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Sergio Tarsitano
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Sergio Tarsitano – una vita in punta di pennello.

Grazie all’amico Claudio Cortese e all’associazione La terra dei Lucii ho avuto l’opportunità di entrare nel mondo pittorico, ed in qualche modo, attraverso la pittura, nel mondo interiore, dell’artista Sergio Tarsitano. La pittura, come la pratica di ogni altra arte,  è specchio del sentimento più profondo di una persona; e probabilmente ciò è più vero nel caso di Sergio, che alla pittura si è avvicinato da autodidatta, con una faticosa costruzione di sé, e che nella pittura ha trovato l’occasione di ricostruire il suo io nonostante le avversità della vita, adeguando il registro pittorico alle diverse possibilità operative.

Non è raro, nella storia dell’arte, il caso di pittori che adattano la propria potenza creativa alle mutate condizioni fisiche: così avvenne per Henry Matisse. Matisse si trovò a dover fronteggiare le conseguenze di una malattia per cui fu costretto su una sedia a rotelle. La necessità di semplificare i movimenti lo condusse a distaccarsi dall’iniziale registro impressionista e ad abbracciare la cosiddetta tecnica dei gouaches decoupees, letteralmente carte ritagliate. Un moderno collage. La nuova stagione creativa di Matisse lo rese uno dei più originali esponenti del movimento dei fauves. Ancora oggi le sue figure piatte e semplificate, i suoi colori saturi e dissonanti appaiono come un inno alla speranza, alla gioia di vivere ed alla potenza creativa e dirompente dell’uomo.

Analogamente, circa un secolo prima, il percorso artistico di Francisco Goya avrebbe subito una brusca sterzata con l’aggravarsi della sordità. Avvenne così che il Goya della Maya Desnuda, il pittore della lattea floridezza del corpo femminile, iniziò a scurire ed incupire i cromatismi e i temi pittorici, diventando l’artista delle pitture nere: scene stregonesche, mostruose, anticipatrici di incubi horror, e di visioni surrealiste. È stato detto al riguardo, come se Goya, privato della possibilità di ascolto esterno, avesse sviluppato una sorta di udito interiore capace di parlare solo attraverso il pennello.

Ancora una volta, il sentimento artistico che cambia registro, non perdendo, anzi forse guadagnando in intensità ed efficacia espressiva. E, in un viaggio lungo l’arte del 19mo secolo, la parziale cecità di Monet e l’artrite deformante di Renoir, la malattia degenerativa di Paul Klee o la difficoltà a maneggiare i pennelli di Mirò, così come le menomazioni fisiche e la sofferenza interiore di Frida Kahlo sono senza dubbio contingenze che ne hanno modificato la produzione. Ma è sicuramente più rilevante ammirare come questi artisti, arsi dalla “necessità” di comunicare con la propria arte, non si siano fermati di fronte alle difficoltà “fisiche” che gli si ponevano innanzi.

Chi di voi conosce, oltre al percorso artistico, anche quello personale di Sergio, potrà certo ravvisare le tracce di questa sua irrefrenabile volontà di esprimersi attraverso l’arte, nell’avvicinamento alle miniature: il gesto creativo libero e quasi plastico della pittura a gouache si è quasi cristallizzato, reso più misurato e composto, dai segni brevi e precisi della miniatura. Nei dipinti a gouache, il segno veloce e quasi caricaturale disegna con immediatezza paesaggi, figure umane, animali, mentre l’uso del bianco, reso più pastoso dall’aggiunta di addensanti, regala inaspettati effetti luministici. Il bianco dei cavalli, i tetti innevati, i tagli di luce sui volti dei vecchi forniscono un effetto di tridimensionalità a scene altrimenti tratteggiate con semplice essenzialità.

C’è un elemento di permanenza, però, un filo rosso che lega la produzione di Sergio passata a quella più recente e di dettaglio: è il rapporto con il suo paese, con le case i tetti i vicoli della sua Luzzi, con l’umanità semplice e serena che lo popola.

Uno dei dipinti di Sergio a mio avviso più intensi, e che esprime con immediatezza il suo rapporto con i luoghi, è “sguardo sul mio paese”. Qui l’artista sin dalla scelta del supporto, una vecchia tegola che porta sulla sua superficie le abrasioni e le ferite del tempo, vuole entrare in rapporto anche materico con i luoghi. Il paesaggio è rappresentato con essenzialità, pochi tratti per sintetizzare l’affastellarsi di case lungo le pendici, pennellate di bianco ad illuminare un riflesso di vetro, un tetto, una facciata. Su tutto, sovrasta un volto, dallo sguardo intenso e diretto. Nonostante il rapporto continuo e fattivo con l’ambiente luzzese, in cui Sergio ha intrecciato legami umani e sociali profondi e costruttivi, l’opera emana una sensazione di distacco, nel suo voler sovrastare il paesaggio urbano e quasi contenerlo nello sguardo. Il richiamo più congeniale è a mio avviso rintracciabile nell’arte di Marc Chagall, con i suoi paesaggi di villaggi innevati sovrastati da poetiche figure in volo. Chagall nei suoi dipinti racconta però di una distanza incolmabile dal luogo natio, di una cesura dolorosa di tempi e di luoghi. La vita del pittore russo lo portò immediatamente lontano dai luoghi d’origine, e da qui le immagini da sogno, velate di nostalgia, di paesaggi ascoltati, raccontati o forse solo immaginati, percorsi da uomini, spose, cavalli volanti, a sfidare le leggi di gravità. Per Sergio, invece, il rapporto con il paese d’adozione, costante dopo gli anni della giovinezza e della formazione, gli ha fornito l’opportunità di osservare con uno sguardo più poetico e ricco il mondo che lo circondava, così come di viverlo con pienezza di relazioni e d’intenti. C’è, nel suo osservare con impietosi dettagli le rughe del bevitore, l’ambiente spoglio dei giocatori di carte, un amore per la semplicità della vita di paese. Un elemento che lo pone in empatia con un amico illustre, unito da un incontro fortuito e da condivisione di interessi, il cantautore Paolo Conte.  Conte, artista schivo e solitario e complesso, poeta e jazzista raffinato, unisce una passione per la pittura maturata sin dall’infanzia. Come egli stesso ebbe a dire “Nella mia vita il vizio della pittura è molto più vecchio rispetto a quello della musica. Risale a quando ero bambino, poi magari sono stato anni senza toccare pennelli o matite. Da piccolino disegnavo trattori. Crescendo ho disegnato donne nude e musicisti di jazz”. Così, per Conte la musica ed i testi si nutrono delle visioni immaginifiche scaturite dalla sua tavolozza. Similmente, per Sergio Tarsitano, la linfa che, oltre ai sapienti effetti del bianco che illumina la sua tavolozza, dà luce alla sua pittura, è un amore profondo per i luoghi, siano essi plasmati dalla natura o dalle mani antiche dell’uomo. Quegli stessi luoghi, quello stesso luogo, che oggi gli rende un doveroso quanto meritato riconoscimento.

Francesca Anili

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PRO LOCO ARTE

Un incontro pieno di emozioni quello di oggi alla sede della pro Loco la Terra dei Lucij di Luzzi tra l'artista Sergio Tarsitano e gli allievi del biennio del Liceo Artistico e del Liceo Classico di Luzzi. Sergio è riuscito con una grande forza di volonta' a coinvolgere tutti gli allievi. Ha risposto alle domande che gli sono state poste e ha esaltato il ruolo dei giovani che possono concorrere alla crescita culturale e sociale del nostro territorio. A nome della scuola ha portato i saluti la Prof.ssa Bernadette Pepe. La Pro Loco ringrazia tutti gli alunni e i docenti che hanno partecipato. Un sentito ringraziamento alla Prof.ssa Giuditta Bosco ed alla prof.ssa Tiziana Foti che hanno organizzato la visita guidata.

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