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Luzzi Chiesa di San Michele Arcangelo.jpg

La chiesa di San Michele Arcangelo di Luzzi è considerata come la prima rettorale del territorio urbano in cui è ubicata, la cui fondazione risale con certezza al periodo medioevale¹ Al suo interno sono custoditi manufatti artistici di pregevole fattura tra i quali primeggia l'altare maggiore. L'altare è un'opera lignea d'indubitabile valore artistico, composto da due corpi ben distinti sia a livello stilistico sia cronologico. La parte più antica del corpo della mensa, databile, con qualche cautela al 1692² , mostra un intaglio di carattere ancora tardo rinascimentale, con racemi e fiori su fondo verde, teste d'angelo, nastri inanellati e colonnine scanalate e capitellate. Su di esso è stato inserito un paliotto dipinto su tela con le immagini della Madonna col Bambino, san Nicola e san Michele Arcangelo, firmato da Felice Fiore (1868-1958), e ascrivibile ai primi decenni del Novecento. La mensa è completata lateralmente da pannelli lignei dipinti, un tempo doveva essere sovrastata da una pala, di cui è sopravvissuta la cornice, perciò è possibile che l'altare fosse a parete. A questo altare, infine, dovrebbe riferirsi la data 1692 che accompagna il nome di Domenico Curti che, sul pannello del lato sinistro, si firma a lettere capitali come colui che indorò il manufatto:

Iscrizioni: «DMINICVS CVRTI AVRAVIT A.D. l b92». ll corpo dell'altare è realizzato con uno stile diversamente aggiornato alle produzioni marmoree tardo barocche che si svilupparono dalla fine del Seicento a Napoli e dei quali numerosi esempi sono presenti in Calabria³. Sui due ordini dei gradini del dossale sono dipinti dei sontuosi ornamenti floreali e fitomorfi su fondo verde: i fiori con tonalità rosse e gialle molto intense, mentre le volute con tinte chiare e luminose. Tra i tralci, a completamento del riferimento iconografico religioso, sono delineate delle farfalle nell'atto di posarsi sui fiori. Lo stesso decoro è presente sui pilastrini laterali che incorniciano la mensa e il paliotto, mentre al centro dei gradini è innestato il tabernacolo sormontato da una struttura a tempietto sul modello di un "baldacchino-ciborio"⁴ di forma ottagonale, con cupola a bulbo sormontata da croce apicale e decori di teste d'angelo; in quattro nicchie laterali trovavano posto le microsculture degli Evangelisti, di cui ne sono sopravvissute solo due. I capialtare, infine, sono realizzati da ampie volute laterali che accolgono, in basso, una testa d'angelo e in alto due piccoli angeli frapposti tra le stesse volute. Non si hanno a disposizione documenti archivistici relativi alla realizzazione dell'opera, ma senz'altro risalta l'annotazione di un manoscritto del 1858⁵ che dichiara l'altare maggiore di San Michele Arcangelo di Luzzi tra i migliori della cittadina per i suoi magnifici intagli abbelliti con «marmorei a vernice alla cinese». All'interno dell'altare, però, attraverso uno sportellino posto dietro l'angelo reggi voluta di destra, è stata rinvenuta, oltre a disegni tracciati direttamente sul legno, un'iscrizione: «IB9B»- (1696) -, che potrebbe riferirsi anche alla datazione del corpo oppure appartenere a qualche pezzo recuperato da altro manufatto. Tutto questo in quanto l'opera parrebbe più direttamente ancorarsi al primo settecento per l'influsso vaccariano e sanfeliciano che emana, trovando una plausibile datazione attorno al 1729, anno in cui terminò la contesa con la chiesa di Santa Maria per il titolo di Matrice del comune e che potrebbe ben costituire la circostanza della sua realizzazione. Per l'esecuzione di questa parte dell'altare appare certo verosimile l'attribuzione avanzata in favore di botteghe roglianesi attive tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento⁶ , precisata in direzione di Niccolò Altomare⁷ e della sua bottega con la produzione del quale, in effetti, la fattura dell'altare di San Michele Arcangelo di Luzzi offre molte vicinanze, come ad esempio le affini teste d'angelo dell'altare di San Francesco di Paola della chiesa di San Giorgio di Rogliano che l'intagliatore realizzò nel 1724⁸ .

Alberto Pingitore

 

¹ Sulla fondazione dell'edificio sacro gli studiosi hanno avanzato diverse congetture; Marchese fa risalire l'edificio al IX secolo, cfr. :Marchese G., Tebe Lucana, Val di Crati e l'odierna Luzzi, [1957], Cosenza 1992, pp. 388-389 nota 28. Coppa invece fissa l'anno d' inizio dei lavori al 980, cfr. A. Coppa, Cenni storici sulla chiesa parrocchiale-rettorale di S. Michele Arcangelo (S. Angelo) in Luzzi, Cosenza 1969, p. 6. Barillaro scrive di fondazione duecentesca, cfr. Barillaro E., Calabria: guida artistica e archeologica, Cosenza 1972, p. 178. Altomare propone la metà del XII secolo, contemporaneamente, al periodo in cui si costituiva il nucleo abitativo del territorio urbano, cfr. Altomare M. P., La chiesa di Sant'Angelo e Luzzi in una platea secentesca, in "Quaderni dell'Associazione culturale Insieme per Luzzi", a . III, 1998, pp. 15- 16.

² Rimanendo nel campo delle supposizioni è necessario osservare che la particolare risoluzione del numero nove della data permette di formulare un'ulteriore congettura, questo infatti potrebbe verosimilmente decifrarsi in un due modi, se così fosse la data inscritta risulterebbe 1622. Conseguentemente a tale nuova ipotesi apparirebbe verosimile che questo altare possa essere proprio quello descritto nella Visita pastorale di Andrea Pierbenedetto del 1630, pubblicata da Rosario D'Alessandro, che cita

<<Un tabernacolo di legno indorato artisticamente fabbricato, posto sopra l'altare maggiore>>, sempre che si intenda la doratura estesa a tutto il manufatto e non solo al tabernacolo. Cfr. D 'Alessandro R., Visita Apostolica a Luzzi nel 1630. Da una visita nella Diocesi di Bisignano del Cardinale Mons. Andrea Pierbenedetto, Bisignano 1996, p. 11.

³ Leone G., Per la storia dell'intaglio ligneo in Calabria: appunti sulla cosiddetta <<scuola di Morano>>, in "Daedalus", aa. IV-V, 1991-1992, pp. 55-56 nota 4; Leone G., Per una storia dell'arte sacra nella Valle di Crati, in a cura di D'Amore R. F. - Falcone L. - Pugliese M . (a cura di), Bisignano e la Val di Crati tra passato e futuro. Atti 1991, Soveria Mannelli 1993, pp. 129- 130; Leone G., L'Altare ligneo, in Cagliostro R.M. (a cura di), Calabria, Roma 2002, p. 361

⁴ Panarello M ., Metamorfosi del Ciborio e del Tabernacolo, in Cagliostro R. M. (a cura di), Calabria ... cit., pp. 381-382.

⁵ Pepe G., Cenni sulla nostra patria de’ Luzzi: copia anastatica di un manoscritto inedito del 1858, a cura di B. Durante, Luzzi 1994·, p. 37.

⁶ Leone G., L'Altare ligneo ... cit., p. 361.

⁷ Panarello M ., In sublime altare tuum: osservazioni sull'evoluzione dell'altare marmoreo in Calabria tra Seicento ed Ottocento, in Leone G., Pange Lingua: l'Eucarestia in Calabria; Storia Devozione Arte, Catanzaro 2002, p. 504.

⁸ Leone G., L'Altare ligneo ... cit., p. 361.

Tratto da:

Il Legno.jpg

L'intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza accostando minuti pezzi di legni o altri materiali di colori diversi. Diffusa già nel Trecento tra il 1440 e il 1550 raggiunge il massimo della fioritura, sviluppando quello che verrà definito da André Chastel "il cubismo del Rinascimento".

Fino a tutto il XV secolo la tarsia rimase una forma artistica praticata essenzialmente solo in Italia; in seguito si diffuse, seppure molto cautamente, anche al di là delle Alpi[1].

Simile è l'ebanisteria, dove però come materiale viene utilizzato esclusivamente il legno, inoltre è un termine applicato dal XVII secolo, soprattutto riguardo alla decorazione del mobilio.

Ebanisteria s'intende l'arte di comporre decorazioni, mosaici o disegni veri e propri, utilizzando solo ed esclusivamente il legno, in svariate qualità più o meno pregiate (e non solo ebano, a discapito del nome), a differenza dell'intarsio ove oltre ai legnami, vengono utilizzati altri materiali (ad esempio l'avorio).

Come per l'intarsio, anche in ebanisteria la base consiste in un disegno su cartone, ritagliato e composto a modo di mosaico.

L'intaglio è l'attività che consiste nel rimuovere, mediante l'utilizzo di appositi strumenti come il bulino, materia da pietra, metalli, pietre dure, legno al fine di creare opere d'arte. Lo strumento più popolare tra i falegnami è anche il piallatore elettrico. 

L'intaglio è comunemente utilizzato nella xilografia, intaglio su pietra, e nella glittica, intaglio su gemme e pietre dure.

La scultura lignea

La statua di legno policroma rappresenta la tipica espressione dell'immagine di culto a partire dal XIII secolo fino a quando, in epoca rinascimentale, tale materiale verrà discriminato rispetto al pregio del marmo e del bronzo nell'ambito del dibattito sul primato tra le tecniche e i generi artistici.

Contrariamente al giudizio negativo che a partire dai trattatisti cinquecenteschi ha influenzato la percezione della scultura lignea fin quasi a i giorni nostri, è proprio attraverso questa tipologia che si è rinforzata la rinascita della scultura: la statua di legno policroma rappresenta infatti la tipica immagine di culto a partire dal XIII secolo. Nel corso dei secoli la policromia delle sculture, essenziale nella coscienza di chi le produceva e le commissionava, è divenuta un elemento di discredito in quanto ritenuta un espediente cui era costretto chi non sapeva scolpire; il pregiudizio ha colpito soprattutto le statue lignee su cui si interveniva con una continua manutenzione del colore, ma anche la scultura in marmo era completata dalla policromia.
Non è noto se i ruoli di scultore e pittore fossero distinti ma sta di fatto che essi presupponevano due diverse professionalità. Nei documenti trecenteschi di allogagione si può comunque verificare come nella maggior parte dei casi i due ruoli fossero separati, per cui la scultura veniva passata al pittore dopo essere stata intagliata ; ma non mancano casi di doppia definizione come per l'attività lucchese di Piero D'Angelo o Jacopo della Quercia, nominati sia come "sculptor" che come "pictor".

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