella "Nova polemica" di Stecchetti, fu infatti il Padula, e non altri. Basta rileggere le sue liriche: "I quindici anni" del 1842, "Se fossi io mago" del 1844, "Il telaio" del 4848, "Il cardello geloso", dello stesso anno, "Le sette opere della misericordia corporale", ecc., (Padula - Poesie Napoli, Tip. Morano e Veraldi 1894).
Appartennero al gruppo, oltre il Padula, il Coppa ed altri, Giuseppe Campagna, Pietro Giannone (da non confondere con l'omonimo autore settecentesco della "Storia civile del Regno di Napoli"), Vincenzo Selvaggi, Domenico Mauro, Nicola Romano, traduttore della "Cristiade" del Vida, Vincenzo Julia, critico oltre che poeta, e il bilingue Gerolamo De Rada, che i sensi e i modi poetici prevalsi trasferì nella letteratura albanese, di cui fu, con qualche esagerazione appellato l'Omero.
Il Coppa e il Julia fecero nel gruppo quasi parte a sé per una maggiore contenuta classica di spirito e di forma.
Il sonetto del Coppa, che qui si riporta, ha per soggetto il Giudizio Universale di Michelangelo e, se non mi fa velo l'orgoglio familiare, va annoverato fra i più belli e vigorosi della nostra letteratura.
Il formidabile affresco della Sistina palpita in esso, nell'insieme e nei particolari, con un'evidenza che mi par di poter dichiarare a ragione sublime.
Lo sgomento dell'anima dell'artista rapito nell'intima visione del tremendo spettacolo, il suono delle angeliche tube invitanti all'ultimo e decisivo convegno del Mondo, l'agitarsi del cenere dei defunti nello sforzo di ritrovar la forma primigenia, il brulicar dei risorti al cospetto del Figlio dell'Uomo tornante in gloria all'opra novissima, i sentimenti che balenano sul volto d'Adamo, contrastanti come come in contrasto sono le sorti finali dei suoi discendenti, delle cui sciagure egli ha coscienza d'essere per la sua colpa il primo responsabile, tutto, tutto è rappresentato con una vivezza incomparabile e con un magistero di parola non facilmente eguagliabile.
Sullo sfondo del capolavoro compiuto, grandeggia infine la figura stessa del pittore, che, terrorizzato dal parto della sua gigantesca fantasia, si allontana in fuga precipitosa, gettando ai piedi della sua creazione il pennello miracoloso.
Il che non è nuovo nella leggenda di Michelangelo.
Chi non ricorda il famoso "Perché non parli?" rivolto al corrucciato Mosè disceso dal Monte e il virile colpo di martello risonante nei secoli? Or ecco il sonetto:
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
DI
MICHELANGELO
Da la sublime vision rapito,
in un sacro terror l'animo immerso,
ombre chiede e colori all'universo
e l'idea toglie al mar dell'infinito.
L'ora già suona del tremendo invito,
s'agita il morto cenere disperso,
e brulicar, per indole diverso,
d'uomini un mondo vedi omai sparito.
Gioia, speme, dolor, guerra, sconforto
vedi in volto ad Adamo e Cristo vedi
d'ira all'opra novissima risorto.
Spingonsi gli empi alle infocate sedi.
Michelangelo guata e..., tutto smorto,
gitta, fuggendo, il suo pennello ai piedi.