Biagio Durante nasce a Luzzi il 22 aprile del 1933 da Alfonso e Pia Cilento. Anche alla tradizione familiare deve l'amore per la cultura delle arti e la forte e radicata fede Cristiana, la sua personalità si traduce nella passione per la rappresentazione scenica e per il folklore. Alla sua iniziativa si deve la costituzione della “Pro Loco Sambucina” costituita nel 1984, nella quale ha lavorato con slancio e fervore per molti anni. Nel 1994 è tra i fondatori dell'Associazione Culturale “Insieme per Luzzi”. È stato tra i promotori e il regista di numerose rappresentazioni teatrali tra le quali le più famose sono: “Marcellino pane e vino”, “La pioggia di sangue”, “Metti una suocera in casa”, “Grosso pasticciaccio giallo”. La sua figura e il suo nome rimangono legati soprattutto aIl'evento che ha commosso non solo i cittadini luzzesi, ma l'intera provincia di Cosenza. Il “Processo a Cristo” e la Sua Passione e Morte. Ha reso la sua anima a Dio il 27 settembre 2003 presso l'Ospedale San Raffaele di Milano.
Introduzione
di Biagio Durante
Caro lettore, l’opera che sottopongo alla Tua gentile attenzione è un manoscritto inedito del sacerdote Giuseppe Pepe¹, datato 1858. Lavoro originale, ricco di notizie su Luzzi², cittadina in provincia di Cosenza ancora oggi poco conosciuta.
La lettura Ti sarà gradita perché troverai in essa molti nomi di luoghi e di persone consoni allo stesso dialetto, nostra madre lingua, e alla vita di quel periodo storico. Certamente sarebbe stata cosa utile e gradita, per lo studioso luzzese prof. Giuseppe Marchese³, inserire tali notizie nelle sue opere di carattere storico che hanno contribuito al recente movimento di studi cistercensi-sanbucinesi.
Nel corso della lettura di questo manoscritto ⁴ si riscontra soprattutto amore per la propria terra in decadenza quando il Pepe scriveva, ma in auge nel passata.
L’Autore inizia i suoi appunti parlando dell’origine del nome “Luzzi” e delle varie ipotesi fatte nelle diverse epoche, poi fa una breve descrizione dell’ambiente geografico e topografico del paese e del suo circondario, e poi si sofferma a parlare delle chiese di Luzzi “… otto chiese ben tenute, ben costrutte e frequentatissime…”⁵, Infine fa un elenco di uomini illustri che si sono succeduti nei secoli, ponendone nel dovuto rilievo gli aspetti più significativi⁶.
Circa la storia del territorio di Luzzi l’Autore risale ai tempi precedenti l’arrivo dei coloni greci nell’Italia Meridionale, continuando con testimonianze frammentarie sui periodi successivi ed infine si sofferma sul periodo più conosciuto e felice della nostra cittadina, legato al monastero della Sambucina, luogo natìo del pensiero gioachimita.
Studiosi di varie epoche, scrivendo di cose calabresi fanno cenno a Luzzi, ubertosa, ricca di frutti e messi di ogni genere, famosa per l’Abbazia Cistercense di Santa Maria della Sambucina, che fu centro propulsore di vita religiosa, e celebre per lo Studium Artium, arte calligrafa soprattutto, superiore a quella di Farfa (Rieti) e Montecassino.
Nella Sambucina fu portinaio Gioacchino da fiore, da Dante celebrato come profeta (Paradiso, Canto XII, 140-141), dove meditò e maturò il pensiero sella Triade Divina, espresso nella grandiosa profezia del Terzo Regno, l’evento innovatore che avrebbe rigenerato e liberato con profonda religiosità tutto il genere umano⁷. All’epoca, Roma cattolica si era lasciata vincere da beni terreni e aveva dimenticato lo Spirito, il Senso e l’Amore di Dio. Gioacchino da Fiore la richiamava a nuova disciplina, ragion per cui non ha avuto alcuna esitazione ad abbandonare l’Ordine, insieme ad alcuni discepoli e a ritirarsi sui monti silani per una vita più ascetica, fondando in quei luoghi l’Ordine Florense “Novus Ordo”, approvato canonicamente dal pontefice Celestino III con bolla del 25 agosto 1196. Nel 1186, quando Gioacchino con alcuni confratelli si allontana dall’Ordine per una vita più ascetica, immediate furono le reazioni dei Cistercensi, specie quelle di Pietro Lombardo, il quale sosteneva la tesi della Quaternità (eresia, secondo la quale, oltre alla Trinità, esiste una quarta Essenza comune alle prime tre) ⁸, in aperto contrasto con la tesi sulla Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) formulata da Gioacchino da Fiore. Per questo e per le pressioni dell’Ordine Cistercense presso il papato, che parteggiava per Lombardo, l’abate di Celico fu condannato per eresia, per ben due volte postum morte: la prima volta dal Concilio Laterano del 1215 e la seconda volta dalla Commissione di Anagni del 1225, nominata dal papa Alessandro IV. Luca di Capua, detto Campano, biografo di Gioacchino, così scrive le sue virtù: “l’intelligenza, sapienza, castità, umiltà, carità, povertà, disciplina apostolica, qualità che avrebbero certamente vinto per secoli il tempo”. L’esegeta Gioacchino da Fiore predicò l’elevazione dello Spirito e dell’Amore, condizione necessaria per riconquistare la pace universale per tutti gli uomini. Lo stesso Innocenze III, nel 1211 intervenendo nella contesa fra i frati cistercensi e florensi di Corazzo per l’appartenenza della chiesa di Santa Maria di Altilia, chiamò Gioacchino “Virum bonae memoriae”, e poi nel 1220, cioè dopo il Concilio Lateranense, papa Onorio III lo deinì “virum catholicum” ⁹. Il pensiero gioachimita, in questo ultimo decennio viene studiato con rinnovato ardore, da storici e teologi di tutto il mondo¹⁰.
Sulla chiesa di San Francesco, il Pepe così scrive: “anticamente la chiesa nell’attuale largo e lunga ma soggetta a frane”. Tale largo fu destinato, sotto l’Amministrazione DC (sindaco il dott. Cesare Dima, 1948 – 1955), ad area edificabile per una struttura scolastica.
Dal 1956 al 1964, col sindaco prof. Umile Peluso (senatore del PCI), si, realizza l’opera anzidetta, ma ben presto la stessa si rende inefficiente a causa di molte crepe nelle pareti perimetrali dovute a smottamenti di terreno. Oggi, dopo opportuni e costosi interventi, tale struttura (sede del Liceo Classico) è usata senza alcun pericolo. E’ certo, comunque, che se gli Amministratori avessero conosciuto il manoscritto del Pepe, avrebbero operato diversamente.
Dell’attuale Istituto S. Antonio, l’Autore fa una descrizione delicatissima con parole mirabili che invitano alla lettura. Anche qui Egli, il Pepe, denuncia una verità di natura geologica, e cioè la presenza di un vuoto sotterraneo nella zona di un “cipresso”; c’è ancora! Si poteva raggiungere percorrendo un bellissimo viale, ombreggiato da un ameno pergolato dove i frati di San Francesco, fondatori del primitivo convento, soleano riposare in lunghe meditazioni e godere la soave brezza proveniente dai monti silani.
Sulla data di fondazione di questo convento i pareri sono contrastanti; alcuni studiosi la riportano al 1600, altri al 1605, “Luzzi. Luogo della Diocesi di Bisignano, fu fondato l’anno 1605 – il sito lo diede Cesare Felicetti senza riserva di proprietà” ¹¹. Questa data sembra essere accettata dalla maggioranza ¹².
Il 24 maggio del 1613 il Capitolo Generalizio, nel relazionare lo stato dei conventi, include questo di Luzzi tra quelli regolarmente abitati e ci comunica anche il nome di Padre Francesco da Rossano come primo guardiano.
Luogo ameno e silenzioso ideale per incontri spirituali. Si racconta ancora oggi a Luzzi che in occasione di uno dei frequenti ritiri spirituali, che si svolgevano nel convento luzzese, una notte il beato Angelo di Acri venne invaso da spiriti maligni, che lo costrinsero ad abbandonare frettolosamente il convento. In prossimità della zona detta “Croce” il monaco di Acri cadde riportando una frattura alla gamba¹³.
La notte del 12 maggio del 1959, nel luogo sopraddetto, vi fu un assestamento del terreno di circa 20.000 mq. tanto da inghiottire una rigogliosa vegetazione con 34 porcili.
Anche in questo caso si poteva operare meglio…
Oggi l’Istituto è retto dalle “Piccole Operaie dei Sacri Cuori”, che da molti decenni, operano nella comunità di Luzzi con saggezza, religiosità e spirito di sacrificio.
Sulla chiesa di San Giuseppe, trattando l’argomento di San Aurelia, l’Autore così scrive: “ fu qui da Roma a richiesta del cardinale romano traslocata nell’anno del Signore 1741 a 2 di febbraio” Sia il Campise¹⁴, cha il Marchese¹⁵, fissano la data del trasloco al 2 febbraio 1744, senza alcun supporto storico. A mio avviso, è molto più attendibile la data che ci tramanda il Pepe, il quale scrive intorno alla metà dell’Ottocento; è impensabile, infatti, che il trasloco della Santa da Roma a Luzzi abbia avuto una durata triennale.
E’ storicamente accertato che in quel l’epoca a Roma vi era, nelle vesti cardinalizie, Giuseppe Firrao senior, che nacque in questa terra (1669 – 1744). Questi ebbe l’idea di fare un prezioso dono al nipote Pietromaria, figlio del fratello Tommaso, feudatario di Luzzi, ma in particolare il porporato faceva regalo al luogo natio, al quale era particolarmente legato e che amava tanto¹⁶. Egli mandò le sacre spoglie di una martire di nome Aurelia Marcia, di nobile famiglia romana, rinvenute nelle tetre ed oscure catacombe di San Sebastiano. Pietromaria Firrao si prodigò di fare collocare il sacro feretro nella cappella gentilizia del castello (chiesa di San Giuseppe) ¹⁷.
Della chiesa dell’Immacolata, in seguito allo scampato pericolo della peste, che menava verso la fine della seconda metà del ‘600, il Comune deliberava e proclamava la Vergine Immacolata protettrice di questa comunità, tanto che ne fece commemorare l’evento facendone effigere un bollo per atti amministrativi. Tale bollo raffigura due pesci (luccio) di colore argento luminoso, in posizione eretta l’uno di fronte all’altro, simboleggianti la purezza della località.
La chiesa va ricordata per la statua della SS. Vergine, opera di pregiata fattura eseguita nel 1718 dal cappuccino Antonio Collucci. Altresì vi è una Madonna in Gloria della scuola di Luca Giordano, proveniente dal convento della Sambucina; ancora una scultura in legno del ‘700 raffigurante Cristo in Croce e una tela dell’Annunciazione della Vergine della scuola del Solimena. Da segnalare inoltre due pergamene: una della Santa Sede e l’altra di Ferdinando IV, che autorizzano il sacerdote Durante¹⁸ a fondare la Confraternita della Concezione¹⁹.
Le funzioni religiose della chiesa dell’Immacolata, di San Giuseppe e dell’Istituto S. Antonio sono affidate al parroco don Franco Fiore.
La chiesa di Santa Maria vanta di aver avuto al suo fonte battesimale Cesare Firrao Senior, che all’età di 59 anni già porporato, presso la Sacra Congregazione del Concilio, intervenne con molta veemenza nella contesa fra S. Angelo e S. Maria, circa il ruolo di chiesa Madre. Tale contesa ebbe inizio nel 1708 e fin’ nel 1731, quando il prelato Firrao fece deliberare per S. Maria chiesa Matrice e S. Angelo chiesa Rettorale²⁰. Dando fede agli Annali parrocchiali la chiesa di Santa Maria sarebbe stata costruita verso il 1450. La parrocchia è tenuta dall’arciprete Umile Plastina, che ne cura le funzioni unitamente alla chiesa della Madonna della Cava.
La Madonna della Cava o della Sanità è una piccola chiesa piena di fascino e di mistero, inserita com’è in una cava deliziosa e sacra per la quale si entra da una stretta via che separa due colline a poca distanza dal paese. Secondo la tradizione in questa valle profumata di ginestre apparve la Madonna ad una pastorella storpia di nome Lucrezia Scalzo. In ricordo di questo evento ogni anno, la seconda domenica di settembre, in questa mistica, agreste chiesetta si svolge una sagra popolare, una festa in onore della Madonna²¹.
S. Angelo è la chiesa più antica di questa comunità; fondata dai Benedettini sul colle “Ilice”, con molta probabilità nella seconda metà del 900, sotto il papato di Benedetto VII. Aveva un campanile romanico e un portico sotto il quale si riuniva il Consiglio della comunità per decidere sui fatti civili e religiosi del primo nucleo feudale; è chiaro pertanto, che passava proprio da qui il fulcro vitale della comunità luzzese degli inizi del secondo millennio²².
Attuale Rettore di questa chiesa millenaria è il sac. don Umile Feraco, che mantiene il culto anche della chiesa di San Francesco.
S. Maria e S. Angelo hanno conservato la primitiva struttura ricca di stucchi e capitelli senza alcuna decorazione pittorica sino al 1953 anno in cui, entrambe, vennero arricchiti e da affreschi eseguiti dal maestro Emilio Jusi.
Della Sambucina, il Pepe mette in evidenza l’esistenza di una “fontana che circa a più palmi duecento scende sotto il fabbricato è un indizio che questa doveva essere collocata nel centro di un vastissimo chiostro”. Con molta probabilità, il Pepe fa risalire questi avanzi murari a ciò che rimase dopo il violento cataclisma del 5 maggio del 1569. In quel periodo si abbatterono nella zona per sei giorni bufere di neve e ghiaccio susseguite da altrettanti violenti acquazzoni, tanto da provocare una spaventosa frana, causa a sua volta di un terribile disastro. La voragine fu così vasta da inghiottire il resto della chiesa e altrettante fabbriche ivi esistenti, tanto che i frati superstiti si rifugiarono nell’abbazia della Matina, presso San Marco Argentano. Solo dopo 11 anni di abbandono, cioè nel 1580, fu deciso un restauro, e nel 1594 l’abbazia risorse a nuova vita, ma non poteva avere la fierezza dei secoli precedenti²³, Quarant’anni più tardi, nel 1643, il papa Urbano VIII costituì in congregazione i monaci di Calabria e Lucania e la Sambucina entrò a farvi parte²⁴. Questa data segnò l’inizio della decadenza della nostra abbazia, che culminò nel 1780, anna in cui il ministro borbonico e antiecclesiastico Tanucci, mediante il decreto del 18 febbraio, emanato del re Ferdinando IV, devolveva i beni abbaziali a favore del demanio. Solo un secolo e mezzo più tardi la Sambucina, cenobio di santi e beati²⁵, ebbe un riconoscimento del suo passato pieno di splendore e religiosità, ad opera del vescovo di San Marco Argentano e Bisignano mons. Salvatore Scanu, che con la bolla dell’1 gennaio 1928 decretava la Sambucina parrocchia affidandola al sacerdote Settimio Leone di Luzzi. Sul piano storico-artistico la chiesa della Sambucina ha avuto somma importanza, in quanto rappresentava il prototipo di quella scuola provvida alle costruzioni delle altre chiese cistercensi dell’Italia meridionale e l’unica superstite di quei modelli che ispirarono successivamente gli architetti nelle costruzioni delle chiese che sorsero in Calabria nel XIII secolo.
La Badia della Sambucina è stata restaurata di recente dalla Soprintendenza alle Belle Arti di Cosenza. L’assistenza al culto è tenuta dal padre Oreste Ripoli.
Il Pepe, oltre alla descrizione delle chiese ci dà delle notizie sulla conformazione irregolare del paese; infatti, a pagina 3 così scrive: “l’interno del paese ha motivo della irregolarità ed angusta del paese è impraticabile d’inverno nonostante esser tutto selciato”, altresì vi sono molte indicazioni di carattere geomorfologico che se conosciute a tempo avrebbero evitato grossi errori negli anni ’50.
E’ da tenere presente che la trascrizione del manoscritto è fedele all’originale, quindi, senza aggiunte, detrazioni o correzioni.
Nonostante gli appunti siano disordinati rivelano una certa capacità d’indagine e mostrano che l’Autore possedeva discrete conoscenze storiche e sensibilità nel trasmettere notizie utili. Il Pepe non ha fatto opera scientifica come noi avremmo voluto, il suo scritto è una testimonianza dell’amore per la sua terra, che pur suggestiva presenta abbandono, sofferenze e commossi profili umani.
Voglio sperare che questo modesto lavoro del Pepe (scritto circa 150 anni fa), pur non evidenti lacune, per la sua semplicità e per il suo valore storico sulle memorie luzzesi, trovi l’apprezzamento e il riconoscimento dei luzzesi.
Certamente chi leggerà con occhio infido troverà molto di reprensibile. I detrattori di valori culturali non mancano mai “…se ve chi non vuole ascoltare, io non tacerò. Più fanno i sordi più forte sono costretto a gridare, affinché alla conclusione, essi debbano arrossire, non io…”.
A te, amico Lettore, che hai occhi sgombri da ogni velo di parzialità e sei ricco di benevolenza, la lettura Ti sarà certamente gradita e piacevole.
Voglio ringraziare vivamente l’amico ins. Pietro Rendace per aver reso possibile la pubblicazione del manoscritto e per la sua gentile collaborazione nel decifrarlo. Un ringraziamento particolare a Tonino La Marca per il suo prezioso aiuto.
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Giuseppe Pepe (Luzzi 1819 – 1871)
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Paese della media valle del Crati, con circa 11.000 abitanti, arroccato su un promontorio (h 376 m. s.l.m.) fra due torrenti: Ilice e San Francesco. Il territorio, che ha una superficie di mq. 7720, confina con Bisignano, Lattatico, Montalto Uffugo, Rose ed Acri. Luzzi dista 25 Km. dal capoluogo di provincia e solo 10 dallo svingolo autostradale SA-RC. Per una bibliografia esauriente su Luzzi antica si veda: A. La Marca Emergenze Archeologiche a Luzzi, in “La Sambucina”, Anno III, n.2, Luglio 1991, pp. 9-18.
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Cfr. G, Marchese, La Badia di Sambucina, ed. Promessa, Lecce 1932; IDEM, Tebe Lucana, Val di Crati odierna Luzzi, ed. D’Agostino, Napoli 1957, IDEM, Idee e controversie sulle origini del monachesimo medievale di valle Crati, ed. Chiappetta, Cosenza 1959.
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Il lavoro è scritto su un quaderno a righe, del tipo in uso nelle scuole elementari.
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Sulle chiese di Luzzi si veda: G. Santagata, Luzzi Sacra, Notizie storico-artistiche su chiese, cappelle, icone e monumenti, ed. Frama Sud, Chiaravalle Centrale (CZ) 1981.
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Cfr. G. De Rosa, Profili di illustri calabresi, ed. Airone, Cosenza 1983; G. Valente, Dizionario dei luoghi di Calabria, Frama Sud, Chiaravalle 1973.
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P. De Leo, Gioacchino da Fiore, aspetti inediti della vita e delle opere, ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 1988.
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F. D’Elia, Gioacchino da Fiore. Un maestro della civiltà europea, ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) p. 18.
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F. Lupinacci (a cura di), Perché fu condannato Gioacchino da Fiore, ed. Chiappetta, Cosenza 1960.
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Cfr.AA.VV., Atti del I-II-III Congresso Internazionale di Studi gioachimiti, San Giovanni in Fiore 1980-1986-1989; “FLORENZIA”, Bollettino semestrale del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ).
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P.G. Leone Da Morano, I Cappuccini e i loro 37 conventi in provincia di Cosenza, ed. Fasano, Cosenza 1986, p. 163.
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Cfr. P. G. Leone, op. cit., pp. 163-168; G. Bove, Il volto francescano della Calabria, Ass. Reg. Pubblica Istruzione, A. Grafiche Cerbara, Città di Castello (PG), 1986, p. 46; T. Pingitore, Appunti sull’ex Monastero dei Cappuccini di Luzzi, in “Brutium”, Anno LXIX, N.1, gennaio-marzo 1985, p. 24; Idem, Nuove conoscenze artistiche intorno al Monastero dei Cappuccini di Luzzi, in “Brutium”, Anno LXIX, N.1, gennaio-marzo 1990, pp. 9-11.
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Sul luogo dove cadde il beato Angelo sorse una edicola votiva in suo onore, che ancora oggi è possibile ammirare.
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M. Campise, San Aurelia Marcia, ed. Ambrosiana, 1917.
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M. Pellicano Castagna, Documenti dei Firrao principi di Sant’Agata e di Luzzi (1489-1830), in “Rivista Storica Calabrese”, Anno IV, n. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 493 sgg.
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T. Pingitore, I Firrao, ed. Effesette, Cosenza 1993.
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Il sac. Biagio Durante (1764-1831) morì a Lattarico in concetto di sanità, cfr. G. Marchese, Tebe Lucana…, cit., p. 589.
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L’atto notarile viene rogato il 29-6-1776, per iniziativa dei fratelli Antonio e Pietro Scarfoglio, Girolamo Russo, Domenico Greco ed altri. Questi fanno richiesta di vidimazione a Ferdinando IV, re delle due Sicilie, il quale ne precisa le Regole; ciò avvenne il 17 marzo 1777. Real atto rilasciato dal registro di Rose l’8 settembre 1803; cfr. Diploma conservato nell’archivio della chiesa parrocchiale.
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A. Coppa, Cenni storici sulla chiesa Parrocchiale- Rettorale di S. Michele Arcangelo (S. Angelo) in Luzzi, Cosenza 1969, p. 15 sgg.
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Cfr. F. Ceraldi, La Madonna della Sanità, Cosenza 1969.
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Cfr. G. Marchese, Tebe Lucana…, cit., p., A. Coppa, Canti storici…, cit.
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B.G., Bedini, Abbazie cistercensi in Italia, Frosinone 1980.
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Idem, op. cit., pag. 59.
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F. Ceraldi, Santi e beati della badia cistercense di Sambucina, in “Notizie Cistercensi”, Anno 1974, n. 5-6.