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LUZZI: note archeologiche

 

Luzzi si trova su un colle delle ultime propaggini nord-occidentali della Sila; il suo territorio, molto ampio, è limitato ad Est dall'altopiano Silano, ad Ovest dal fiume Crati, a Nord dalla valle del fiume Mucone e a Sud dal territorio di Rose.

Sulle origini di Luzzi e sulle vicende che riguardano questo centro in età classica non sappiamo nulla abbiamo, però, numerosi reperti archeologici trovati in vari periodi nel territorio, che testimoniano una frequentazione e una presenza dell'uomo dalla preistoria fino alla tarda età romana.

Giuseppe Marchese, storico locale, ha cercato di dimostrare -con tesi, a dir il vero, non sempre tanto convincenti- che nel territorio dell'odierna Luzzi fosse ubicata l'antica Tebe Lucana di cui parlano le fonti antiche Il Marchese, però, non è stato il primo a congetturare quest’ipotesi. La formula agri prope Thebas Lucanas si trova adoperata fin dal medioevo nei cartari monastici di Santa Maria di Mennua e della badia della Sambucina Con l'arrivo a Luzzi dei Lucij, nuovi feudatari provenienti dal Dipartimento francese di Dromfrout, avviene pian piano il trapasso toponomastico e l'ex Thebae è denominata Terrae Luciorum, da cui Luzzi Telesforo, profeta-scrittore cosentino, che stette nel monastero della Sambucina nel 1350 fu il primo che la chiamò Tebe. Anche il Barrio e il Marafioti scrittori calabresi del XVI secolo, identificarono Luzzi con Tebe Lucana. Due carte geografiche, rispettivamente del 1595 e del 1705 dove la toponomastica riprende esclusivamente notizie dell'antichità classica, presentano scritto Thebae Lucanae nel sito dell'odierna Luzzi.

Quest’identificazione di Luzzi con Tebe Lucana, non ha avuto accoglimento da parte di archeologi e storici, però, c'è da affermare che il materiale archeologico trovato nella zona pedemontana e valliva del territorio di Luzzi, non lascia dubbi sul fatto che queste aree, sia in età greca sia in quella romana, fossero abitate.

Un'altra ipotesi di identificazione, è stata proposta dall'autore del presente articolo. Si tratta della città di Arinthe città mai identificata, anche se citata negli studi sul territorio cosentino Tale città è stata cercata nell'entroterra della sibaritide, finora senza concreti risultati, ma con ipotesi abbastanza attendibili.

Fino a poco tempo fa, i vecchi, a Luzzi, parlavano ancora della città di Tebe. Però si sa che le fonti orali assumono valore assoluto di obiettività solo quando forniscono delle congetture che conducano, tutte diverse e autonomamente le une dalle altre, a conclusioni univoche. Non rimane, almeno per il momento, che brancicare nel buio dell’assoluta mancanza di riferimenti storici precisi e sicuri. Alla luce di questo, solo le ipotesi, per quel che valgono, possono essere formulate. Null'altro.

Tebe Lucana? Arinte? Non sappiamo. Sono degli interrogativi cui vorrei dare un’attendibile risposta. Ma temo, purtroppo, che ciò sia destinato, almeno per il momento, a rimanere nient'altro che un'illusione.

Dobbiamo in ogni modo affermare che la successione delle fasi di vita nel territorio di Luzzi appare ininterrotta dall’età del Ferro fino alla tarda età romana.

In una delle ultime ricognizioni effettuate in località Muricelle, è stato trovato un frammento di ceramica d'impasto (forse a sagoma biconica, con decorazione incisa e impressa a zig-zag e ad angoli contrapposti) che risale alla prima età del Ferro. Per l’età protostorica si ricordano ancora una fibula in bronzo e due cerchietti in ferro provenienti dalla località San Vito.

Fra i materiali del periodo arcaico si segnalano delle testine in terracotta, oggi al Museo archeologico di Napoli. Alla fine di questo periodo, appartiene una figurina in bronzo (h. cm. 9), trovata in contrada Cutura, tra Luzzi e Rose; la statuetta, che rappresenta una figura femminile panneggiata, con diadema e fiore di loto in mano, è stata datata, da Paolo Enrico Arias intorno al 500 a. C. In località Sippio Grippa recentemente è stato rinvenuto un peso da telaio in terracotta, di forma cilindrica (h. cm. 4,2, diam. cm. 3), che porta incisa sulla base una x; per confronto, mancando di un contesto di scavo, il manufatto si può datare al VI-V secolo a. C.

Per il periodo classico, sono particolarmente interessanti, per la sicurezza del rinvenimento e per la presentazione scientifica che hanno avuto, le laminette auree di San Vito (località in pianura, sulla sponda destra del Crati), datate da Silvio Ferri alla seconda metà del V secolo a. C. tali frammenti aurei si trovano al Museo di Reggio Calabria. Si segnalano, per questo periodo, anche lo skyphos a vernice rossa con fasce orizzontali nere, proveniente sempre da San Vito (in collezione privata), e il peso da telaio in terracotta, di forma troncopiramidale, conservato al museo di Cosenza.

Molti sono i rinvenimenti archeologici relativi alla fase ellenistica, fra questi, di particolare interesse la statuetta femminile in argilla, rinvenuta in località Pagliarelle, già pubblicata dal Marchese (op. cit., p. 61, fig. 63), un vasetto, tipo alabastron a corpo cilindrico, e un'antefissa fittile, con protome femminile al centro In contrada Periti è stato rinvenuto un frammento di piatto a vernice nera, tipo campana B.

Più consistenti, invece, sono i resti di età romana, rappresentati, soprattutto dall’importante necropoli di San Vito, scavata e pubblicata da P.G. Puzzo La necropoli, che era composta da tombe del tipo "a cappuccina" e da inumati in fossa senza copertura, ha restituito ricchi corredi di gran valore. La datazione dell'intero complesso va dalla seconda metà del I secolo d.C. alla metà del II. Tra i materiali più significativi si segnalano: una olletta a pareti sottili; lucerne, in massima parte di fabbricazione italica; una coppia di orecchini a corpo quadrangolare, con inserzione di pasta vitrea verde; un altro paio di orecchini d'oro decorati a sbalzo a forma di conchiglia; un anello digitale in argento con spalla appiattita di forma ovoidale; monete di Vespasiano, Domiziano, Traiano e Adriano; vetri; mattoni con bollo Particolarmente interessante la tomba n. 17, nella quale è stato rinvenuto un corredo completo di strumenti chirurgici in ferro e in bronzo, questi ultimi con decorazione in agemina d'argento e niello. Tali materiali sono particolarmente interessanti perché unici documenti per la conoscenza della chirurgia nella Calabria di età romana.

Sulla collina di Muricelle che domina la fertile pianura della media valle del fiume Crati, distante pressappoco un chilometro, sono visibili resti di pavimentazioni in cocciopesto e opus spicatum e muri in opera cementizia e laterizia, appartenenti ad una villa rustica romana.

Da questa località, ogni qualvolta sono condotti lavori di dissodamento agricolo, sistematicamente viene alla luce materiale archeologico, per lo più frammenti ceramici di epoca romana, databili tra la seconda metà del I e il V secolo d.C. (terra sigillata italica, terra sigillata chiara o africana, ceramica con orlo annerito, ceramica a patina cenerognola, ceramica di produzione locale, ceramica a pareti sottili), vetri, frammenti di intonaco dipinto, frammenti di anfora, frammenti di tegole ed embrici con bolli e iscrizioni, che per l'argilla e la lavorazione si possono attribuire a fabbriche locali, a testimoniare che in periodo imperiale romano, in questa zona, vi fosse una intensa attività artigianale.

I molti frammenti laterizi raccolti a Muricelle comprendono quasi esclusivamente tegole del tipo piano con risvolti e coppi semicircolari. L'esame dei laterizi ha permesso alcune interessanti osservazioni tecniche. Il tipo è quello diffuso in tutto il mondo romano, di forma rettangolare o solo leggermente trapezoidale, con risvolti sui lati lunghi, che, ad una estremità, si interrompono qualche centimetro prima del bordo della tegola. La forma delle riseghe e degli incavi, negli esemplari analizzati, corrisponde ad una sola tipologia (anche se con varianti dimensionali), probabilmente da collegare con un'unica fabbrica o produzione. In alcuni esemplari sono presenti segni digitali a linee parallele ondulate.

Gli interventi agricoli, che ogni anno sono condotti a Muricelle, provocano sconvolgimenti e distruzioni perché intaccano strutture e strati antichi e, a volte, mettono alla luce stratigrafie occasionali che possono e devono essere "disegnate, interpretate, sfruttate fino in fondo... per la conoscenza di una città"

"Per i romani, le ville erano sia le fattorie destinate alla sola produzione agricola, da loro denominate rusticae, sia le lussuose residenze pensate per il riposo e il tempo libero, le cosiddette ville d'otium " Le ville romane avevano una loro economia interna, ma facevano anche parte dell'economia della regione in cui si trovavano, e lo studio dei resti può servire a chiarire problemi più ampi di quando appaiono a prima vista

Finora, purtroppo, non ci si è resi conto dell'importanza di Muricelle, e questo spiega, almeno in parte, la mancanza di un'adeguata protezione, l'assenza di saggi di scavo, il disinteresse degli organi preposti alla tutela.

Il valore storico di questi ritrovamenti e le conoscenze acquisite sollecitano una campagna di scavo intesa a valorizzare tutto il comprensorio luzzese, e richiamano l'attenzione sulla necessità di sistemare in un Museo il materiale archeologico trovato nel territorio di Luzzi, assieme a tutti gli altri reperti rinvenuti negli anni passati e oggi giacenti in collezioni private.

Soltanto metodiche ricerche e scavi archeologici sul territorio permetteranno di valutare quale sia stata l'importanza dell'antica Luzzi nei vari periodi della sua storia.

 

 

Antonio La Marca

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