GIUSEPPE SANTAGATA – NOTA BIOGRAFICA
Giuseppe Santagata nasce a Luzzi – Cs – il 2 Settembre del 1913.
Diplomatosi nell’Istituto salesiano di Bari, intraprende la carriera amministrativa negli enti locali, conseguendo, ancora giovanissimo, il grado di segretario comunale. Alla fine degli anni Quaranta, stanco dei continui trasferimenti che, il non piegarsi ai voleri delle prime amministrazioni democratiche calabresi gli aveva procurato, preferisce retrocedere in carriera, sostenendo concorsi per applicato di segreteria, pur di stabilizzarsi spazialmente.
Vince diversi concorsi, in Calabria e fuori. Sceglie di stabilirsi a Benestare – RC – un po’ per il nome ed un po’ per la felice ubicazione del paese, sulle estreme propaggini aspromontane a due passi dal mare Jonio.
A Benestare affina il suo gusto per l’arte sacra e per la ricerca in materia, già avviata negli anni precedenti, continuando ed incrementando l’opera di divulgazione giornalistica di questa allora sconosciuta materia, sui quotidiani locali e nazionali e su riviste specializzate.
E’ tra i primi a scrivere, negli anni Cinquanta, di Santa Maria dei Tridetti, in agro di Staiti e di San Giovanni Theresti, nel comune di Bivongi e di tanti altri monumenti dell’arte sacra, sconosciuti o dimenticati. Collabora assiduamente a Brutium di Alfonso Frangipane, a Calabria Letteraria, a Calabria nobilissima oltre che a Il Giornale d’Italia, il Risorgimento (poi, Il Mattino), Tribuna del Mezzogiorno, Cronaca di Calabria.
Col trascorrere degli anni, l’intensificarsi dell’attività di ricerca negli archivi regionali e nazionali, dirada la sua attività giornalistica, mentre diventa sempre più insistente e continuo l’impegno nella saggistica storica che investe l’arte sacra propriamente detta e le tradizioni popolari che vivificano i monumenti sacri.
Nel 1963 viene nominato ispettore onorario per le arti e le tradizioni popolari per la provincia di Reggio Calabria, carica che ricoprì fino alla morte. Intanto egli va verificando sul campo, percorrendo la Calabria da un capo all’altro, l’immenso bagaglio di notizie ed appunti, frutto di anni di ricerche a studi negli archivi. Da questo confronto col reale e le ricerche vengono come rivitalizzate e servono a fargli scoprire e lumeggiare aspetti inediti di monumenti noti, o a mettere in risalto caratteristiche e peculiarità di tantissimi monumenti chiesastici non adeguatamente valorizzati.
Le sue numerosissime presenze giornalistiche avevano ormai lasciato il posto ai saggi monografici ed ai volumi cui si deve l’avvio di una vera e propria riscoperta e rivalutazione dell’arte sacra calabrese, che costituisce gran parte del patrimonio artistico e monumentale regionale.
Giuseppe Santagata ha pubblicato, nel 1966, “Monumenti in Calabria”; nel 1975, “Calabria sacra”; nel 1977, “La Sambucina”; nel 1979, “Le chiese di Luzzi”; nel 1981, “Luzzi Sacra”; nel 1983, “Il Duomo di Cosenza”; nel 1987, “Santa Maria di Luzzi”.
Quando è morto, il 6 Novembre del 1990, aveva in fase di completamento un volume di approfondimento su tutti i monumenti dell’arte sacra della provincia di Reggio Calabria, ed un saggio storico sulle origini di Benestare.
E' venuto crescendo, in questi ultimi anni, l'interesse per i beni e le monumentalità culturali che, nonostante siano così numerosi nel nostro paese, non sempre hanno avuto assicurata la necessaria opera di conservazione e la conseguente ed economica valorizzazione.
Questo interesse che è nazionale e che sta trovando se non direttamente nel bilancio dell'apposito dicastero per i Beni Culturali, quanto meno in altre previsioni finanziarie, il giusto e doveroso riconoscimento, investe ormai tutto il territorio nazionale, portando con sé un benefico vento di crescita in un comparto che può diventare, specie per quelle zone meno conosciute e meno valorizzate turisticamente, una occasione di sicuro contributo di sviluppo economico oltre che culturale.
Anche nella nostra regione questa nuova visione e questa lettura più adeguata dei beni culturale sta sviluppandosi ormai da qualche anno, e, per quel che ci riguarda direttamente, siamo riusciti ad inserirla in previsioni legislative che tendono a dare ordine e certezza a tutto il settore.
In questa nostra fatica, che ha trovato sensibili tutti gli organi regionali e le diverse componenti politiche che vi sono rappresentate, siano stati grandemente aiutati dagli studiosi calabresi che ci hanno fornito apprezzabili studi e doverosi approfondimenti, senza i quali avremmo avuto grandi difficoltà a tradurre in norme di legge le nostre intenzioni ed i nostri programmi.
Ad onor del vero va aggiunto che sul versante dello studio e dell'approfondimento della materia, esperti e studiosi si erano mossi assai per tempo, senza aspettare che il <<vento>> della rinascita del settore partisse dagli ambienti politici, ma, ritengo, avendolo essi stessi provocato ed alimentato.
Va senza dubbio inserito in questa benemerita categoria anche Giuseppe Santagata, lo studioso di origini cosentina che dai primi anni Sessanta dedica la sua passione di attento ricercatore e la sua vene di divulgatore autentico ad un settore specifico dei beni culturali, quelli attinenti l'arte sacra.
Giuseppe Santagata ha dedicato ai monumenti, agli arredi ed alle tradizioni sacre della nostra regione diversi libri. Autentica guida all'arte sara calabrese può essere ancora oggi considerato il suo ponderoso volume Calabria Sacra edito nel 1975.
Nelle sue ricerche e nelle sue pubblicazioni il Santagata è riuscito ad accoppiare, al gusto proprio del ricercatore attento e meticoloso, anche la vena popolare della divulgazione; così riuscendo a fare opera ad un tempo di ricostruzione storica, attraverso la rivisitazione della tradizione religiosa e vera e propria valorizzazione della nostra monumentalità sacra, riscoperta e riletta in chiave moderna.
E' questa la logica di base alla quale è ispirata anche questa ultima fatica del Santagata, monografica e specifica, interamente dedicata ad una chiesa di Luzzi: Santa Maria.
Di questa chiesa Giuseppe Santagata ci dice tutto, dalle sue lontane origini, fino all'attuale condizione, attraverso un racconto che è piano e piacevole nella lettura e che finisce col trasformarsi in una sorte di storia del paese della presila cosentina, veneta da personali ricordi dell'autore.
Un'opera, quindi, che va ben oltre l'intento celebrativo, pur presente nel luzzese che vive in provincia di Reggio Calabria, per diventare momento ed occasione di discussione della storia del paese nel contesto di quella della regione.
Rosario Olivo
Assessore regionale P.I: e Cultura
L'affetto che mi lega alla forte terra di Luzzi, ed in modo particolare alle sue Chiese, Cappelle e sacri Monumenti, che durante la mia adolescenza calà, vissuta, frequentavo con tanta assiduità, mo ha spinto a scrivere le pagine di cui appresso che, nel complesso, riasumano il tentativo di coordinare le notizie relative alle leggende, alla storia ed all'arte delle Chiese medesime, anche attraverso il puro riferimento della fede tenace ed incrollabile di un popolo di remota stirpe.
Il breve opuscolo non rappresenta altro che, la grande aspirazione di divulgare la tradizione, la storia e l'arte delle chiese stesse, che si distinguono nettamente dalle altre chiese in Calabria.
Nelle indagini documentarie e nelle informazioni, acquisite con difficoltà, ho fatto di tutto per riportare scrupolosamente le notizie e le vicende delle chiese in parola.
Ho fatto rilevare, inoltre, gli arredi e le suppellettili di una certa importanza non più esistenti, mentre ho descritto minutamente quanto è stato fatto di nuovo in quest'ultimo cinquantennio, non tralasciando di trascrivere integralmente tutte le lapidi commemorative e funerarie, ancora esistenti, poiché anch'esse hanno la loro importanza ed integrano la cronistoria di ogni singolo tempio.
A conclusione di questo modesto lavoro, mi è doveroso ringraziare pubblicamente l'Ins. Francesco Maria Bruno, per la valida ed affettuosa collaborazione prestatami. Ingrazio, con l'occasione, mio figlio Salvatore G., mio genero Dino Condemi e il fotografo di Luzzi, Sig. Elio Brogno, per la ripresa delle foto contenute nel presente opuscolo.
Benestare lì, 15.8.1979
Giuseppe Santagata
Non deve ingannare, nella lettura di questo scritto, il carattere di reperto e di studio quasi <<archeologico>> in esso contenuto.
Se l'autore ha voluto anzitutto portare alla luce, sotto forma di trascrizione documentaristica, una serie particolareggiata di elementi (gli innumerevoli oggetti sacri presenti nelle chiese, ad esempio, compresi quelli che il tempo ha inesorabilmente cancellato), va detto che questa è un'operazione non indifferente, e il cui significato non si ferma alla <<ricerca>>.
Una passione di fondo, a prima vista invisibile, anima questo lavoro, staccandolo dal semplice livello di raccolta di dati: un percorso all'indietro, nella storia e nella cultura di Luzzi, che trova il suo punto obbligato nelle chiese, innanzitutto ; e, successivamente, negli altri oggetti storici ed artistici legati al sacro ed alla religione. E' questa la <<chiave interpretativa>> per chi voglia minimamente sforzarsi di cercare delle radici, accetti o no la cristianità.
E il modo in cui viene messo in pratica dall'autore di questo scritto, è il più semplice, il più immediato e il più fraterno: è prendere per mano il lettore e mostrargli con minuziosa sete di particolari, gli oggetti di quest'indagine, oggetti amati, mostrati nel modo con cui si mostrano ad un bambino, nella loro fatticità, nella loro essenzialità di dati grezzi: penserà lui poi, il <<bambino-lettore>>, a trarne le dovute considerazioni, ad arricchire, nel modo che personalmente ritiene più opportuno, il suo bagaglio culturale, religioso, morale.
Le chiese, i monumenti, le icone, diventano così, al pari dei <<sepolcri>>, un segno indelebile della tensione umana verso il divino, uno sprone ad una maggiore consapevolezza della Storia e del Tempo.
<<I monumenti - scrisse Foscolo - inutili ai morti, giovano ai vivi, perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità delle persone dabbene>>.
Segno dell'agire umano, richiamo alla memorizzazione storica, necessaria per un popolo che abbia cultura e tradizione, e non voglia annegare nel buio dell'oblio e della incoscienza di sé.
Segno infine di creazione artistica propriamente umana.
L'umiltà con cui il lavoro che vi apprestate a leggere si presenta, non deve indurre in errore: sta alla sensibilità del lettore intuire il filo conduttore che muove questo <<viaggio>> attraverso gli oggetti di Luzzi sacra, e farne proprio lo spirito che lo anima.
2 agosto 1979
Vincenzo Bazzano
In questo libro, Giuseppe Santagata coglie i punti nodali dei rapporti tra Chiesa e società in Calabria non mancando di far luce su alcuni aspetti e momenti della pietà popolare che si manifestavano, anche, in opere artistiche più o meno pregevoli frutto di quella spiritualità del popolo calabrese che, purtroppo, nelle sue molteplici forme ancora ignoriamo. Tutto ciò senza contare che il libro ha pregi per la storia dell'arte calabrese e, quindi, per una conoscenza del passato culturale della regione.
PREFAZIONE
di Pietro Borzomati
L’evoluzione della storiografia meridionale è dovuta anche all’opera costante e preziosa dei cultori di storia patria. Le profonda ricerche negli archivi ecclesiastici e degli enti locali e la pubblicazione di documenti, notizie interessanti, rilievi critici da parte degli eruditi si è rivelata assai produttiva in particolare dopo la valorizzazione della storia locale e regionale. I reperti bibliografici attestano infatti l’evolversi di questi interessi che rispondono alle esigenze della collettività sempre più protesa a scoprire le proprie radici.
In questo contesto si è collocata, relativamente alla storia sociale la religiosa del Mezzogiorno, l’opera attenta ed esemplare di Giuseppe Santagata. Negli anni in cui si è avvertita l’esigenza di utilizzare le fonti conservate negli archivi ecclesiastici e gli studiosi di storia di scuole diverse hanno valorizzato il passato religioso delle comunità meridionali, il Santagata pubblicava il volume “Calabria sacra. Compendio storico-artistico della monumentalità chiesastica calabrese” (Reggio Calabria 1975) a cui un grande studioso calabrese, Biagio Cappelli, dedicava una lusinghiera prefazione. Santagata, ormai anziano, con questo libro offriva la sintesi di accurate ricerche e di meditare riflessioni, con la sola ambizione di rendere un servizio alla sua terra. Nella breve premessa, infatti, dichiara che l’opera “non ha pretese di sorta, se non quella di una maggiore divulgazione del patrimonio sacro ed artistico della regione”.
Nessuna ambizione, quindi, di un ricercatore umile e silenzioso, se non quella del “servizio” per una Calabria che Egli auspicava sempre più fedele alle sue tradizioni nobilissime. “Ogni cimelio - affermava nella citata premessa – è la chiara manifestazione di uno stile nato dall’ispirazione delle antiche maestranze calabresi, esemplari e tenaci”. In questo libro, come in altri saggi prevalentemente dedicati alla sua natia Luzzi, Giuseppe Santagata coglie i punti nodali dei rapporti tra Chiesa e società in Calabria non mancando di far luce su alcuni aspetti e momenti della pietà popolare che si manifestavano, anche, in opere artistiche più o meno pregevoli frutto di quella spiritualità del popolo che, purtroppo, ancora ignoriamo. Tutto ciò senza contare, come rivela Cappelli, che il libro ha pregi per la storia dell’arte calabrese e, quindi, per una conoscenza del passato culturale della regione.
Ma nelle opere del Santagata si evince un suo interesse meritevole di particolare segnalazione e, cioè, l’attenzione per la storia degli uomini e non dell’uomo, delle grandi opere d’arte e di quelle, non meno importanti, squisitamente popolari. Per questo un’attenta lettura di questi saggi consente scoperte sensazionali, come ad esempio il San Giovanni Vecchio di Bivongi e il santuario della spina di Petilia Pelicastro, ma facilita, soprattutto, una fedele conoscenza del passato di una società, spesso intriso di piccoli ma significativi eventi e la grande fede dei devoti, una fede teologicamente robusta e pervasa da un’intensa pietà che ieri, come oggi, offre speranza. Ed è stata fede e non la curiosità priva di valori a spingere Giuseppe Santagata alla ricerca ed allo studio, a dedicare il suo tempo libero all’indagine sul passato; ciò facilmente emerge dalle pagine dei suoi libri, dove non vi è spazio per pompose ed apologetiche disquisizioni, ma dove si coglie il fermo desiderio di invitare i calabresi alla riscoperta delle loro tradizioni per l’avvento di un domani diverso, fedele al passato, nella piena convinzione, come ebbe a dirmi nel corso di un occasionale ed unico incontro, che si costruisce sulla sabbia se non si conoscono le radici, se cioè il nostro operare di oggi non guarda a quelle dei nostri avi. E’ una lezione attualissima per la Calabria di oggi.
Luglio 2003
NOTA
Questo mio modesto volume vuole rappresentare una rassegna storico-artistica della monumentalità sacra calabrese.
Esso non ha, come la precedente pubblicazione: <<Monumenti di Calabria>>, Ed. MIT. Cosenza, 1968, presunzioni e pretese di sorta, se non quella di una maggiore divulgazione del patrimonio sacro ed artistico della nostra Regione.
L’opera è rivolta al pubblico italiano e straniero e, soprattutto, agli stessi calabresi, offrendo, attraverso lo scorrimento delle pagine, un’informazione rapida ed un orientamento sicuro sui ruderi, sulle chiese e sugli altri cimeli, che costituiscono una secolare testimonianza dell’arte sacra della nostra terra.
Dalla carrellata monumentale, riferita alle diverse epoche con inizio dal IX secolo, ed alle svariate architetture e ai diversi stili risalenti a quello bizantino, solo due edifici, sono stati, con D.R. 21-11-1940, n. 1746, dichiarati ufficialmente Monumenti Nazionali; essi sono: Il Duomo di Cosenza (arch. romanico-gotico sec. XII) e la Cattedrale di Gerace (arch. romanico-normanno sec. XI).
Tale riconoscimento non minimizza affatto l’importanza storico-artistica degli altri monumenti sacri che costellano l’intera Calabria.
Nelle severe chiese, vetuste e recenti, innalzate nella nostra Regione alita, senza dubbio, l’anima della Calabria, ed ogni rudere glorioso, ogni sacro cimelio è la chiara manifestazione di uno stile nato dall’ispirazione delle antiche maestranze calabresi, esemplari e renaci.
Benestare, 15 settembre 1974. Giuseppe Santagata
Torna in libreria «Calabria Sacra» di Santagata, compendio storico-artistico dela monumetalità chies
Inserito il 13 ottobre 2003 alle 00:53:00 da berni. IT - Archivi
Locri - A quasi trent'anni dalla sua pubblicazione, ritorna in libreria Calabria Sacra. Compendio storico-artistico della monumentalità chiesastica calabrese di Giuseppe Santagata, in un'edizione anastatica proposta dall'editore Pancallo di Locri (pp. 500, ill., euro 30,00). Un libro introvabile, al quale hanno fatto ricorso numerosi cultori non solo di storia patria, pur se, con la sua modestia, lo studioso avvertiva che il lavoro, rivolto soprattutto «agli stessi calabresi», intendeva offrire «un'informazione rapida e un orientamento sicuro sui ruderi, sulle chiese e gli altri cimeli, che costituiscono una secolare testimonianza dell'arte sacra della nostra terra».
Ed esemplare non solo per la chiarezza dell'esposizione, ma anche per la documentazione, pur se molti studi successivi hanno precisato alcune vicende costruttive di molti edifici sacri e tanta documentazione ha permesso di chiarire meglio datazioni, attribuzioni e svolgimenti delle opere. Ma ciò dimostra proprio la validità di quest'opera, basata su una ricerca accurata, sintesi di decennali ricerche e indagini, e la valenza dello studioso scomparso da poco meno di un decennio, originario di Luzzi, ma che trascorse in prevalenza la propria vita a Benestare, collaboratore di numerose testate, autore di diverse pubblicazioni, in particolare sulle chiese di Luzzi e il Duomo di Cosenza, e che dal 1963 fu ispettore onorario per le arti della provincia di Reggio Calabria. Proprio per tale ragione, quest'edizione avrebbe richiesto una nota che tenesse conto di acune indagini e scoperte successive, che invece di sminuire la portata di quest'opera, in un certo senso avrebbe contribuito ad avvalorare ulteriormente la sua importanza proprio come una continuazione quasi ideale degli studi di questo «ricercatore umile e silenzioso», come lo definì Biagio Cappelli. Il volume, che si inserisce in quella lunga tradizione di studi che i cultori di storia patria calabrese hanno prodotto, ricercando nei diversi archivi preziosi documenti spesso fondamentali per la valorizzazione della storia locale, dando un contributo notevole all'evoluzione della storiografia meridionale, nell'indagare i diversi rapporti tra Chiesa e società in Calabria, ha però un pregio maggiore, soprattutto se si tiene conto dell'epoca in cui è stato composto: quello di fornire un contributo importante per la conoscenza del patrimonio storico-architettonico della regione e in particolare di alcuni monumenti fino ad allora poco indagati, da San Giovanni Vecchio di Bivongi al Santuario della Santa Spina di Petilia Policastro (uno dei primi saggi in assoluto dedicati a questo complesso ancora in parte ignorato), dalla Chiesa dell'Annunziata e la Cappella delle Grazie di Carpanzano al Santuario di Santa Maria delle Armi di Cerchiara, dalla Collegiata di Cropani a Santa Maria di Fonte Laurato di Fiumefreddo Bruzio, dalla Chiesa di San Teodoro di Laino Castello all'ex Cattedrale di Isola Capo Rizzuto. Saggi che condotti sulla scorta di una attenta ricognizione delle fonti e con uno sguardo ai «maestri», in particolare Alfonso Frangipane, che prima di Santagata avevano offerto contributi fondamentali per la conoscenza di questi monumenti, rivelano non solo la validità dell'opera, ma anche l'importanza che l'opera dei cultori di storia patria hanno avuto per far conoscere la realtà storico e artistica della Calabria.
(Carlo Carlino, Gazzetta del Sud, 12-10-2003)
LA SAMBUCINA
nella realtà storica e nella missione espansionistica
di Giuseppe Santagata
AL LETTORE
La Sambucina fu in Calabria e nel Meridione d’Italia la Casa madre ed il centro di irradiazione dell’Ordine dei figli di San Bernardo di Clairveaux.
Questa monografia, che non ha le pretese della ricostruzione storico-artistica, pur se nell’uno e nell’altro campo porta la speculazione e l’amore di chi l’ha redatta, vuole essere una esplicazione, quanto più possibile semplice e piana, della funzione svolta dall’abazia che sorge in territorio di Luzzi.
Dalla Sambucina, specie nel periodo che intercorre tra i secoli XII e XIV, si diffuse in tutto il Mezzogiorno grande splendore di fede e di studi.
Ma, oltre questa funzione, il volumetto vuole anche assolvere un compito meno alto, ma non per questo meno importante: quello di far conoscere ai visitatori dell’importante monumento, ed in genere a chi viene in Calabria, con l’intento di scoprire i suoi tesori, i gloriosi cimeli dell’arte cistercense che fu tanta parte dell’arte sacra calabrese e meridionale.
Benestare, 11 aprile 1977
FONDAZIONE DELLA SAMBUCINA
L’origine del cenobio Sambucinese, che divenne poi, la celebre Abbazia-Madre dell’Ordine Cistercense del Meridione d’Italia, importante centro economico-culturale della Valle del Crati, maggiore istituto d’irradiazione della spiritualità monastica, è dovuta alla colonizzazione spirituale dei figli di San Bernardo di Borgogna, che da Clairveaux, Villaggio della Francia Settentr., per accogliere il desiderio di Ruggiero II, vennero nel Regno Normanno e, precisamente, nella Valle del Crati, onde diffondere il nuovo ordine.
L’epoca in cui vennero i cistercensi e s’insediarono nel Monastero della Sambucina, territorio di Luzzi, già denominato <<S. Maria Requisita>>, è controversa. In merito all’insediamento dei monaci cistercensi in Sambucina, alcuni studiosi di grido si esprimono così: G. FIORE, riportandosi al Manriquet, asserisce¹ : <<…l’ordine Cistercense si piantò in Calabria, e fu di là dal 1150, al mio credere circa il 1130, cioè circa 25 anni dopo la primiera istituzione. Così, dunque, fondato ed accresciuto questo monastero (la Sambucina) divenne poi fecondissima madre di altri non mano celebri monasteri>>.
WILLEMSEN e ODENTHAL, scrivono² : <<Il Monastero Benedettino di S. Maria Requisita presso Luzzi, alta Valle del Crati, fondato intorno al 1140 – 45 … fu la porta d’ingresso dei Cistercensi in Calabria, quando nel 1160 ne presero possesso i monaci della Abbazia di Casamari con altro nome <<la Sambucina>>, esso diventò famoso quale casa madre calabrese che, ben presto, allacciò una fitta rete di filiazione sino alla Sicilia e in Lucania>>.
G. D’IPPOLITO, parlando della Sambucina, scrive³ : << Celebre Abbazia fondata dai Normanni, (nel) 1087, in Diocesi di S. Marco, territorio di Luzzi, Casale di S. Elia>>.
F. RUSSO, distaccandosi di 48 anni in più dalla data fissata dal D’Ippolito, asserisce⁴ : << Verso il 1135, vennero nella Valle del Crati, i Cistercensi, inviati da S. Bernardo, che fondarono l’Abbazia della Sambucina, presso Luzzi>>.
G. MARCHESE, ponendo la fondazione del Monastero della Sambucina al 1141, sostiene che fu il primo centro dell’Ordine e che, prima di tale data, nessun altro monastero cistercense venne fondato nel Meridione d’Italia.
Egli, a sostegno della sua asserzione, tramanda l’atto di donazione che reca la data del 18 maggio 1141, riprodotto in seguito nella versione italiana, e cosi prosegue : << … se pensiamo a questa singolare connessa successione di dati e di avvenimenti, non abbiamo più dubbi che la Sambucina fu la primissima pietra miliare dell’Ordine Cistercense entro i confini della Monarchia Normanna e che, da essa, pigliarono slancio i discepoli di S. Bernardo per la loro mirabile opera>>.⁵
¹ - G. Fiore della Calabria Illustrata - III . Napoli, 1691
² – WILLEMSEU e ODENTHAL Calabria Bari, 1967
³ – G. D’IPPOLITO L’Abate Gioacchino Cosenza, 1928
⁴ – F. RUSSO Storia Archidiocesi di Cosenza Napoli, 1958
⁵ - G. MARCHESE La Badia di Sambucina Lecce, 1932
ATTO DI DONAZIONE
(Traduzione da testo latino)
In nome di Dio eterno e del Nostro Salvatore Gesù Cristo, nell’anno 1141 dell’incarnazione del Signore, nella terza indizione sotto il regno del Nobile Re Ruggero II, nel X anno del suo regno, quindici giorni prima delle calende di giugno (18 maggio) Noi conte Goffredo fondatore della Sambucina, Berta contessa madre, Guglielmo de Lucio figlio e Goffredo de Carbonara in presenza di Carlendo di Lovrailla, giudice della città di Besidiense (Bisignano) e Leonardo di Solino, esattore pubblico di costei in territorio di Cosenza, notaio nella Valle di Crati e dai testimoni sottoscritti all’uopo in particolare interrogati e chiamati a nostra perpetua memoria, sperando il Signore per devozione e commemorazione delle anime nostre e dei nostri parenti, al venerabile monastero e ai frati della religione Cistercense del Sig. Abate Bernardo, per nostra spontanea e libera volontà doniamo e concediamo il nostro monastero di Santa Maria della Sambucina con tutte le tenute, con i suoi annessi, coi mobili, coi proventi, coi profitti, coi redditi, coi censi, colle donazioni tutti i beni siti in territorio di S. Maria Mensuo nello stesso territorio Guiscardo in agro di Luzzi, perciò eroghiamo altri beni e tenute. …
… Dalle premesse nostre donazioni e concessioni chiediamo che si facciano due pubblici consimili strumenti, di cui uno, il presente, è fatto a cautela del predetto Monastero della Sambucina, l’altro a nome e nostra cautela, per mano del predetto Notaio Leonardo di Solino, firmato con il sigillo e con la sottoscrizione del predetto giudice Carlendo di Lovrailla e munito dalla sottoscrizione dei testimoni.
Fatto in Sambucina, nell’anno, nel mese, nel giorno e nella indizione all’inizio indicati.
Leonardo di Solino – Carlendo di Lovrailla;
Io Berta vi partecipai e sottoscrissi;
Io Goffredo vi partecipai e sottoscrissi;
Io Guglielmo de Lucio vi partecipai e sottoscrissi;
Io Goffredo di Carbonara vi partecipai e sottoscrissi;
Io Giovanni di Gugera, assistente dei testimoni, vi partecipai e sottoscrissi;
Io Durante di Assabona, assistente dei testimoni, vi partecipai e sottoscrissi;
Io Mauro Taccarella, assistente dei testimoni, vi partecipai e sottoscrissi. …
… In contrasto con la tesi sostenuta dal Pratesi, circa l’abbandono della Sambucina al 1275, è il contenuto di un documento pergamenaceo, posto alla fine delle opere di S. Bernardo, che F. Ceraldi, così trascrive⁶:
<< Sambucina: Habbatia mater ordinis Sacri Cistercensis totuis Regni huius nostri Siciliae. Ego Petrus Scalisius abbas Monasterii , anno MCCLXXV fieri feci archam Petro Lombardo, Francisco Accorso, Luca Campano sub altari maiori Ecclesiae>>.
Dallo stesso documento, risulterebbe secondo l’interpretazione dei Proff. Russo e Coppa, così prosegue il Ceraldi, << che in dato giorno dell’anno 1275 si sarebbe tenuto nella Badia Madre della Sambucina un convegno di cinquecento monaci affluiti dai vari monasteri filiali per inaugurare le tombe fatte costruire dall’Abate Scalisio a Pietro Lombardo, Francesco Accursio e Luca Campano>>.
Sulla fondazione della Sambucina e sull’insediamento della comunità Cistercense, si può così concludere, che l’Abbazia, fondata nel 1087, come asserisce l’Ippolito, probabilmente col nome di S. Maria Requisita, ed abitata poi da una comunità di benedettini, venne successivamente (1141) da Goffredo, concessa in donazione ai Cistercensi, i quali la ricostruirono e vi stabilirono la prima casa dell’Ordine, nel Regno Normanno.
A conclusione di quanto sopra, ritengo di trascrivere qui di seguito la cronologia degli abati, che governarono l’Abbazia della Sambucina fin dalla sua fondazione. Essa è stata compilata sulla base di quella tramandata, circa un secolo addietro, da D. Martire⁷, integrata con l’aggiunta di altri nomi di abati claustrali e commendatari, quest’ultimi dal periodo che va dal 1420 alla fine del Concilio di Trento, 1563 ed aggiornata poi fino al 1802, così come riportata dal Marchese⁸.
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Sigismondo 1145 – 1150
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Antonio
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Domenico 1166 – 1159
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Simone 1176 – 1181
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Guglielmo 1184 – 1188
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Rodolfo 1192 – 1196
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Luca 1197
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Bernardo 1205 – 1215
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Michele 1216 – 1222
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Pietro d’Aconico 1228
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Mauro 1243
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Domenico Flimure 1252
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Pietro Scalisio 1274 – 1279
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Tommaso di Cassandre 1280
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Nicola de Follone 1302
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Gualtiero Negen 1315
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Leonardo 1348
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Bernardo 1365
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Antonio 1373
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Nicola 1384
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Stefano di Roma 1398
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Nicola 1405
Abati commendatari:
23 – Giovanni di Montepulciano 1421
24 – Guglielmo Romas 1438
25 – Giovanni Arvone 1447
26 – Giacomo de Syema 1455
27 – Enrico Manes 1480
28 – Fazio Santoro 1485
29 – Giacomo de Avico 1490
30 – Marino Caracciolo 1514
31 – Ferdinando Caracciolo 1535
32 – Carlo Caracciolo – Card. 1560
Abati claustrali:
33 – Laureco Gauna da Franc. 1580 – 1594
34 – Giacomo Graco da Scigliano 1595
35 – Cesare Calepino 1624 – 1630
36 – Angelo De Luca -
37 – Cornelio Palazzo -
38 – Bartolo Sapia da Caccuri -
39 – Clemente Giardini da Luzzi 1646 – 1653
40 - Pietro Maramoldo 1654
41 – Gennaro Peluso da Montalto 1658
42 – Vittorio Federico 1662
43 – Francesco Longo da Salzati 1670
44 – Onofrio della Banca da Viggianello 1674 – 1678
45 – Bartolo Sapia 2ᵃ volta 1679 – 1681
46 – Giacinto Anito o Novarelli da Luzzi 1682
47 – Luca Ricciuto da Mesoraca 1688
48 – Gabriele Amantea 1702.
⁶ - F. CERALDI Il terremoto del 1854 Cosenza, 1954
⁷ - D. MARTIRE Calabria Sacra e Prof. Cosenza ,1878
⁸ - G. MARCHESE op. cit
IL DUOMO DI COSENZA
di Giuseppe Santagata
Il Duomo di Cosenza, certamente il massimo monumento della provincia, esercita, ancora pggi, un grande fascino su tutti i calabresi ed in particolare sui cosentini.
Il maestoso edificio, che ha subito trasformazioni, rifacimenti, restauri, modifiche che ne hanno caratterizzato l’esistenza per oltre sette secoli, è stato riportato all’antico splendore, secondo lo schema architettonico voluto dall’arcivescovo di Cosenza, protomagistrar Luca Campano, già abate della Sambucina, in stile romantico, accompagnato dal severo gotico di fattura monastico-cistercense.
Il Duomo, oltre ad essere un’antichissima parrocchia, una basilica insigne elevata al rango di monumento nazionale, è, soprattutto, il centro della fede per i cosentini i quali, proprio nel loro Duomo, venerano la Vergine del Pilerio, il cui culto risale, secondo la tradizione, al 1576, anno in cui la città di Cosenza fu miracolosamente liberata dal tremendo flagello della peste.
La presente monografia, che non ha certo pretese di totalizzante completezza, si propone di far conoscere, specie al forestiero che visita il sacro edificio, la grandezza del Duomo e la sua storia.
Benestare, giugno 1983
IL DUOMO DI COSENZA
UN’ANTICA PARROCCHIA – UN’INSIGNE BASILICA
UN MONUMENTO NAZIONALE
Di remote origini è il duomo di Cosenza, già sede vescovile, fondata, secondo alcuni, fin dai primi tempi dell’era Cristiana – verso il 40 d.C.¹ -; secondo altri tra il V ed il VI secolo d. C.²
Il primo vescovo di Cosenza, di cui ricorre il nome con credibile autenticità, è Palumbo che, nel 597, compare nell’elenco dei presuli cosentini ed è ricordato nelle lettere di S. Gregorio Magno, nel 599.
Verso il 1055, il Duomo cosentino fu elevato a sede arcivescovile e, nel corso del XII secolo, divenne sede metropolita con suffraganea la sede vescovile di Martirano che vi dipese fino al 1818, epoca in cui quest’ultima fu soppresso, per effetto del concordato.
Dal Metropolita di Cosenza, dipesero, <<… in certo modo>> - scrive D. Andreotti - <<i vescovi di Cassano, Mileto e S. Marco, i quali immediatamente soggetti alla Santa Sede … furono riguardati come esistenti in questa metropolitana provincia … come risulta dal provinciale romano nel 1514³.
Dall’Arcivescovado cosentino dipendono:
N. 260 – Chiese
N. 150 – Parrocchie, su una popolazione di
N. 295.000 abitanti, di cui i cattolici ammontano a
N. 294.000.
Il Duomo ha m. 49 di lunghezza e m. 21 di larghezza.
Per la sua rilevante e particolare importanza architettonica e per il pregio storico ed artistico, è stato elevato alla dignità di monumento nazionale; dichiarato tale, in virtù del regio decreto 21 novembre 1940 – n. 1746.
Il Duomo era l’unica ed antica parrocchia comprendente tutto il territorio urbano della Città di Cosenza; ed è rimasto tale fino al 1580, data in cui il Pontefice Gregorio XIII⁰, concesse l’autorizzazione a scindere il territorio parrocchiale, per istituire altre tre parrocchie.
Queste tre parrocchie furono:
S. Nicola, istituita nel 1603, pel quartiere dei <<Rivocati>>;
S. Gaetano, istituita verso il 1609,, nel quartiere dei <<Pignatari>>, in origine dedicata ai SS. Stefano e Lorenzo;
S. Maria della Sanità, istituita nel 1628, nel quartiere di <<Portapiana>>, anche questa, in origine, dedicata a S. Giovanni Battista.
La parrocchia del Duomo, è dedicata a Maria SS. Assunta e comprende parte del territorio della vecchia città tra il Crati e il Busento ed anche il corso Vittorio Emanuele.
PREFAZIONE
di Salvatore Foderaro
Questo libro di Giuseppe Santagata, frutto di appassionate indagini, è un nuovo contributo alla storia ed allo studio dell’arte dei più importanti monumenti chiesiastici della Calabria, contributo notevole che andrà ad arricchire altresì la nostra letteratura turistica per la sua forma indovinata, l’esposizione piacevole, rapida e insieme densa di contenuto.
Ben ventiquattro chiese – notevoli monumenti di ogni stile ed epoca – vengono infatti presentate in un felice compendio che, per la sintesi brillante, fa pensare ad un suggestivo cortometraggio utilissimo a tutti: ai cultori d’arte, al turista frettoloso, all’approfondito studioso, all’appassionato o dilettante non meno avido di notizie nuove. Il maggior merito dell’Autore è appunto quello di aver saputo comporre, ricorrendo alla larga messe di tesori d’arte che ingemmano la nostra Regione, un mosaico di alto pregio, una sintesi rapida e completa, perché tutte le opere illustrate – si tratti di Chiese monumentali o di ruderi di modesta mole – vengono presentati al lettore in tutte le loro sfaccettature presenti e remote, come pietre preziose che fanno pensare ad una lunga fila di Sacri Edifici che sfilano dinnanzi ai nostri occhi per mostrare le linee smaglianti, la mole stupenda o le semplici vestigia sotto il più luminoso dei soli che indora gli incanti dell’arte e rende più pregiata la patina dei secoli. Esposizione ricca e necessariamente rapida, perché ogni opera meriterebbe per sé stessa uno studio particolare, come richiede ogni capolavoro. Ma il Santagata, che è anche ispettore onorario per le tradizioni ed arti popolari in diversi centri della Calabria, in questa stupenda collana di ventiquattro perle, svela di ognuna di esse – com’era nel suo intento – i pregi essenziali ed autentici, gli aspetti davvero mirabili, accorgimento questo meno semplici di quanto si creda e che implica in ogni caso una profonda conoscenza dell’arte, della storia, di tutti i fasti antichi della nostra terra, che sanno di leggenda.
Il paziente lavoro di ricerca, le acuta e scrupolose indagini dell’illustre Autore fanno di questo lavoro un’opera di pregio indiscutibile, ricca di curiosità e di notizie storiche che non appesantiscono il libro come frammenti incerti o zavorra inutile, ma lo rendono piacevole e lieve, si inseriscono come gemme nelle pagine del volume, brillano, si direbbe, nei palpiti dell’arte.
Nei superbi monumenti chiesiastici che costellano la nostra Regione alita indubbiamente l’anima della Calabria, ed ogni rudere glorioso, ogni Sacro edificio è la testimonianza di uno stile nato dall’ispirazione delle antiche maestranze calabresi, esemplari e tenaci.
Questo libro può considerarsi un accurato inventario dei più significativi tesori dell’arte sacra in Calabria, dai meno antichi, fino a quelli estremamente primitivi, come la Chiesa di Sotterra in Paola, del X secolo, coeva della Cattolica di Stilo.
Dobbiamo vivamente congratularci con l’autore ed augurare al suo libro un vasto successo.
Presentazione
di Giuseppe Santagata
La presentazione di una pubblicazione, il biglietto da visita cioè con cui essa chiede generosa accoglienza e sincero ascolto, non può essere altro che l’esposizione sintetica delle finalità che essa si propone.
La finalità di questo volumetto sono semplici, modeste e senza pretese.
Esso si rivolge al pubblico italiano e straniero, ed in particolare a quello calabrese, offrendo, attraverso un fugace profilo storico ed artistico, una informazione rapida e precisa, un orientamento sicuro ed una breve guida intorno a ben ventiquattro monumenti, costituiti da edifici sacri e da ruderi di questi, che rappresentano la più importante monumentalità della Regione.
Dei sacrari cristiani esistenti in Calabria in tempi assai remoti (VI-VII sec.) e poi scomparsi completamente a seguito d’invasioni, terremoti ed alluvioni, non resta che un pallido ricordo.
Attualmente i monumenti più antichi che si conservano in Calabria e resistono alla furia degli elementi, fin dal IX e X sec. sono: Il Battistero di S. Severina, la Chiesetta di S. Marco di Rossano, (sec. IX), la Cattolica di Stilo, la Chiesa di Sottoterra di Paola, S. Adriano di S. Demetrio Corone (sec. X).
Questi monumenti rappresentano l’architettura sacra primitiva del bizantinismo Calabro-Greco e simboleggiano una chiara testimonianza delle glorie dell’arte orientale del passato.
Seguono poi, secondo l’epoca di erezione, altri monumenti che recano l’impronta dell’arte bizantino-basiliaba più progredita, come S. Giovanni Vecchio di Stilo, S. Maria dei Tridetti di Staiti, S. Ruba di Vibo Valentia (sec.XI). E così in ordine di evoluzione stilistica: La Roccelletta di Borgia, La Cattedrale di Gerace, l’ex Cattedrale di Umbriatico, il Patirion di Rossano, appartenenti all’architettura basiliano-Normanna, e via via la Sambucina di Luzzi, l’abb. Florense di S. Giovanni in Fiore (sec. XII), il Duomo di Cosenza (sec. XIII), ecc. concludendo con il Duomo di Reggio Calabria di architettura recente, sorto dopo l’immane flagello sismico del 1908.
Una breve esposizione non può dire di più, spetta ora al lettore il giudizio imparziale sui valori e le finalità dell’opera.